Dike giuridica, Istituti e sentenze commentate

La permuta*

La permuta è il contratto che ha per oggetto il reciproco trasferimento della proprietà di cose o di altri diritti da un contraente all’altro.

In tale negozio è configurabile, quindi, una doppia vicenda traslativa, la cui peculiarità consiste nel fatto che le parti scambiano un diritto contro un altro diritto. Ne discende l’esclusione dall’ambito del contratto in esame dell’ipotesi in cui una parte si obbliga a un fare verso l’alienazione di un bene (negozio innominato c.d. do ut facias) (Bianca, Vassalli).

L’autonoma tipicità di cui gode la permuta non esclude, nondimeno, l’influenza che su di essa ha il più importante negozio che assolve a una funzione di scambio, ossia la compravendita, come emerge dall’art. 1555 c.c.

All’opinione che qualifica il contratto in esame come un “relitto storico” si è obiettato che anche nell’ambito dei più evoluti sistemi economici si presentano contingenze nelle quali la permuta può risultare più utile della vendita, come per soddisfare privati interessi nei periodi di svalutazione monetaria, o per esigenze generali dell’economia (Cillo). In particolare, in epoca recente il negozio ha riacquistato nuova vitalità nel campo dell’edilizia, attraverso l’operazione di permuta di area edificabile (cosa presente) e appartamenti da costruire sull’area stessa (cose future). Tale operazione economica consente, invero, a piccole imprese di realizzare complessi edilizi di notevoli dimensioni evitando l’oneroso ricorso al credito.

2.1  La natura giuridica

In relazione alla relativa natura giuridica si manifesta l’analogia con la compravendita.

Si sostiene, infatti, che la permuta sia un contratto consensuale, nel senso che, per la sua conclusione, è sufficiente il solo consenso delle parti, non occorrendo anche la traditio.

La permuta è un contratto a esecuzione istantanea, dal momento che l’esecuzione della prestazione si esaurisce nell’istante del trasferimento del diritto di proprietà o di altro diritto.

Il negozio è altresì produttivo di effetti reali ex art. 1376 c.c., generando il reciproco trasferimento della proprietà, di un diritto reale minore o di altro diritto. Come nella vendita, l’effetto traslativo può non essere immediato, bensì differito al verificarsi di successivi fatti/condizioni necessari alla sua produzione (per esempio l’acquisto della cosa da parte di un permutante o la venuta a esistenza della medesima, rispettivamente nel caso di permuta di cosa altrui e di permuta di bene presente con bene futuro).

Il contratto è a titolo oneroso, seppure sia caratterizzato dal fatto che, invece di ottenere un corrispettivo in denaro, come avviene per la compravendita, la controprestazione concerne il trasferimento del diritto di proprietà su altro bene o di altro diritto. Inoltre, si tratta di un negozio a prestazioni corrispettive, essendo ogni prestazione causa dell’altra.

La permuta, inoltre, è un contratto commutativo, perché è sempre possibile valutare l’entità del vantaggio e del sacrificio che si verificano per ciascuna parte.

2.2  La struttura

Il negozio è a forma libera, salvo che una particolare forma sia richiesta dalla natura dei diritti trasferiti. Nello specifico, ai sensi dei n. 1) e 2), comma 1 dell’art. 1350 c.c. la permuta avente a oggetto diritti reali immobiliari deve farsi per atto pubblico o scrittura privata, anche quando uno soltanto dei beni abbia tale natura e l’onere di trascrivere il proprio acquisto grava su entrambe le parti (Giannattasio). Invece, non risulta necessario un atto analogo per il pagamento dell’eventuale conguaglio in denaro, dovuto da una delle parti permutanti, potendo la solutio essere dimostrata, come ogni altro negozio, a mezzo di prova testimoniale, sia pure entro i limiti posti dalla legge all’ammissibilità di tale prova in materia contrattuale.

La causa del contratto in esame viene comunemente identificata nello scambio della proprietà di cose o di diritti o di una cosa con un diritto; la funzione, quindi, è analoga a quella della vendita, ma la differenza riguarda l’interesse finale delle parti, che nella permuta viene realizzato immediatamente, mentre nella vendita solo il compratore lo realizza subito e il venditore dovrà attendere il momento di reimpiego del prezzo conseguito.

L’oggetto del negozio è costituito dal reciproco trasferimento di diritti reali su cose materiali o immateriali, di diritti di credito e di contratti. In particolare, per quanto attiene ai diritti, si ritiene che questi possano costituire oggetto della permuta a condizione che siano oggettivabili, o per la loro aderenza a una cosa o per la loro estraneità dall’originario titolare, in modo tale da risultare liberi di circolare da un soggetto all’altro.

2.3  I rapporti con le figure affini

La permuta presenta alcune affinità con altri tipi contrattuali, onde si rende necessaria la ricerca degli elementi che ne consentono una differenziazione.

Non costituisce permuta, ma locazione, la concessione del diritto di godere di un determinato bene verso un corrispettivo di altri beni diversi dal denaro, poiché mediante la permuta le parti si impegnano a una vicenda traslativa del diritto e non a concedere il godimento di una cosa.

