Per spaccio di sostanze stupefacenti, nel gergo giudiziario e comune, si intende l’attività di messa in circolazione della sostanza stupefacente, che solitamente si attua mediante uno scambio tra droga e danaro, che avviene tra il c.d. pusher e l’acquirente finale.
Il legislatore assegna invero rilievo a ben più rilevanti e pericolose condotte, che avvengono a monte, in relazione ai traffici di sostanza stupefacente e alla fornitura dei gruppi criminali, come emerge dalla stessa formulazione dell’art. 73 del D.P.R. 10 ottobre 1990, n. 309, nella parte in cui – dopo aver preso in considerazione le condotte di produzione del prodotto (coltivazione, fabbricazione, estrazione, raffinazione), affianca alla vendita al dettaglio (“vende, offre o mette in vendita) le più ampie condotte di chi “cede o riceve, a qualsiasi titolo, distribuisce, commercia, acquista, trasporta, esporta, importa, procura ad altri, invia, passa o spedisce in transito, consegna per qualunque scopo”.
Spaccio di sostanze stupefacenti: offerta in vendita
Concentrando l’attenzione, in questa sede, sulle condotte di scambio al minuto, che affollano la casistica giudiziaria e sono state oggetto delle più importanti pronunce della giurisprudenza di legittimità e costituzionale, deve evidenziarsi che quella di offerta in vendita è punibile per il solo fatto che l’agente dichiari di essere in grado di procurare sostanza stupefacente da mettere a disposizione del ricevente o dell’acquirente, purché però tale dichiarazione sia manifestazione di una seria volontà di procacciare e fornire la droga, realizzabile in base alle circostanze e alle modalità dei fatti. Per integrare tali ipotesi criminosa, che può rivolgersi al singolo o al pubblico (ad esempio sul c.d. dark web), non si richiede l’accettazione dell’offerta, altrimenti, essendo subentrato il consenso, si ricadrebbe nell’ipotesi della cessione.
Spaccio di sostanze stupefacenti: messa in vendita
La messa in vendita fa riferimento invece ad una concreta e attuale disponibilità ed esposizione della sostanza stupefacente, richiedendo perciò un quid pluris rispetto alla condotta di offerta.
La vera e propria vendita presuppone invece lo scambio materiale della sostanza in cambio di un correlativo prezzo in denaro o altra utilità, anche se non nell’immediato (deve tuttavia ritenersi che, nel caso di incontro delle volontà, pur potendosi ritenere operante anche in ambito criminale il principio consensualistico ex art. 1376 c.c., occorrerebbe comunque verificare, come per l’offerta in vendita, la concreta capacità di adempiere del reo); la cessione invece consiste nel passaggio della sostanza da un soggetto all’altro fuori dallo schema della compravendita, come nel caso della permuta, ovvero a titolo gratuito o di cortesia [Amato].
Spaccio di sostanze stupefacenti: consegna
La consegna si sostanzia infine nel trasferire la sostanza stupefacente ad altra persona, assegnando in questo caso rilevanza alla materiale traditio dello stupefacente, sebbene possa verificarsi non solo in presenza delle parti ma altresì mediante individuazione di un luogo di scambio ove la consegna avvenga in maniera non già simultanea ma frazionata.
Spaccio di sostanze stupefacenti: la sentenza della Corte Costituzionale dell’11/07/91 n. 333
Con riferimento alle condotte di cessione, occorre richiamare quanto la Corte Costituzionale che, pur pronunciandosi in relazione alla diversa formulazione assunta dalla disciplina penale in esame, ancora ancorata al parametro quantitativo della dose media giornaliera, con sent. 11 luglio 1991, n. 333, ha affermato che “Rimane precipuo dovere del giudice di merito – nelle ipotesi peculiari in discorso – apprezzare, alla stregua del generale canone interpretativo offerto dal principio di necessaria offensività della condotta concreta, se la eccedenza eventualmente accertata sia di modesta entità così da far ritenere che la condotta dell’agente – avuto riguardo alla ratio incriminatrice del divieto di accumulo e tenuto conto delle particolarità della fattispecie – sia priva di qualsiasi idoneità lesiva concreta dei beni giuridici tutelati e conseguentemente si collochi fuori dall’area del penalmente rilevante (così come già affermato da questa Corte nella sent. 62/1986)”.
Ne consegue che, sebbene la condotta di spaccio assuma rilevanza, sul piano della tipicità, a prescindere del quantitativo ceduto (salva la qualificazione ai sensi del comma quinto, che apre la strada alla non punibilità per particolare tenuità del fatto), e della qualità dello stesso, occorrerà verificare in concreto se la sostanza stupefacente ceduta, corrispondente alle tipologie di cui alle predette Tabelle, contenga principio attivo idoneo a sortire un effetto drogante, lesivo dei beni della salute e dell’ordine pubblico (non potrà pertanto punirsi per cessione di origano misto a marjuana in percentuale insignificante il soggetto agente, così come nei casi in cui la sostanza stupefacente in polvere sia “tagliata” con sostanze da taglio che portino la percentuale di purezza e il relativo principio attivo a livelli insignificanti).
