Servizi pubblici locali: 1. La riforma dei servizi pubblici locali di rilevanza economica (D.Lgs. 23 dicembre 2022, n. 201, art. 14)
Ricostruite nella sezione precedente le principali questioni dottrinali e giurisprudenziali in materia di pubblici servizi e delineato il quadro normativo di riferimento, occorre in questa sede dare conto delle modalità di affidamento dei servizi in questione da parte degli enti pubblici, punto di incontro e, spesso, di scontro del diritto nazionale ed europeo, che ha costantemente interessato la giurisprudenza nazionale e della Corte di Giustizia, registrando altresì numerosi interventi della Corte costituzionale.
Il punto di partenza della presente analisi è rappresentato dal D.Lgs. 201/2022, che ha sostituito l’art. 113 T.U.E.L. e le norme connesse in materia.
La disciplina in esame trova applicazione generale in materia di pubblici servizi locali economici di rilevanza generale, ad eccezione dei settori espressamente individuati dal legislatore, cui si applicano norme speciali.
Le forme di affidamento dei s.p.
L’art. 14 della riforma prevede che, tenuto conto del principio di autonomia nell’organizzazione dei servizi e dei principi di cui all’art. 3, l’ente locale e gli altri enti competenti, nelle ipotesi in cui ritengono che il perseguimento dell’interesse pubblico debba essere assicurato affidando il servizio pubblico a un singolo operatore o a un numero limitato di operatori, provvedono all’organizzazione del servizio mediante una delle seguenti modalità di gestione:
a) affidamento a terzi mediante procedura a evidenza pubblica, secondo le modalità previste dall’art. 15, nel rispetto del diritto dell’Unione europea;
b) affidamento a società mista, secondo le modalità previste dall’art. 16, nel rispetto del diritto dell’Unione europea;
c) affidamento a società in house, nei limiti fissati dal diritto dell’Unione europea, secondo le modalità previste dall’art. 17;
d) limitatamente ai servizi diversi da quelli a rete, gestione in economia o mediante aziende speciali di cui all’art. 114 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali di cui al D.Lgs. 267/2000.
Servizi pubblici locali: 2. L’affidamento tramite gara (art 15). Cenni e rinvio
La gara pubblica
L’art. 15 individua quale prima modalità di affidamento dei pubblici servizi l’espletamento di una gara ad evidenza pubblica per la selezione del soggetto deputato a gestire il servizio.
Gli enti locali e gli altri enti competenti, infatti, “affidano i servizi di inte-resse economico generale di livello locale secondo la disciplina in materia di contratti pubblici, favorendo, ove possibile in relazione alle caratteristiche del servizio da erogare, il ricorso a concessioni di servizi rispetto ad appalti pubblici di servizi, in modo da assicurare l’effettivo trasferimento del rischio operativo in capo all’operatore. L’evidenza pubblica definisce il procedimento amministrativo che accompagna la conclusione dei contratti delle PP.AA. e segna la formazione della volontà amministrativa”.
Si tratta, dunque, di un modulo procedimentale applicabile a ciascun tipo contrattuale, volto ad evidenziare l’interesse pubblico sotteso all’operazione e a formare la volontà contrattuale della Pubblica Amministrazione.
Per quanto concerne i contratti passivi, come nel caso di erogazione dei pubblici servizi, la procedura di formazione e conclusione degli stessi è disciplinata dal Codice dei contratti pubblici, D.Lgs. 36/2003, nel rispetto dei principi di derivazione comunitaria.
Le fasi del procedimento ad evidenza pubblica
Per un approfondimento sulla disciplina delle gare ad evidenza pubblica e delle singole modalità di affidamento, si rinvia alla Parte III, Cap. 10.
Servizi pubblici locali: 3. L’affidamento diretto in house providing
L’in house providing. La disciplina dell’affidamento diretto di servizi pubblici, c.d. in house providing, è ora prevista dall’art. 17 del decreto 201 (da leggere in correlazione con l’art. 7 del nuovo codice dei contratti pubblici)
La norma prevede, infatti, che:
1. Gli enti locali e gli altri enti competenti possono affidare i servizi di interesse economico generale di livello locale a società in house, nei limiti e secondo le modalità di cui alla disciplina in materia di contratti pubblici e di cui al decreto legislativo n. 175 del 2016.