Il profilo causale della permuta consente di coglierne le differenze rispetto alla divisione ereditaria, nell’ipotesi in cui sussistano delle reciproche alienazioni da parte dei coeredi, poiché si dovrà ritenere sussistente una divisione qualora le alienazioni siano state effettuate allo scopo di porre fine a una comune partecipazione.

La distinzione dalla vendita è chiara in astratto, siccome la compravendita è un’ipotesi di scambio di cosa contro prezzo, mentre la permuta è uno scambio reciproco di cose o altri diritti, mancando cioè il corrispettivo. Inoltre, il distinguo è chiaro anche dal punto di vista funzionale: nella vendita una delle due prestazioni ha a oggetto un bene assunto nella sua utilità diretta, l’altra un bene (il prezzo) assunto nella sua utilità strumentale, costituita dalla funzione misuratrice dei valori economici; invece, nella permuta ciascuno dei contraenti acquista il bene offerto dall’altro per usarlo o per impiegarlo direttamente secondo la sua utilità naturale (Cottino).

Nondimeno, quando dal piano astratto si passa a quello concreto sorgono non pochi interrogativi sulla qualificazione di una fattispecie come permuta o vendita, la cui soluzione è di rilevanza decisiva ai fini dell’applicazione della disciplina speciale dettata dagli artt. 1553 e 1554 c.c. (si veda il §2.6).

Un problema che è stato spesso posto all’attenzione degli interpreti è quello della riconduzione alla vendita o alla permuta della fattispecie di permuta con conguaglio in denaro, in cui alla prestazione traslativa di uno dei permutanti si accompagna un’attribuzione pecuniaria.

Sul tema il codice civile previgente all’art. 1554 c.c. seguiva il criterio della prevalenza, o del maggior valore della prestazione, secondo cui il contratto doveva essere considerato come una vendita nell’ipotesi in cui la somma di denaro aggiunta alla dazione del bene fosse superiore al valore del bene stesso: criterio, questo, ancora oggi ritenuto applicabile da parte della dottrina (Cottino). A tale teoria oggettiva se ne contrappone un’altra soggettiva che, con il favore della giurisprudenza, incentra la distinzione sulla maggior importanza soggettiva della prestazione. Se ne ricava che la singola fattispecie concreta debba essere ricondotta alla permuta o alla vendita a seconda che le parti abbiano ritenuto rispettivamente preminente la cosa o il denaro.

Secondo una terza teoria non si dovrebbe tentare un forzato inquadramento della fattispecie nell’uno o nell’altro schema tipico, ma limitarsi a prendere atto del concorso stesso e applicare a ciascuna attribuzione la regola che la riguarda, trattandosi di una fattispecie negoziale mista di vendita e permuta. Ciononostante, così facendo si finirebbe per tornare al criterio della prevalenza, dato che il contratto misto viene regolato, in caso di incompatibilità fra le discipline dei tipi legali cui esso è riconducibile, dalla normativa dell’elemento principale o prevalente (Cillo).

Sul punto si evidenzia come la giurisprudenza di legittimità abbia avuto modo di specificare che per stabilire se un contratto traslativo della proprietà di un bene, per il quale la controprestazione sia costituita, in parte, da una cosa in natura e, in parte, da una somma di denaro, costituisca una compravendita o una permuta, una volta che si escluda la duplicità di negozi ovvero l’ipotesi del contratto con causa mista, occorra avere riguardo non già alla prevalenza del valore economico del bene in natura ovvero della somma di denaro, bensì alla comune volontà delle parti, verificando se esse hanno voluto cedere un bene contro una somma di denaro, commutando una parte di essa, per ragioni di opportunità, con un altro bene, ovvero hanno concordato lo scambio di beni in natura, ricorrendo all’integrazione in denaro soltanto per colmare la differenza di valore tra i beni stessi (Cass. 9 novembre 2022, n. 32982; Cass. 11 marzo 2014, n. 5605).

La permuta non deve poi essere confusa con la vendita a cui faccia seguito una dazione in pagamento poiché, in questo secondo caso, l’attribuzione dovrà essere intesa come un modo di soddisfacimento surrogatorio dell’obbligazione pecuniaria.

Nel caso di scambio di una res con titoli di credito (come l’assegno circolare, il vaglia bancario o l’assegno bancario) la qualificazione in termini di compravendita si giustifica in ragione della funzione sostitutiva della moneta cui assolvono i titoli medesimi. Al contrario è ritenuta permuta e non vendita lo scambio fra due monete, anche se tuttora in circolazione, qualora siano dalle parti considerate per il loro valore intrinseco, ovvero lo scambio di moneta di tagli grossi con quella di tagli piccoli (Cottino).

2.4  La permuta di cosa futura

L’evidenziata possibilità che la permuta produca effetti traslativi immediati, o differiti alla successiva verificazione di un fatto, consente di rilevare la configurabilità di una permuta di cose generiche, alternativa, con riserva di proprietà, di cosa futura, di cosa altrui.