Spaccio di sostanze stupefacenti: la cessione di cannabis sativa
Una particolare e analoga questione, che merita infine di essere esaminata, in relazione alla condotta di spaccio, riguarda infine la cessione di cannabis sativa, disciplinata dalla L. 6 dicembre 2016, n. 242, recante “Disposizioni per la promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa”.
Sul punto sono intervenute le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la recente sent. 10 luglio 2019, n. 30475, con particolare riferimento alla questione “se le condotte di coltivazione di canapa delle varietà di cui al catalogo indicato nell’art. 1 comma 2 della legge 242 del 2016 e, in particolare, la commercializzazione di cannabis sativa L. rientrino o meno, e se si, in quali eventuali limiti, nell’ambito di applicabilità delle predette legge e siano, pertanto, penalmente irrilevanti ai sensi di tale normativa”.
Sul punto sono stati registrati in giurisprudenza due contrapposti orientamenti, il primo dei quali, maggioritario, ha affermato che la succitata legge non consente la commercializzazione della c.d. cannabis sativa L., come invece sostenuto dall’indirizzo minoritario, secondo cui la liceità della coltivazione della cannabis sativa L. comporterebbe anche la liceità della commercializzazione, purché i prodotti derivanti dalla coltivazione abbiano una percentuale di principio attivo inferiore al valore dello 0,6%.
Le Sezioni Unite sono state dunque chiamate a risolvere il predetto contrasto che riguarda dunque la cessione di marjuana caratterizzata da una bassissima concentrazione di principio attivo, tetraidrocannabinolo (THC), procedendo così ad un coordinamento interpretativo tra il testo della L. 242/2016 e la disciplina del D.P.R. 309/1990.
Quest’ultimo, infatti, non assegna alcuna rilevanza alla percentuale predetta, ferma restando la possibilità di qualificare il fatto ai sensi del comma 5 dell’art. 73 e la necessità di accertare l’effetto drogante del quantitativo di sostanza stupefacente ceduta.
La legge del 2016, si pone solo in apparente controtendenza rispetto alla disciplina penale del settore, dal momento che il suo principale obiettivo è l’innovazione del settore merceologico legato alla coltivazione di canapa al fine di soddisfare esigenze del settore agro-industriale.
Ad avviso dei giudici di legittimità, infatti, la novella è intervenuta per disciplinare il settore agroindustriale, senza alcuna efficacia in merito all’uso ricreativo della cannabis, come dimostra l’assenza di alcuna disposizione di coordinamento con il D.P.R. 309/1990.
Inoltre, le tipologie di piante di cui è consentita la coltivazione sono inserite in un elenco tassativo e tale coltivazione costituisce un’eccezione rispetto al generale divieto penalmente sanzionato.
Un ulteriore elemento valorizzato dalle Sezioni Unite riguarda infine le finalità esclusive della coltivazione di cannabis, rivolta alla produzione di fibre o la realizzazione di tessuti per fini industriali, escludendo pertanto la produzione di sostanze stupefacenti.
Ne consegue che non ha alcuna rilevanza il mancato superamento delle percentuali di THC indicate nella L. 242/2016, ai fini dell’accertamento della tipicità della fattispecie ex art. 73, comma 4 o 5 del D.P.R., avendo tale legge un ambito applicativo esclusivamente agro industriale.
Anche in questo caso, tuttavia, le Sezioni Unite, come anticipato, hanno ribadito la necessità di verificare, in relazione condotta di commercializzazione della cannabis sativa light, senza poterla presumere dal valore di THC inferiore allo 0,6%, la concreta offensività della condotta, in relazione alla quantità ceduta, con riferimento all’idoneità a produrre un effetto drogante: “la commercializzazione al pubblico di cannabis sativa L. e, in particolare, di foglie, inflorescenze, olio, resina, ottenuti dalla coltivazione della predetta varietà di canapa, non rientra nell’ambito di applicabilità della L. 242/2016, che qualifica come lecita unicamente l’attività di coltivazione di canapa delle varietà ammesse e iscritte nel Catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole, ai sensi dell’art. 17 della direttiva 2002/53/CE del Consiglio, del 13 giugno 2002 e che elenca tassativamente i derivati dalla predetta coltivazione che possono essere commercializzati, sicché la cessione, la vendita e, in genere, la commercializzazione al pubblico dei derivati della coltivazione di cannabis sativa L., quali foglie, inflorescenze, olio, resina, sono condotte che integrano il reato di cui all’art. 73, D.P.R. 309/1990, anche a fronte di un contenuto di THC inferiore ai valori indicati dall’art. 4, commi 5 e 7, L. 242/2016, salvo che tali derivati siano, in concreto, privi di ogni efficacia drogante o psicotropa, secondo il principio di offensività”. Deve dunque desumersi che, in quest’ultimo caso, la non punibilità della condotta ex art. 49 c.p., non escluda di per sé la rilevanza amministrativa del fatto, ex art. 75 del D.P.R., sebbene sul punto la Corte di Cassazione non abbia preso posizione.
*In tema di spaccio di sostanze stupefacenti, contributo estratto dal Manuale Ragionato di Penale parte speciale, Dike Giuridica 2023 a cura di Francesco Caringella, Alessandro Trinci e Angelo Salerno (Parte III Capitolo 1, paragrafo 2.2 Lo spaccio).