2. Nel caso di affidamenti in house di importo superiore alle soglie di rilevanza europea in materia di contratti pubblici, fatto salvo il divieto di artificioso frazionamento delle prestazioni, gli enti locali e gli altri enti competenti adottano la deliberazione di affidamento del servizio sulla base di una qualificata motivazione che dia espressamente conto delle ragioni del mancato ricorso al mercato ai fini di un’efficiente gestione del servizio, illustrando, anche sulla base degli atti e degli indicatori di cui agli articoli 7, 8 e 9, i benefici per la collettività della forma di gestione prescelta con riguardo agli investimenti, alla qualità del servizio, ai costi dei servizi per gli utenti, all’impatto sulla finanza pubblica, nonché agli obiettivi di universalità, socialità, tutela dell’ambiente e accessibilità dei servizi, anche in relazione ai risultati conseguiti in eventuali pregresse gestioni in house , tenendo conto dei dati e delle informazioni risultanti dalle verifiche periodiche di cui all’art. 30.
3. Il contratto di servizio è stipulato decorsi sessanta giorni dall’avvenuta pubblicazione, ai sensi dell’articolo 31, comma 2, della deliberazione di affidamento alla società in house sul sito dell’ANAC. La disposizione di cui al presente comma si applica a tutte le ipotesi di affidamento senza procedura a evidenza pubblica di importo superiore alle soglie di rilevanza europea in materia di contratti pubblici, compresi gli affidamenti nei settori di cui agli articoli 32 e 35.
4. Per i servizi pubblici locali a rete, alla deliberazione di cui al comma 2 è allegato un piano economico-finanziario che, fatte salve le discipline di settore, contiene anche la proiezione, su base triennale e per l’intero periodo di durata dell’affidamento, dei costi e dei ricavi, degli investimenti e dei relativi finanziamenti, nonché la specificazione dell’assetto economico-patrimoniale della società, del capitale proprio investito e dell’ammontare dell’indebitamento, da aggiornare ogni triennio. Tale piano deve essere asseverato da un istituto di credito o da una società di servizi iscritta all’albo degli intermediari finanziari ai sensi dell’articolo 106 del testo unico di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, o da una società di revisione ai sensi dell’articolo 1 della legge 23 novembre 1939, n. 1966, o da revisori legali ai sensi del decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 39. 5. L’ente locale procede all’analisi periodica e all’eventuale razionalizzazione previste dall’articolo 20 del decreto legislativo n. 175 del 2016, dando conto, nel provvedimento di cui al comma 1 del medesimo articolo 20, delle ragioni che, sul piano economico e della qualità dei servizi, giustificano il mantenimento dell’affidamento del servizio a società in house, anche in relazione ai risultati conseguiti nella gestione.
La figura dell’in house providing non trova una definizione e una disciplina puntuale di stampo generale nella normativa sia comunitaria che interna. Trattandosi, tuttavia, di un istituto alternativo alla stipula di un contratto di affidamento del servizio con procedura ad evidenza pubblica, può sopperirsi a tale lacuna con la definizione delle figure dell’appalto di pubblici servizi e della concessione di servizi pubblici, così da ricavare, in negativo, i confini dell’affidamento in house.
Giova rammentare, al riguardo, che nell’appalto pubblico di servizi l’appaltatore esegue la sua prestazione a favore dell’ente pubblico; nella diversa ipotesi della concessione di servizio pubblico, invece, il concessionario si sostituisce all’ente concedente nell’esercizio dell’attività propria dell’ente e destinata al pubblico. A differenza dell’appaltatore, dunque, il concessionario si surroga all’ente pubblico concedente nell’esercizio dell’attività spettante a quest’ultimo.
La definizione in negativo dell’in house
In entrambe le fattispecie è possibile cogliere una peculiarità unificante: sia negli appalti che nelle concessioni, infatti, si riscontra un’alterità del soggetto che prende in carico il servizio rispetto al soggetto appaltante o concedente. Orbene, questa relazione intersoggettiva, indispensabile per il configurarsi sia dell’appalto sia della concessione, non si rinviene nelle ipotesi in cui tra il soggetto (apparentemente) appaltante (o concedente) e il soggetto (apparentemente) appaltatore (o concessionario) difetti un rapporto di intersoggettività e, di conseguenza, un rapporto contrattuale o concessorio nel senso stretto del termine. E ciò in quanto l’intensità del controllo e dell’influenza esplicata dal soggetto pubblico sull’affidatario è tale da fare escludere, al di là del dato formale, che vi sia una distinzione sostanziale tra i due soggetti, agendo il secondo da organo (pur se con personalità giuridica) del primo.