Quanto alla permuta di cosa futura si rileva come non esistano differenze significative con il contratto di vendita tali da impedire l’applicazione della normativa di cui all’art. 1472 c.c. Nel caso della permuta, però, vi è la particolarità che la cosa presente si trasferisce al momento della conclusione del contratto, mentre quella futura si trasferirà solo al momento della sua venuta a esistenza.

Questa applicazione è stata ammessa quasi unanimemente dalla dottrina e dalla giurisprudenza con riferimento all’ipotesi in cui il proprietario di un’area fabbricabile l’alieni a un costruttore che, quale corrispettivo, gli trasferirà uno o più appartamenti dell’edificio destinato a essere costruito, nella quale si pone il problema della distinzione tra contratti di alienazione e contratti d’opera.

Secondo un orientamento ormai consolidato, la fattispecie in esame sarebbe da ricondurre alle ipotesi di permuta di un bene presente con altro futuro ovvero del contratto misto vendita-appalto, a seconda che, rispettivamente, il sinallagma negoziale consista nel trasferimento reciproco del diritto di proprietà attuale del terreno e di quello futuro sul fabbricato (l’obbligo di erigere il medesimo restando su di un piano meramente accessorio e strumentale), ovvero l’attività di costruzione del fabbricato risulti l’oggetto principale della volontà delle parti (a essa risultando strettamente funzionale la precedente cessione dell’area). Nella prima ipotesi si assisterebbe, in altri termini, allo scambio tra la proprietà dell’area fabbricabile (cosa presente) e una parte della costruzione futura (cosa futura), che sarà regolato dalla disciplina dei contratti di alienazione, salva l’applicabilità di singole norme sull’appalto in quanto non siano specificatamente legate alla causa di tale contratto. Parte della dottrina evidenzia, invero, come in questa particolare fattispecie di permuta, poiché la prestazione di edificare a carico dell’acquirente dell’area è pur sempre rilevante nell’assetto di interessi voluto dalle parti, possano trovare applicazione talune regole dell’appalto, come quella del recesso in caso di morte dell’appaltatore di cui all’art. 1674 c.c. (Oberto).

In argomento, la giurisprudenza ha precisato come l’ammissibilità di tale operazione sia legata al fatto che l’esistenza della cosa futura non sia solo eventuale, poiché si ritiene che altrimenti si avrebbe la cessione di un diritto senza corrispettivo, cioè a titolo gratuito, in contrasto con la natura stessa del contratto di permuta. La giurisprudenza ha chiarito, inoltre, che tale negozio produce l’effetto del trasferimento immediato della proprietà dell’area e della costituzione dell’obbligazione dell’acquirente di tenere il comportamento necessario affinché la cosa da consegnare venga a esistenza, evento che segna l’acquisto della proprietà in favore del permutante il suolo. A tal fine, peraltro, è sufficiente che il processo produttivo della cosa si perfezioni nelle sue componenti essenziali, risultando irrilevante che il bene manchi di alcune rifiniture o di qualche accessorio non indispensabile per la sua realizzazione.

Ciononostante, una parte della dottrina evidenzia come la ricostruzione della vicenda in termini di permuta di cosa futura non tuteli adeguatamente il permutante l’area, perché al momento della conclusione del contratto egli non ha più la proprietà del suolo ma non è ancora proprietario delle unità immobiliari (Cillo). Ciò assume rilievo, in particolare, sia in caso di inadempimento, perché la relativa azione non potrà essere opposta agli aventi causa dal costruttore ex art. 1458, comma 2 c.c., sia in caso di fallimento del costruttore, perché il danno procurato al proprietario dell’area sarà risarcito solo in moneta fallimentare (Perlingieri).

È anche in ragione di ciò che, nella pratica, si è fatto ricorso anche ad altri strumenti giuridici.

Nello specifico una soluzione è data dalla permuta con riserva di proprietà, in cui il trasferimento dell’area non avverrà al momento della conclusione del contratto, ma quando il costruttore avrà adempiuto e la costruzione sarà ultimata.

Altra soluzione è costituita dalla riserva di superficie: il proprietario dell’area la vende al costruttore, riservandosi tale diritto sulle zone ove saranno edificati i suoi appartamenti e, contestualmente, stipulerà un contratto di appalto, il cui corrispettivo in denaro sarà compensato con il prezzo dell’area trasferita. Una terza soluzione, infine, è costituita dal collegamento negoziale tra vendita, divisione e appalto: il proprietario del suolo vende una quota indivisa dello stesso, riservandosi una quota corrispondente (millesimi) al valore degli appartamenti a lui attribuiti; le parti procedono alla divisione del futuro edificio e il venditore dà in appalto al costruttore la realizzazione delle porzioni immobiliari attribuitegli con la divisione e delle relative parti comuni, compensando il corrispettivo dell’appalto con il prezzo della vendita.

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*Contributo estratto dal Manuale ragionato di diritto civile – parte speciale di F. Caringella, D. Dimatteo – Maggio 2024