Dike giuridica, Istituti e sentenze commentate

Il principio di tassatività*

Il principio di tassatività*

1.        Il principio di tassatività. Precisazioni lessicali

La riserva di legge sancita dall’art. 25 Cost. e il principio di irretroattività delle norme penali di sfavore non esauriscono i corollari del principio di legalità, che si estendono altresì alle modalità con cui il legislatore emana le leggi penali.

Rilevano in tal senso il principio di tassatività e il divieto di analogia delle norme penali, che impongono al legislatore di formulare le fattispecie incriminatrici e le norme che incidono sulla punibilità del reo in modo tale da consentirne, da un lato, la comprensibilità e la prevedibilità da parte del reo, prevenendo, dall’altro, un eccessivo spazio discrezionale in capo all’organo giudicante, che deve restare fedele alla legge nella sua applicazione.

Rinviando al prossimo capitolo l’esame del divieto di analogia delle norme penali, in questa sede occorre preliminarmente operare talune precisazioni terminologiche relative, in particolare, all’accezione di tassatività nella dottrina e nella giurisprudenza nazionali.

Con il termine tassatività, infatti, parte della dottrina intende una serie di regole che il principio di legalità impone al legislatore nell’esercizio della potestà normativa, affinché confezioni disposizioni chiare e precise, che consentano ai consociati e al giudice di individuare immediatamente il relativo contenuto precettivo.

Secondo una prima impostazione [Mantovani], afferiscono al principio di tassatività sia il principio di chiarezza e precisione nella formulazione delle norme penali, sia il divieto di analogia, che impedisce di applicare le norme penali oltre i casi – tassativi – espressamente individuati dal legislatore.

Altra parte della dottrina [Fiandaca, Musco] distingue tra principio di tassatività e divieto di analogia, riconducendo al primo il dovere di chiarezza e precisione e, al secondo, la necessità di applicare la legge penale ai soli casi espressamente previsti dalla legge.

Il quadro sin ora descritto si è arricchito a seguito di una importante sentenza della Corte cost. 96/1981, intervenuta sul delitto di plagio, che ha affermato la necessità che gli elementi costitutivi della fattispecie penale siano individuati dal legislatore non solo in maniera chiara e precisa ma anche determinata, cioè idonea a trovare riscontro nella realtà materiale.

Il principio di determinatezza, elaborato dalla Corte costituzionale, si aggiunge dunque al principio di chiarezza e precisione, come corollario del principio di tassatività e impone di elevare ad elementi costitutivi del reato solo fatti suscettibili di essere provati in giudizio e quindi riscontrabili nella realtà fenomenica.

I corollari del principio di legalità che vincolano il legislatore e il giudice nell’emanazione e nell’interpretazione della legge penale sono dunque tre: il principio di chiarezza e precisione, il principio di determinatezza e il divieto di analogia. A seconda dell’impostazione che si prediliga questi ultimi saranno considerati come sotto-principi del principio di tassatività (che imporrebbe quindi la precisione, la determinatezza e la tassatività in senso stretto – come divieto di analogia – della legge penale) ovvero distinti tra tassatività (cui afferiscono, secondo tale impostazione, i principi di precisione e di determinatezza) e divieto di analogia, quale autonomo corollario del principio di legalità.

2.   Il fondamento costituzionale del principio di tassatività

Come si è avuto modo di osservare in sede introduttiva, il principio di tassatività può intendersi in un’accezione estensiva, comprensiva del divieto di analogia della norma penale, ovvero restrittiva, con riferimento ai sotto-principi di chiarezza e precisione della fattispecie penale e di determinatezza degli elementi costitutivi del reato.

Accedendo in questa sede alla prima accezione del principio, si devono prendere le mosse dal suo fondamento costituzionale e dai suoi referenti normativi.

Il principio di tassatività è pacificamente annoverato tra i corollari del principio di legalità, poiché la funzione di garanzia che quest’ultimo persegue risulterebbe frustrata se, pur riservando al potere legislativo l’adozione di norme penali, si consentisse di confezionare fattispecie incriminatrici così vaghe e imprecise da lasciare ampio margine discrezionale in sede applicativa, che rischierebbe di sfociare nell’arbitrio.

