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La vendita*

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La vendita – La garanzia per vizi della cosa compravenduta al banco della prova: le Sezioni Unite chiariscono chi deve dimostrare cosa

A corredo della compravendita si colloca la garanzia per evizione e per vizi della cosa oggetto di scambio rispetto al prezzo convenuto.

In particolare, gli artt. 1476, n. 3), e 1490 e ss c.c. disciplinano la garanzia per vizi della cosa, riconoscendo in capo al venditore l’obbligo di garanzia e in capo al compratore il diritto di garanzia, quale effetto naturale del contratto.

A tal riguardo per vizio s’intende tanto la c.d. inidoneità assoluta, ossia l’imperfezione o il difetto inerente al processo di produzione, fabbricazione o conservazione della cosa, che la rendano inidonea all’uso cui è destinata quanto la c.d. inidoneità relativa e, cioè, il vizio che ne diminuisca in modo apprezzabile il valore.

A fronte di tali vizi, e fermo restando i casi di esclusione legale o convenzionale, l’acquirente può esperire le azioni c.d. edilizie, delineate dall’art. 1492 c.c. sulla scorta del modello romanistico.

Può chiedere, dunque, o la risoluzione del contratto, con la domanda redhibitoria, o la riduzione del prezzo, con l’actio quanti minoris, fermo restando, in ogni caso, il risarcimento del danno ex art. 1494 c.c.

Ciò premesso, il nodo interpretativo riguarda il riparto dell’onere probatorio.

Ci si è chiesti, infatti, se la prova del vizio della cosa, posto a fondamento della domanda giudiziale azionata, gravi sul compratore-attore in garanzia ovvero sul venditore-convenuto.

Facendo ricorso alla regola generale posta dall’art. 2697 c.c., che distingue tra fatti costitutivi e fatti modificativi, estintivi o impeditivi, l’orientamento di gran lunga maggioritario ha ritenuto che la prova del vizio gravasse sul compratore istante.

Tuttavia, a partire dal 2013, una serie di pronunce hanno messo in discussione questo principio.

In particolar modo, si è ritenuto che onerare l’acquirente della prova del vizio contraddicesse la sentenza delle Sez. Un. 13533/2001 che hanno esaurito compiutamente la trattazione del tema del riparto dell’onere della prova in caso di inadempimento di un’obbligazione.

In questo contesto si è inteso il vizio della cosa come inesatto adempimento dell’obbligazione di garanzia, lato sensu assicurativa, gravante sul venditore a norma dell’art. 1476, n. 3), c.c.

Si è, quindi, applicato anche a tale caso il principio di diritto delle Sez. Un. 2001 con la conseguenza che per il compratore è sufficiente allegare l’inesatto adempimento del venditore mentre sarà onere di quest’ultimo dimostrare di aver consegnato una cosa non viziata.

A fronte del contrasto registratosi, la questione è stata rimessa alle Sezioni Unite che hanno deciso con sent. 3 maggio 2019, n. 11748.

Nel rassegnare le proprie motivazioni, la Corte parte dal presupposto della tesi del 2013, procedendo a verificare se sia corretto intendere il vizio della cosa come un’ipotesi di inesatto adempimento di un’obbligazione assicurativa.

Al riguardo, si richiamano, anzitutto, il principio consensualistico di cui all’art. 1376 c.c. e l’obbligo di consegnare la cosa “nello stato in cui si trovava al momento della vendita” a norma degli artt. 1476, n. 2) e 1477 c.c. Quest’ultima disposizione, pur essendo dedicata alla vendita di bene determinato, è espressione di un principio generale.

La vendita – Il codice non pone, dunque, alcun obbligo di consegnare la cosa immune dai vizi; al contrario, impone di consegnarla nello stato in cui si trovava al momento della vendita sicché, se in tale momento era già viziata, l’obbligo di consegna riguarda proprio la cosa come viziata.

A tale obbligo di consegna segue, peraltro, l’obbligo di garanzia destinato a tutelare l’interesse del compratore all’acquisto di una cosa funzionale all’uso tipico.

Si nega, poi, che la garanzia risponda allo schema assicurativo-indennitario. Secondo i giudici della nomofilachia, la garanzia va ricondotta più che al concetto di prestazione (obbligatoria) a quello di soggezione.

Il venditore è esposto, infatti, all’iniziativa del compratore che ha diritto (potestativo) di modificare il contratto, chiedendo la riduzione del prezzo, o di caducarlo, invocandone la risoluzione.

Si smentisce, in tal modo, la correttezza dell’impianto interpretativo seguito dalle pronunce del 2013, finendo per affermare che la garanzia non costituisce una prestazione oggetto di obbligazione.

Il venditore non assume, infatti, un’obbligazione circa i modi di essere attuali della cosa.

Ne deriva che la consegna della cosa viziata costituisce non inadempimento di una obbligazione (di consegna o di individuazione), ma la imperfetta attuazione del risultato traslativo promesso.

La garanzia per vizi non va, dunque, collocata nella prospettiva dell’obbligazione ma in quella della responsabilità, dando luogo a un’ipotesi di responsabilità contrattuale speciale, interamente disciplinata dalle norme dettate sulla vendita.

