L’interdizione giudiziale è disposta nell’ipotesi in cui il maggiore di età o il minore emancipato si trovino in una condizione di abituale infermità di mente tale da renderli incapaci alla cura dei propri interessi (art. 414 c.c.). Ricorrendo lo stesso presupposto, può farsi luogo ad interdizione anche del minore di età nell’ultimo anno della minore età (art. 416 c.c.).
Mentre la norma precedente sanciva il dovere di interdire i soggetti che versassero in condizioni di abituale infermità mentale, la L. 6/2004 ha modificato l’art. 414 c.c. statuendo che le persone inferme di mente possono essere interdette quando “ciò è necessario per assicurare la loro adeguata protezione”.
Incapacità assoluta
L’interdizione determina una situazione di incapacità legale identica a quella del minore: il soggetto è privato del tutto della capacità di agire, non potendo compiere autonomamente né gli atti di straordinaria né quelli di ordinaria amministrazione, versando, dunque, in una situazione di incapacità assoluta, identica a quella in cui si trova il minore, di modo che gli atti compiuti eventualmente dall’interdetto sono annullabili (art. 427, comma 2, c.c.).
La nuova disciplina ha tuttavia attenuato il regime di completa incapacità di agire dell’interdetto introducendo la possibilità per il giudice, all’atto della pronuncia dell’interdizione, di prevedere che taluni atti di ordinaria amministrazione possano essere compiuti dall’incapace senza l’assistenza del tutore (art. 427, comma 1, c.c.).
“Extrema ratio” dell’istituto
Emerge, allora, in tutta evidenza il carattere residuale dell’istituto destinato ad operare esclusivamente come extrema ratio.
A conferma di ciò depongono le molteplici condizioni richieste per la sua applicabilità ovvero:
a) la condizione patologica dell’infermità di mente;
b) un’infermità mentale che presenti il carattere dell’abitualità e, quindi, della stabilità;
c) l’infermità deve altresì rendere il soggetto incapace alla cura dei propri interessi.
Disciplina
L’interdizione è pronunciata dal tribunale, con sentenza, su istanza del coniuge o della persona stabilmente convivente, dei parenti entro il quarto grado, degli affini entro il secondo grado, del tutore o del curatore, o del pubblico ministero (art. 417 c.c.).
Lo status di incapacità decorre dal giorno della pubblicazione della sentenza (art. 421 c.c.). Si parla a tale proposito di interdizione giudiziale proprio perché l’interdizione è l’effetto di un provvedimento del giudice.
All’interdetto viene dato un tutore scelto, preferibilmente, fra i suoi stretti congiunti. Il tutore è nominato dal giudice tutelare ed ha le stesse funzioni e gli stessi poteri di legale rappresentanza del tutore del minore, di talché alla tutela degli interdetti si applicano le stesse disposizioni sulla tutela dei minori (art. 424 c.c.).
Così come l’interdizione è disposta con sentenza, del pari con sentenza può essere revocata ove cessi la causa che l’ha provocata. Qualora nel corso del giudizio di revoca emerga, tuttavia, la necessità che il soggetto sia assistito dall’amministratore di sostegno, d’ufficio o su istanza di parte, può essere avviato il procedimento per la nomina dell’amministratore di sostegno (art. 429 c.c.).