La mancanza di siffatta relazione intersoggettiva elimina l’obbligo di una gara per l’affidamento del servizio, comportando, in concorso con gli altri criteri che verranno esaminati nel prosieguo, il configurarsi di un “affidamento in house”[1].
La sentenza Teckal battezza il modello in house
Tanto è stato affermato dalla Corte di Giustizia delle Comunità Europee nella nota sentenza Teckal del 1999[2], nella quale sono analiticamente enucleati i criteri al cospetto dei quali è legittimo addivenire all’“affidamento in house”.
Nella citata pronuncia, si legge che il rispetto delle procedure di gara pubblica non è imposto e, quindi, l’affidamento del servizio può essere diretto, laddove detto affidamento sia disposto in favore di un soggetto sottoposto al controllo strutturale dell’ente titolare del servizio (c.d. “controllo analogo”) e a condizione che il soggetto affidatario diretto svolga la parte prevalente della propria attività in favore dell’ente locale affidante (c.d. “dedizione prevalente”).
Secondo l’impostazione accolta dalla Corte, per l’affidamento diretto del servizio è necessario che vi sia una delegazione interorganica in favore di un soggetto che, pur se dotato di personalità giuridica, risulta, nella sostanza, sottoposto a un penetrante controllo da parte dello stesso ente, alla stregua di tutte le articolazioni interne classiche del soggetto pubblico. In tal modo, si profila un controllo assai stringente dal punto di vista gestionale e finanziario, tale da integrare un’influenza dominante così pregnante che l’affidatario risulta titolare di un’autonomia solo formale rispetto all’ente di riferimento. La sostanziale assenza di terzietà di tale soggetto rispetto all’ente affidante rende, dunque, non necessaria la procedura di gara per l’affidamento del servizio pubblico (imprescindibile, invece, nei casi dell’appalto e della concessione), atteso che, nell’ipotesi in esame, la Pubblica Amministrazione opta per la gestione diretta del servizio pubblico.
La posizione della nostra giurisprudenza
Le conclusioni rassegnate dalla giurisprudenza comunitaria sono state recepite, oltre che dal nostro Legislatore (nei termini più avanti specificati) anche dall’elaborazione pretoria nazionale, la quale, chiamata a pronunciarsi sulla sussistenza della giurisdizione contabile nei confronti di amministratori di società in house che abbiano provocato danni per la società, ha puntualmente indagato i contorni dell’istituto.
Cass. S.U.2013: il “velo squarciato”
Nello specifico, si osserva che “la società in house, come in qualche modo già la sua stessa denominazione denuncia, non pare in grado di collocarsi come un’entità posta al di fuori dell’ente pubblico, il quale ne dispone come di una propria articolazione interna. È stato osservato, infatti, che essa non è altro che una longa manus della pubblica amministrazione, al punto che l’affidamento pubblico mediante in house contract neppure consente veramente di configurare un rapporto contrattuale intersoggettivo […]; “di talché “l’ente in house non può ritenersi terzo rispetto all’amministrazione controllante ma deve considerarsi come uno dei servizi propri dell’amministrazione stessa […]. Il velo che normalmente nasconde il socio dietro la società è dunque squarciato: la distinzione tra socio (pubblico) e società (in house) non si realizza più in termini di alterità soggettiva.
L’uso del vocabolo società qui serve solo allora a significare che, ove manchino più specifiche disposizioni di segno contrario, il paradigma organizzativo va desunto dal modello societario; ma di una società di capitali, intesa come persona giuridica autonoma cui corrisponda un autonomo centro decisionale e di cui sia possibile individuare un interesse suo proprio, non è più possibile parlare […]. Ne consegue che gli organi di tali società, assoggettati come sono a vincoli gerarchici facenti capo alla pubblica amministrazione, neppure possono essere considerati, a differenza di quanto accade per gli amministratori delle altre società a partecipazione pubblica, come investiti di un mero munus privato, inerente ad un rapporto di natura negoziale instaurato con la medesima società. Essendo essi preposti ad una struttura corrispondente ad un’articolazione interna alla stessa pubblica amministrazione, è da ritenersi che essi siano personalmente a questa legati da un vero e proprio rapporto di servizio, non altrimenti di quel che accade per i dirigenti preposti ai servizi erogati direttamente dall’ente pubblico […]. Dal che discende che […] il danno eventualmente inferto al patrimonio della società da atti illegittimi degli amministratori, cui possa aver contribuito un colpevole difetto di vigilanza imputabile agli organi di controllo, è arrecato ad un patrimonio (separato, ma pur sempre) riconducibile all’ente pubblico: è quindi un danno erariale, che giustifica l’attribuzione alla Corte dei Conti della giurisdizione sulla relativa azione di responsabilità”[3].