Si tratta, infatti, di una responsabilità che prescinde da ogni giudizio di colpevolezza del venditore e si fonda soltanto sul dato obiettivo dell’esistenza dei vizi.

Smontata la premessa argomentativa dell’orientamento minoritario, le Sezioni Unite ribadiscono l’esegesi tradizionale, affermando che è onere del compratore provare il vizio della cosa.

In favore di tale conclusione militano, d’altronde, ulteriori considerazioni.

In primo luogo, il principio della vicinanza dell’onere della prova e quello secondo cui negativa non sunt probanda.

In secondo luogo, il dato sistematico a mente del quale anche per la garanzia nell’appalto e nella locazione la prova del vizio grava sul committente cha abbia accettato l’opera e sul conduttore che abbia ricevuto in godimento la res.

In terzo luogo, il dato comparato che confronta l’assetto italiano con gli altri ordinamenti europei.

La vendita – L’atto interruttivo della prescrizione delle azioni edilizie finisce nel mirino delle Sezioni Unite

La disciplina della garanzia per vizi della cosa è assoggettata a ristretti termini di decadenza e prescrizione, di cui all’art. 1495 c.c.

Il legislatore vuole, infatti, stabilizzare l’effetto contrattuale e garantire la certezza degli scambi giuridici ed economici, evitando che il decorso del tempo renda eccessivamente gravoso l’accertamento delle cause del difetto denunciato.

Dottrina e giurisprudenza si sono divise, tuttavia, nell’individuazione dell’atto idoneo a interrompere il decorso della prescrizione sì da preservare integro il diritto alla garanzia del compratore.

La domanda dirimente è la seguente: l’efficacia interruttiva della prescrizione delle azioni edilizie può riconoscersi solo alla proposizione della domanda giudiziale o anche agli atti stragiudiziali di messa in mora?

La discussione ha preso le mosse da due rilievi letterali.

Si è osservato, infatti, che, per un verso, l’art. 1495, comma 3, c.c. parla di prescrizione dell’azione, e non del diritto come fa, invece, l’art. 2934 c.c. e che, per altro verso, il codice civile previgente prevedeva testualmente che “l’azione redibitoria deve proporsi entro un anno dalla consegna” (art. 1505).

Da qui, alcuni hanno circoscritto l’efficacia interruttiva ai soli atti giudiziali di proposizione della domanda di garanzia, altri hanno esteso tale efficacia a qualsiasi atto, anche stragiudiziale, idoneo a costituire in mora il venditore ex art. 1219 c.c.

Le Sezioni Unite hanno fatto chiarezza con la sentenza dell’11 luglio 2019, n. 18672, aderendo alla tesi estensiva.

A tale conclusione si perviene valorizzando una serie di argomenti.

Anzitutto, si legge come mero sinonimo il riferimento ora al diritto ora all’azione, rilevandosi una certa scioltezza del legislatore nell’utilizzo di tali espressioni.

Successivamente, si fa notare che l’argomento storico non corrobora ma, al contrario, inficia la tesi restrittiva, dal momento che proprio il mutamento lessicale tra la formulazione del 1865 e quella del 1942 dovrebbe fare emergere il cambio di passo voluto dal legislatore.

Inoltre, si richiama la disciplina generale della prescrizione che, ove non puntualmente derogata, deve ritenersi applicabile a ogni diritto, ivi compreso quello sostanziale, e non meramente processuale, posto dagli artt. 1490 e ss. c.c.

La garanzia per vizi della cosa non si esaurisce, infatti, nel riflesso processuale con le azioni di risoluzione o di riduzione del prezzo, bensì ha un’autonomia sostanziale, assegnando al compratore un vero e proprio diritto potestativo suscettibile di essere azionato, come tutti i diritti, entro un certo lasso di tempo di prescrizione.

Dunque, al pari degli altri casi, la manifestazione della volontà di voler esercitare il diritto di garanzia, indipendente dalla forma giudiziale o stragiudiziale, rompe l’inerzia del compratore e interrompe la prescrizione, innescando da tale momento il decorso di un nuovo termine prescrizionale.

Peraltro, si evidenziano i benefici, anche deflattivi, di una tale conclusione.

La vendita – Dal momento in cui il compratore manifesta al venditore la volontà di avvalersi della garanzia, riservandosi di decidere successivamente se coltivare tale tutela in via giudiziale o meno, si sta riconoscendo alle parti un ulteriore spatium deliberandi durante il quale potrebbero trovare un accordo che soddisfi l’interesse del compratore sì da rendere inutile il ricorso all’autorità giudiziaria.

In tal modo, viene in rilievo anche una ragione di ordine generale che impatta sul piano socio-economico.

Si afferma, in conclusione, il seguente principio di diritto:nel contratto di compravendita, costituiscono – ai sensi dell’art. 2943, comma 4, c.c. – idonei atti interruttivi della prescrizione dell’azione di garanzia per vizi, prevista dall’art. 1495, comma 3, c.c., le manifestazioni extragiudiziali di volontà del compratore compiute nelle forme di cui all’art. 1219, comma 1, c.c., con la produzione dell’effetto generale contemplato dall’art. 2945, comma 1, c.c..

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*Contributo estratto da Giurisprudenza ragionata di diritto civile di F. Caringella, d. Dimatteo, T. Raimo, E. Succu – Dike Giuridica – Maggio 2024