È pertanto chiara la ratio del principio in esame che, imponendo la descrizione chiara e precisa degli elementi costitutivi della fattispecie incriminatrice, impedisce, da un lato, che vengano a crearsi spazi di eccessiva discrezionalità giudiziaria e, dall’altro, che i precetti penali risultino incomprensibili o ambigui per i consociati. Tale evenienza, infatti, impedirebbe alla legge penale di produrre il proprio effetto deterrente e non consentirebbe di muovere un rimprovero al reo, qualora non fosse stato messo in condizione di comprendere il precetto penale violato.

Così ricostruito il fondamento ideologico del principio, occorre individuare il suo ancoraggio normativo, costituzionale e ordinario.

A tal proposito deve preliminarmente precisarsi che manca nelle disposizioni della Costituzione un espresso riconoscimento del principio di tassatività; tale carenza, tuttavia, non comporta che il principio in questione risulti privo di un addentellato costituzionale, seppure implicito.

Sono infatti diverse le teorie elaborate in dottrina riguardo il fondamento costituzionale del principio, che assegnano rilevanza in via alternativa o cumulativa a molteplici disposizioni della Carta fondamentale.

Secondo parte della dottrina, infatti, il principio di tassatività troverebbe la propria base normativa nell’art. 25, comma 2, Cost., dal momento che la ratio della riserva di legge e del principio di irretroattività risulterebbe altrimenti frustrata: la possibilità per il legislatore di disciplinare in maniera vaga e ambigua i comportamenti penalmente rilevanti renderebbe meramente formale il monopolio legislativo in materia penale, richiedendo un intervento giurisprudenziale per eliminare le incertezze e i dubbi circa la portata precettiva di siffatte disposizioni penali.

Nel contempo, il giudice penale sarebbe in condizione di interpretare con ampi margini di scelta la disposizione incriminatrice e farvi rientrare comportamenti che il privato potrebbe non aver considerato come penalmente rilevanti, in spregio al diritto di autodeterminazione dei consociati e di necessaria colpevolezza, che costituiscono la ratio del divieto di retroazione delle norme penali di sfavore.

Il riferimento all’art. 25 Cost., tuttavia, pur condivisibile sul piano argomentativo, comporta un vulnus all’autonomia del principio di tassatività, che secondo tale impostazione appare ancillare e strumentale rispetto ai summenzionati principi.

È stata pertanto elaborata una diversa ricostruzione del fondamento costituzionale del principio, che fa perno sul principio di eguaglianza, di cui all’art. 3 della Costituzione: se infatti il legislatore formulasse gli elementi costitutivi della fattispecie penale in maniera vaga e imprecisa, permetterebbe al giudice penale di interpretare con ampia libertà le disposizioni incriminatrici; di conseguenza, la medesima disposizione potrebbe trovare applicazione in maniera diversa a seconda del giudice chiamato a interpretarla; tale condizione determinerebbe lo sviluppo di un forte contrasto giurisprudenziale, difficilmente eliminabile da parte della Corte di Cassazione, che sarebbe a propria volta priva di parametri certi cui fare riferimento nella sua attività nomofilattica.

Questa diversità nell’applicazione della legge penale, spinta alle estreme conseguenze, potrebbe comportare una disparità di trattamento tra i consociati, a fronte di interpretazioni diametralmente opposte della medesima disposizione normativa, in violazione dell’art. 3 Cost.

Anche in riferimento a suddetta ricostruzione si è obiettato che il controllo di costituzionalità della disposizione penale per violazione del principio di tassatività risulterebbe impossibile per assenza di un tertium comparationis, non essendo possibile individuare in una disposizione vaga e imprecisa i necessari punti di riferimento per escludere la legittimità costituzionale di una delle sue possibili interpretazioni.