Servizi pubblici locali: 3.1 La positivizzazione dell’in house: art. 16 del T.U. 175/2016 e art. 7 del D.Lgs. 36/2023 (nuovo codice dei contratti pubblici)
L’art. 5 D.Lgs. 50/2016
L’art. 16 del T.U. Società pubbliche, in correlazione con l’art. 7 del nuovo codice dei contratti pubblici, esclude la necessità della gara ove “un appalto pubblico – o concessione – [sia] aggiudicato da un’amministrazione aggiudicatrice a una persona giuridica di diritto pubblico o di diritto privato” quando ricorrono le seguenti condizioni[4]:
“a) l’amministrazione aggiudicatrice, o l’ente aggiudicatore esercita sulla persona giuridica di cui trattasi un controllo analogo a quello da essa esercitato sui propri servizi;
b) oltre l’ottanta per cento del loro fatturato sia effettuato nello svolgimento dei compiti ad esse affidati dall’ente pubblico o dagli enti pubblici soci;
c) nella persona giuridica controllata non vi è alcuna partecipazione diretta di capitali privati, ad eccezione di forme di partecipazione di capitali privati che non comportano controllo o potere di veto, previste dalla legislazione nazionale, in conformità dei trattati, che non esercitano un’influenza determinante sulla persona giuridica controllata”.
Tanto chiarito con riferimento ai requisiti in presenza dei quali è ammessa la partecipazione privata, il comma 2 dell’art. 16 del TU 175 precisa le modalità attraverso cui è possibile l’esercizio del controllo analogo, stabilendo che al fine di realizzare l’assetto organizzativo di cui al comma 1: “a) gli statuti delle società per azioni possono contenere clausole in deroga delle disposizioni dell’art. 2380bis e dell’art. 2409novies del codice civile; b) gli statuti delle società a responsabilità limitata possono prevedere l’attribuzione all’ente o agli enti pubblici soci di particolari diritti, ai sensi dell’art. 2468, comma 3, del codice civile; c) in ogni caso, i requisiti del controllo analogo possono essere acquisiti anche mediante la conclusione di appositi patti parasociali; tali patti possono avere durata superiore a cinque anni, in deroga all’art. 2341bis, comma 1, del codice civile”.
Il successivo comma 3bis, inoltre, chiarisce anche che: “la produzione ulteriore rispetto al limite di fatturato di cui al comma 3, che può essere rivolta anche a finalità diverse, è consentita solo a condizione che la stessa permetta di conseguire economie di scala o altri recuperi di efficienza sul complesso dell’attività principale della società”.
La nozione normativa di controllo analogo
Si ritiene che un’amministrazione aggiudicatrice eserciti su una persona giuridica un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi ai sensi della lett. a) qualora essa eserciti un’influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni significative della persona giuridica controllata.
Il controllo analogo è requisito non solo genetico, ma anche funzionale
Va aggiunto che, secondo Corte di Giustizia 12 maggio 2022, c. 719/20, il controllo analogo è requisito non solo genetico, ma anche funzionale, dell’affidamento “domestico”. Infatti, la direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE deve essere interpretata nel senso che essa osta a una normativa o a una prassi nazionale in forza della quale l’esecuzione di un appalto pubblico, aggiudicato inizialmente, senza gara, ad un ente «in house», sul quale l’amministrazione aggiudicatrice esercitava, congiuntamente, un controllo analogo a quello che esercita sui propri servizi, sia proseguita automaticamente dall’operatore economico che ha acquisito detto ente, al termine di una procedura di gara, qualora detta amministrazione aggiudicatrice non disponga di un simile controllo su tale operatore e non detenga alcuna partecipazione nel suo capitale.
