Dike giuridica, Istituti e sentenze commentate

Le fondazioni*

Tradizionalmente, entro il novero delle istituzioni di carattere privato riconosciute come persone giuridiche, alle associazioni, quali universitas personarum, ovvero pluralità di persone associate per il perseguimento di uno scopo comune, vengono contrapposte le fondazioni, concepite come universitas bonorum, dove l’elemento personale cede il posto all’elemento patrimoniale, elemento sul quale si incentra la definizione classica della fondazione quale complesso di beni destinato al perseguimento di uno scopo.

Origine storica del concetto a) fondazione come complesso di beni

È proprio rispetto alla fondazione che si è posto, storicamente, il problema di enucleare, in campo privatistico, il concetto di persona giuridica, di ammettere l’esistenza di un ente che benché privo di membri, potesse essere titolare di rapporti giuridici.

Il concetto di fondazione, quale autonomo soggetto di diritto cui attribuire la proprietà del patrimonio destinato allo scopo, compare per la prima volta agli inizi dell’Ottocento, ad opera di Savigny.

Prima di allora, in epoca intermedia, la figura era delineata a prescindere dal concetto di persona giuridica: i beni destinati da una persona (il fondatore) ad uno scopo determinato erano concepiti o come beni appartenenti ai soggetti beneficiari della fondazione, collettivamente considerati, o come beni attribuiti in proprietà fiduciaria ai gestori, configurazione quest’ultima, peraltro, tuttora presente nei paesi di Common law, ove la fondazione è considerata applicazione dell’istituto del trust.

b) fondazione come organizzazione collettiva. Differenze rispetto all’associazione

La dottrina successiva, tuttavia, si avvide ben presto della fallacia della contrapposizione tra universitas personarum ed universitas bonorum, in quanto la fondazione non è propriamente un complesso di beni destinati ad uno scopo, ma anch’essa un’organizzazione collettiva di individui per la quale il patrimonio non è che un mezzo per attuare lo scopo.

Associazioni e fondazioni rientrano allora nella medesima categoria, quella delle organizzazioni collettive quali specie di un medesimo genere, i cui tratti differenziali sono rappresentati essenzialmente dalla diversa natura dei rispettivi atti costitutivi e dai diversi modi di esecuzione degli atti medesimi.

L’atto costitutivo della fondazione, infatti, a differenza dell’atto costitutivo dell’associazione che è un contratto, è sempre un atto unilaterale, sia quando il fondatore è una sola persona sia quando la fondazione prende vita da una pluralità di persone (ed in tal caso a fronte di una pluralità di fondatori si avranno una pluralità di atti unilaterali).

Quanto ai modi di esecuzione, invece, le differenze rispetto all’associazione si colgono in ciò che il fondatore, una volta destinati i beni allo scopo, si spoglia di questi e non partecipa alla loro amministrazione, a differenza di quanto avviene nell’associazione dove l’associato partecipa sempre alla gestione dell’ente se non direttamente, quanto meno indirettamente in sede assembleare.

Nella fondazione, all’opposto, l’amministrazione è affidata a persone distinte dal fondatore, che si trovano in posizione diversa rispetto ai membri di un’associazione: se nell’associazione gli associati sono liberi di determinare le scelte organizzative sulla base del principio dell’autonomia contrattuale, tanto che si parla di “organi dominanti”, nella fondazione gli amministratori sono all’opposto meri “organi serventi” in quanto per essi l’esecuzione dell’atto di fondazione costituisce l’adempimento di un ufficio.

D’altro canto gli amministratori della fondazione differiscono dagli stessi amministratori dell’associazione perché una volta investiti dell’ufficio sono liberi nella determinazione dei criteri di gestione, non subiscono il controllo né da parte dell’assemblea né da parte dell’autorità governativa, se non nei limiti del solo controllo di legittimità.

Atto di fondazione

L’atto di fondazione è l’atto giuridico unilaterale mediante il quale il fondatore destina un patrimonio ad uno scopo determinato, predisponendo, altresì, la struttura organizzativa idonea a realizzarlo.

L’atto di fondazione si compone, quindi, di un atto di dotazione patrimoniale e di un atto di organizzazione, ed il rapporto tra i due elementi contenutistici può diversamente articolarsi, poiché in taluni casi prevarrà l’elemento patrimoniale (si pensi alle fondazioni erogatrici), in altri quello organizzativo (si pensi alle fondazioni culturali).

L’atto di fondazione può essere atto tra vivi ovvero mortis causa, potendo la fondazione essere disposta anche con testamento (art. 14, comma 2, c.c.).

L’atto di fondazione tra vivi è revocabile sino a quando non sia intervenuto il riconoscimento, fatte salve due eccezioni: l’inizio dell’attività dell’opera da parte del fondatore (attività che denota una volontà contraria alla revoca) e la morte del fondatore (in quanto la facoltà di revoca partecipa della stessa natura personale dell’atto di fondazione e, come tale, è intrasmissibile).

Scopo di pubblica utilità

Secondo il tradizionale insegnamento dottrinale lo scopo della fondazione non può essere individuato nel mero aspetto negativo dell’assenza di lucro, come per le associazioni, ma deve essere identificato in positivo nel perseguimento di uno scopo di pubblica utilità. Solo lo scopo di pubblica utilità consentirebbe, infatti, all’ordinamento di tollerare gli impedimenti alla circolazione dei beni che dalla fondazione normalmente scaturiscono.