Un diverso orientamento ha pertanto fatto riferimento agli effetti che una norma penale priva dei caratteri di chiarezza, precisione e determinatezza, comporterebbe nell’ordinamento penale, evidenziando che il principio di tassatività, che impone tali canoni al legislatore nell’emanazione della legge penale, risulta necessario affinché possano ritenersi rispettate le disposizioni di cui agli artt. 101, comma 2; 112; 24, comma 2, e 54 della Carta Costituzionale.

Occorre pertanto evidenziare i profili di collegamento tra il principio di tassatività e ciascuna delle norme costituzionali menzionate, prendendo le mosse dall’art. 101, comma 2, Cost.; la disposizione in esame prevede che “i giudici sono soggetti soltanto alla legge”, così affermando la primazia della fonte legislativa nell’esercizio della funzione giurisdizionale; ove quindi la legge, in specie penale, fosse formulata in maniera oscura e imprecisa, il giudice non sarebbe soggetto ad essa, potendo godere di ampi spazi di manovra in sede interpretativa, consentiti dalla carenza di tassatività della fattispecie penale.

Nel contempo, una norma penale priva dei requisiti di chiarezza e precisione comporterebbe serie difficoltà nell’esercizio dell’azione penale che, ai sensi dell’art. 112 Cost., è obbligatoria: una disposizione incriminatrice di carattere vago e confuso non permetterebbe infatti al Pubblico Ministero di addivenire alle proprie determinazioni in ordine all’esercizio dell’azione penale, lasciando che margini di discrezionalità si insinuino anche in riferimento alla funzione della pubblica accusa.

Non meno rilevanti sono le conseguenze della violazione del principio di tassatività con riferimento alla posizione dell’imputato, il quale sarebbe posto nell’impossibilità di apprestare la propria difesa a fronte di una contestazione che assume tratti vaghi e imprecisi, mutuandoli dalla norma incriminatrice di riferimento; in assenza di elementi costitutivi chiari e precisi, infatti, il reo non potrà elaborare una strategia difensiva puntuale e ne risulterà frustrato il suo diritto inviolabile di difesa, di cui all’art. 24 Cost.

Del pari, come osservato dalla Corte costituzionale nella storica sent. 364/1988 – su cui si tornerà nella Sez. IV della Parte II del Manuale – lo stesso dovere dei consociati di osservare la legge, sancito dall’art. 54, comma 1, Cost., risulterebbe inesigibile se le disposizioni dettate dal legislatore presentassero un grado di incertezza e ambiguità tale da impedire loro di comprenderne il significato e di orientare, di conseguenza, il proprio comportamento.

Dalle considerazioni svolte emerge pertanto che il principio di tassatività presenta un plurimo fondamento costituzionale e soddisfa esigenze comuni a tutti i protagonisti del processo penale, giudice, Pubblico Ministero, imputato e difensore, i quali, in mancanza, non sarebbero in grado di svolgere correttamente la propria funzione o, nel caso dell’imputato, di esercitare i propri diritti nel processo.

Tanto premesso circa il fondamento costituzionale del principio in questione, occorre dare atto delle disposizioni normative di rango ordinario che ne costituiscono un più immediato referente normativo.

Rilevano in tal senso gli artt. 1 e 199 c.p. che, in relazione, rispettivamente, all’irrogazione di pene e all’applicazione di misure di sicurezza, prevedono, il primo, che “nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente preveduto come reato dalla legge, né con pene che non siano da essa stabilite” e, il secondo, che “nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza che non siano espressamente stabilite dalla legge”.

Entrambe le disposizioni richiedono che una legge preveda espressamente la qualificazione del fatto commesso dal reo come reato, nonché l’irrogazione delle conseguenti pene o misure di sicurezza.

Attraverso l’avverbio “espressamente” dunque, il legislatore del Codice penale, prima ancora dell’emanazione della Carta Costituzionale, ha affermato la necessità di una formulazione espressa del precetto penale, che non consenta quindi l’emanazione di norme vaghe e imprecise, inidonee ad esprimere la volontà legislativa.

*Contributo estratto da “Manuale ragionato di diritto penale – parte generale” di F. Caringella, A. Salerno – Dike giuridica editrice – Ottobre 2024