3.1.1 La dedizione prevalente dell’ente in house ai bisogni dell’ente pubblico
Come già anticipato, affinché un contratto esuli dal regime comunitario degli appalti pubblici, non è sufficiente dimostrare che l’amministrazione aggiudicatrice eserciti sulla società aggiudicataria un controllo analogo a quello da essa esercitato sui propri servizi, ma è altresì necessario che, sul piano funzionale, la società in house realizzi «la parte più importante della propria attività con l’ente o gli enti pubblici che la controllano»[5].
Fattispecie
Tanto può accadere sia nel caso in cui l’organismo in house svolga attività sostitutive dei servizi e delle funzioni erogate dall’Amministrazione all’utenza sia nel caso in cui l’organismo stesso procuri all’ente controllante fattori produttivi e risorse necessarie per l’attività istituzionale (prestazioni di servizi, lavori e forniture). Nel primo caso, l’in house è alternativo all’appalto; nel secondo, l’ente controllato opera come stazione appaltante espletando la gara per la selezione degli appaltatori.
Elaborazione dottrinale
Secondo la dottrina, la formula utilizzata dalla Corte di Giustizia nella causa Teckal S.r.l. – che, si è detto, costituisce ancora oggi un punto di riferimento nella determinazione del concetto di in house providing – sembra riassumere due ipotesi tra loro distinte. Nell’affermare la necessità che il soggetto aggiudicatario realizzi «la parte più importante della propria attività con l’ente o con gli enti pubblici» che lo controllano, i giudici lussemburghesi sembrano fare riferimento tanto alle prestazioni svolte «nei confronti» dell’amministrazione controllante quanto a quelle svolte «per conto» della stessa.
Attività svolta “nei confronti” dell’Amministrazione
Per attività svolta «nei confronti» dell’amministrazione controllante deve intendersi quella volta a soddisfare il fabbisogno dell’Amministrazione e a procurarle quei fattori produttivi nonché quelle risorse necessarie per l’esercizio delle sue competenze. Si tratta, in sostanza, delle prestazioni di servizi, lavori e forniture utilizzate dall’Amministrazione per l’esercizio delle funzioni e dei servizi pubblici che essa è chiamata istituzionalmente a erogare nei confronti dei cittadini e che, fuori dal modello dell’in house providing, andrebbero sempre aggiudicate mediante procedure di gara finalizzate alla stipulazione di contratti di appalto.
Attività svolta “per conto” dell’Amministrazione
L’attività svolta «per conto» dell’ente pubblico controllante, invece, consiste nello svolgimento di funzioni proprie dell’Amministrazione e nella prestazione di servizi che hanno come diretti destinatari gli utenti finali.
Mentre nel primo caso l’attività svolta principalmente «nei confronti» dell’amministrazione controllante è strumentale all’esercizio delle sue funzioni e dei suoi compiti, nella seconda ipotesi il soggetto in house, svolgendo attività «per conto» dell’ente pubblico, esercita direttamente le attività istituzionali di questo.
Si è specificato, inoltre, che l’individuazione della parte di attività svolta dall’ente in house in favore dell’amministrazione controllante non deve avvenire in astratto, con esclusivo riferimento all’oggetto sociale del soggetto gestore, ma essere condotta verificando la situazione effettivamente sussistente al momento della stipulazione. Un accertamento condotto in astratto, infatti, porterebbe a escludere dalla nozione di in house tutti quegli enti che istituzionalmente hanno una pluralità di potenziali destinatari della propria attività, diversi dall’amministrazione controllante.
Corte di Giustizia in materia di fornitura di acqua ed energia
La già richiamata sentenza dell’11 maggio 2006 della Corte di Giustizia in causa C-340/04 si è espressa anche sul concetto di dedizione dell’attività dell’organo in house con riferimento al servizio di fornitura di acqua ed energia.
Questo il principio formulato dai giudici comunitari: «La condizione d’inapplicabilità della direttiva 93/36 secondo la quale l’impresa cui è stato direttamente affidato un appalto di fornitura deve svolgere la parte più importante dell’attività con l’ente pubblico che la detiene non va accertata facendo applicazione dell’art. 13 della direttiva del Consiglio 14 giugno 1993, 93/38/CEE, che coordina le procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia, degli enti che forniscono servizi di trasporto nonché degli enti che operano nel settore delle telecomunicazioni.
