Il riconoscimento del posto auto non contemplato dal contratto di compravendita determina un’integrazione del prezzo “ope legis”?
In caso di automatico trasferimento del diritto di uso di area destinata a parcheggio, il diritto del venditore al corrispettivo integrativo dell’originario prezzo deve costituire oggetto di apposita autonoma domanda, la parte che, nel corso del giudizio sul riconoscimento del diritto d’uso sugli spazi vincolati, non l’abbia ritualmente avanzata, ben può proporla successivamente, senza che a ciò siano di ostacolo la precedente pronuncia di nullità del contratto stipulato e la conseguente integrazione “ope legis”. In tal caso, infatti, opera il principio secondo cui il giudicato compre il dedotto e il deducibile con esclusivo riferimento alla domanda fatta valere in concreto e alla ragione affermata in sentenza, ma non anche relativamente ad una richiesta diversa nel “petitum” e nella “causa petendi”, che la parte ha facoltà di introdurre, o meno, nello stesso processo. – Cass., sez. II, 15 gennaio 2024, n. 1436.
Nel caso di specie, il Supremo Consesso – accogliendo il ricorso e cassando con rinvio la sentenza impugnata dalla ricorrente – sancisce alcuni fondamentali principi in ordine ai diritti derivanti dall’integrazione ope legis del contratto di compravendita di immobili ad uso abitativo del diritto di assegnazione dei posti-auto presenti nell’area condominiale.
Sul punto i giudici di legittimità, si soffermano, in primo luogo, sulla disciplina del diritto d’uso di area destina a parcheggio. Esso – sostengo i giudici della Suprema Corte – ha natura reale poiché è connesso ad ogni unità immobiliare facente parte del condominio e come tale può essere sempre attivato, senza limiti di prescrizione, mediante l’azione di nullità dell’originaria compravendita che ha escluso tale diritto. Il diritto de quo è, inoltre, irrinunciabile poiché sugli spazi adibiti a parcheggio grava, ai sensi dell’art. 41sexies, L. 1150/1942, come introdotto dall’art. 18, L. 765/1967, un vincolo di destinazione, che ha natura pubblicistica. Di talché, tale vincolo non può essere derogato dalle parti: qualsiasi clausola difforme sarà, invero, sostituita automaticamente dalla norma imperativa sopra indicata essendo – continuano i giudici di legittimità – i contratti che sottraggono il diritto d’uso sulle aree destinate al parcheggio parzialmente nulle. Ne deriva che, nessuna rinuncia al diritto d’uso di area destinata a parcheggio può ravvisarsi in capo ai proprietari delle unità immobiliari del condomino.
Ciononostante, i giudici del Supremo Consesso ritengono che la sostituzione automatica della clausola di riserva al venditore della proprietà esclusiva sull’area destinata al parcheggio (ex art. 41sexies, L. 1150/1942), con la norma imperativa, assegni al primo il diritto al corrispettivo del diritto d’uso su tale area, come integrazione dell’originario prezzo della vendita. In tal modo, viene riequilibrato il sinallagma contrattuale.
La Corte di Cassazione precisa, inoltre, che tale diritto non sorge in via automatica dalla suddetta norma imperativa, ma necessità di un impulso di parte, ossia di un’autonoma domanda proposta del venditore-costruttore; per cui, in omaggio al principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, se quest’ultimo non ha avanzato domanda al corrispettivo in ordine al diritto d’uso sull’area nel giudizio afferente il riconoscimento del diritto d’uso sugli spazi vincolati, potrà proporla in autonomo giudizio, salvo che non sia intervenuta prescrizione (Cass., sez. VI, ord. 2265/2019; Cass. VI, ord. 22154/2018; Cass., sez. II, 5160/2006; Cass., sez. II, 1248/2000). Infine, il Supremo Collegio postula, accogliendo il secondo motivo di ricorso, che l’ imprescrittibilità, ex art. 1422 c.c., dell’azione di nullità del contratto – concluso in violazione di una normativa urbanistica che prescrive la destinazione obbligatoria di appositi spazi a parcheggio – non determina in maniera automatica la imprescrittibilità della domanda di riconoscimento del diritto d’uso derivante dal vincolo. Ciò in quanto questa si prescrive, avendo natura reale, ai sensi degli artt. 1026-1014 c.c., per il mancato esercizio dei poteri ad esso inerenti protrattosi per venti anni dall’acquisto dell’unità immobiliare.