Il necessario perseguimento da parte della fondazione di un utile comune si evince, peraltro, da taluni principi inderogabili dell’ordinamento espressi nel divieto della sostituzione fedecommissaria al di là degli stretti limiti consentiti (art. 692 c.c.) e dell’usufrutto successivo (art. 698 c.c.), e dalla norma di cui all’art. 699 c.c. che proprio sui fini di pubblica utilità fonda la validità di una “disposizione testamentaria avente per oggetto l’erogazione periodica, in perpetuo o a tempo, di somme determinate”.

Esercizio dell’impresa Fondazione “holding”

Ciò non toglie che anche una fondazione, al pari di un’associazione, possa svolgere attività di impresa tutte le volte in cui l’esercizio dell’attività economica risulti strumentale al perseguimento dello scopo istituzionale dell’ente (con la conseguente applicabilità dello statuto dell’imprenditore commerciale e della disciplina del fallimento, ove l’attività economica sia svolta in modo professionale).

D’altro canto può verificarsi una scissione tra la fase di amministrazione del patrimonio e la fase di destinazione delle rendite allo scopo, attraverso la creazione di distinte fondazioni dotate ciascuna di una propria autonomia giuridica: la fondazione finanziaria o holding, deputata alla gestione dell’impresa – e che pertanto persegue lo scopo della fondazione solo in via mediata – e la fondazione o le fondazioni cui gli utili sono destinati per la realizzazione diretta degli scopi istituzionali.

Patrimonio

Il patrimonio della fondazione deve risultare adeguato alla realizzazione dello scopo, secondo quanto statuisce l’art. 1, comma 3, D.P.R. 361/2000, ai fini del riconoscimento della personalità giuridica.

Controllo dell’autorità amministrativa. Trasformazione

L’amministrazione della fondazione è assoggetta al controllo e alla vigilanza dell’autorità governativa, nelle forme e nei modi previsti dall’art. 25 c.c.

La ragione del controllo governativo è da ricercare nell’assenza, in seno alle fondazioni, dell’organo assembleare cui è affidato, invece, nelle associazioni, analogo controllo interno.

Ancora, l’autorità amministrativa, anziché dichiarare l’estinzione di una fondazione ove si verifichi una causa estintiva (esaurimento, impossibilità o scarsa utilità dello scopo; insufficienza del patrimonio), può deliberare la sua trasformazione “allontanandosi il meno possibile dalla volontà del fondatore” e sempre che la possibilità di trasformazione non sia esclusa dall’atto costitutivo e che non si tratti di fondazioni di famiglia (art. 28 c.c.).

Riconoscimento della personalità giuridica. Fondazioni non riconosciute

La fondazione acquista la personalità giuridica con l’iscrizione nel registro delle persone giuridiche, secondo il procedimento disciplinato dal D.P.R. 361/2000, così come avviene per le associazioni.

Tuttavia rispetto alle associazioni sussiste una differenza fondamentale: mentre il nostro ordinamento ammette e disciplina in via generale le associazioni non riconosciute, lo stesso non avviene per le fondazioni, con la conseguenza che le fondazioni non riconosciute risultano ammissibili nel nostro ordinamento nei soli casi espressamente previsti dalla legge.

Un caso di fondazione non riconosciuta espressamente contemplata dalla legge è l’ipotesi regolata all’art. 32 c.c. di beni lasciati o donati ad un ente e vincolati ad uno scopo particolare diverso da quello proprio dell’ente destinatario del lascito o della donazione. Il “lascito” o la donazione, allora, altro non sono se non un atto di fondazione, che imprimendo ai beni un vincolo reale di destinazione crea un vero e proprio patrimonio separato rispetto a quello dell’ente, la cui amministrazione spetta all’ente medesimo (da qui la denominazione corrente di “fondazione fiduciaria”). Si tratterà, dunque, di una fondazione non riconosciuta amministrata da una persona giuridica anziché da una o più persone fisiche.

Fondazioni Bancarie

Un cenno meritano, infine, le c.d. fondazioni bancarie sorte dalla trasformazione degli enti creditizi in società per azioni inaugurata con L. 30 luglio 1990, n. 218 (e con il decreto legislativo di attuazione, 20 novembre 1990, n. 356), attraverso la scissione tra enti conferenti (originariamente titolari della proprietà delle banche) ed enti conferitari dell’azienda bancaria (società per azioni già esistenti o di nuova costituzione).

Alla privatizzazione formale è seguita, quindi, la privatizzazione sostanziale degli enti creditizi (L. 23 dicembre 1998, n. 461 e D.Lgs. 17 maggio 1999, n. 153) realizzata mediante la graduale uscita degli enti conferenti dagli assetti proprietari delle banche assegnando loro, in via esclusiva, il perseguimento di “scopi di utilità sociale e di promozione dello sviluppo economico” e la definitiva denominazione di “fondazioni bancarie” (art. 2, comma 1, D.Lgs. 153/1999).

Con l’espresso riconoscimento, da parte del legislatore della natura di persone giuridiche private senza fine di lucro è stata così definitivamente risolta la diatriba intorno alla natura pubblica o privata degli enti conferenti (da ultimo, C. Cost. 29 settembre 2003, n. 300). Le fondazioni bancarie sono, dunque, enti di diritto privato, retti da una disciplina speciale che, pur partecipando degli elementi propri delle fondazioni, si caratterizzano per una spiccata eteronomia: non solo traggono origine da una fonte legislativa ma la stessa autonomia statutaria è, dalla fonte legislativa, fortemente limitata per l’esigenza di garantire la realizzazione degli scopi istituzionali loro assegnati (si veda il D.M. 18 maggio 2004, n. 150, recante il Regolamento in materia di disciplina delle fondazioni bancarie).

*Contributo estratto dal Manuale Maior di Diritto civile di Francesco Caringella e Luca Buffoni – Dike Giuridica 2023