Nel valutare se un’impresa svolga la parte più importante della sua attività con l’ente pubblico che la detiene, al fine di decidere in merito all’applicabilità della direttiva 93/36, si deve tener conto di tutte le attività realizzate da tale impresa sulla base di un affidamento effettuato dall’amministrazione aggiudicatrice, indipendentemente da chi remunera tale attività, potendo trattarsi della stessa amministrazione aggiudicatrice o dell’utente delle prestazioni erogate, mentre non rileva il territorio in cui è svolta l’attività».
L’interpretazione rigorosa del Consiglio di Stato
In applicazione di detti principi europei, successivamente, la giurisprudenza[6] ha opinato nel senso della necessità che il soggetto in house svolga i suoi compiti contrattuali in via sostanzialmente esclusiva nei confronti dell’Ente a monte.
Si osserva che, più ancora che l’individuazione di una soglia percentuale necessita un giudizio pragmatico nel caso concreto che si basi, però, non solo sull’aspetto quantitativo, ma anche su quello qualitativo. In altri termini, la natura dei servizi, opere o beni resi al mercato privato, oltre alla sua esiguità, deve anche dimostrare la quasi inesistente valenza nella strategia aziendale e nella collocazione dell’affidatario diretto nel mercato pubblico e privato.
Pertanto, si deve ritenere che il criterio della prevalenza (“la parte più importante”) sia soddisfatto quando l’affidatario diretto non fornisca i suoi servigi a soggetti diversi dall’ente controllante, anche se pubblici, ovvero li fornisca in misura quantitativamente irrisoria e qualitativamente irrilevante sulle strategie aziendali, ed in ogni caso non fuori della competenza territoriale dell’ente controllante.
Va, poi, ricordato che la Corte giustizia CE[7] ha concluso nel senso che un’impresa svolge la parte più importante della sua attività con l’ente che la detiene se l’attività di detta impresa è destinata principalmente all’ente in questione e ogni altra attività risulta avere solo un carattere marginale. Inoltre, nel caso in cui diversi enti detengano un’impresa, la condizione relativa all’attività può ricorrere qualora tale impresa svolga la parte più importante della propria attività non necessariamente con questo o con quell’ente, ma con tali enti complessivamente considerati. Di conseguenza, l’attività da prendere in considerazione nel caso di un’impresa detenuta da vari enti è quella realizzata da detta impresa con tutti questi enti.
Da ultimo, è necessario segnalare che, in tema di attività prevalente, il Consiglio di Stato ha rimesso alla Corte di Giustizia UE le seguenti questioni: “se, nel computare l’attività prevalente svolta dall’ente controllato, debba farsi anche riferimento all’attività imposta da un’amministrazione pubblica non socia a favore di enti pubblici non soci”; “se, nel computare l’attività prevalente svolta dall’ente controllato, debba farsi anche riferimento agli affidamenti nei confronti degli enti pubblici soci prima che divenisse effettivo il requisito del cd. controllo analogo”[8]. La Corte di Giustizia[9] ha risolto i due quesiti, affermando che, con riferimento agli affidamenti diretti in house, per comprendere se l’affidatario svolga l’attività prevalente per l’amministrazione aggiudicatrice, e per gli enti territoriali che siano suoi soci e che lo controllino, non deve guardarsi all’attività imposta da un’amministrazione pubblica, non socia dell’affidatario, a favore di enti territoriali non soci dello stesso affidatario e che non esercitino su di esso alcun controllo. Questa attività, infatti, è da considerarsi come attività a favore di terzi. Ove, invece, si intenda stabilire se il soggetto affidatario svolga l’attività prevalente per gli enti territoriali suoi soci e che esercitino su di esso un controllo congiunto analogo a quello esercitato sui loro servizi, è necessario considerare tutte le circostanze del caso concreto e, in particolare, anche l’attività che il medesimo abbia svolto per detti enti territoriali prima che divenisse effettivo tale controllo congiunto.
Il requisito della dedizione prevalente nel nuovo in house positivizzato dall’art. 5 cod. contr. e nel c.d. partenariato istituzionalizzato pubblico-pubblico
Il cammino della giurisprudenza, che ha sempre più ristretto il concetto espresso dalla formula “parte più importante”, lasciando prevedere che il traguardo definitivo della totale esclusività fosse assai prossimo, ha subito un’importante battuta d’arresto a seguito dell’adozione della disciplina di cui all’art. 5 del D.Lgs. 50/2016. Come già osservato, la nuova disposizione, alla lett. b), quantifica nell’80% la soglia minima di attività della persona giuridica controllata destinata all’amministrazione aggiudicatrice controllante; analogamente, la norma prevede un’ulteriore deroga alla disciplina codicistica degli appalti in caso di c.d. “partenariato istituzionalizzato pubblico-pubblico”, ovvero nel caso in cui si sia in presenza di “un contratto concluso esclusivamente tra due o più amministrazioni aggiudicatrici”, a condizione che:
“a) il contratto stabilisc[a] o realizz[i]una cooperazione tra le amministrazioni aggiudicatrici partecipanti, finalizzata a garantire che i servizi pubblici che esse sono tenute a svolgere siano prestati nell’ottica di conseguire gli obiettivi che esse hanno in comune;
b) l’attuazione di tale cooperazione [sia]retta esclusivamente da considerazioni inerenti all’interesse pubblico;
c) le amministrazioni aggiudicatrici partecipanti[svolgano]sul mercato aperto meno del 20% delle attività interessate dalla cooperazione”.
Si tratta, dunque, di una nuova forma di collaborazione che interessa direttamente le amministrazioni aggiudicatrici, caratterizzata dallo svolgimento di servizi pubblici attraverso una cooperazione tra le stesse e che non interessi il libero mercato, se non in misura minoritaria, individuata nella soglia del 20% delle attività esercitate. Emerge, dunque, chiaramente, la tendenza del Legislatore a consentire “sacche” di attività sganciate dal socio pubblico, in tal modo implicitamente escludendo che la dedizione prevalente dell’attività dell’ente debba essere necessariamente rivolta in via esclusiva nei confronti della P.A. costituente.
[1] L’uso dell’espressione in house nell’ordinamento comunitario risale al 1998, anno in cui la Commissione Europea, nel Libro Bianco sugli Appalti, definì in house gli appalti aggiudicati all’interno della pubblica amministrazione, ad esempio fra amministrazione centrale e locale, ovvero tra un’amministrazione ed una società interamente controllata dalla prima. Si veda “Gli appalti pubblici nell’Unione Europea”, COM (98) 143 def., Bruxelles, 1 marzo 1998. A seguito del richiamato intervento della Commissione, effettuato con il Libro Bianco del 1998, la Corte di Giustizia UE si è espressa sulle in house il 9 settembre 1999, in causa C 108/98 RI.SAN srl c. Comune di Ischia, Italia Lavoro spa e Ischia Ambiente spa. Per un approfondimento sul tema Caringella, Giustiniani, Mantini, Il nuovo diritto dei contratti pubblici, Roma, 2016 (nota servizi pubblici locali).
[2] Corte Giust. 18 novembre 1999, causa C-107/98 (nota servizi pubblici locali).
[3] Così Cass. S.U. 25 novembre 2013, n. 26283. Più di recente, si v., inoltre, anche Cons. Stato, sez. III, 27 agosto 2021, n. 6062 (nota servizi pubblici locali).
[4] La disposizione in esame è, poi, compendiata dal dettato di cui all’art. 192 del Codice dei contratti, che reca un “Regime speciale degli affidamenti in house”. L’ANAC ha specificato le modalità di iscrizione al suddetto elenco, emanando le Linee Guida n. 7, approvate dal Consiglio dell’Autorità con delibera 15 febbraio 2017, n. 235, e recanti “Linee Guida per l’iscrizione nell’elenco delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori che operano mediante affidamenti diretti nei confronti di proprie società in house previsto dall’art. 192 del D.Lgs. 50/2016”.
[5] Cfr. T.A.R. Lazio, Roma, sez. I, 12 maggio 2020, n. 4975.
[6] Ex pluribus, V. T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 1 settembre 2014, n. 9264.
[7] Corte Giust. CE, sez. II, 17 luglio 2008, causa C-371/05.
[8] Cfr. Cons. Stato, sez. V, 30 aprile 2018, n. 2599.
[9] Cfr. Corte Giust. UE, sez. IV, 8 dicembre 2016, causa C-553/15.