Dike giuridica, Istituti e sentenze commentate

Responsabilità contrattuale ed extracontrattuale a confronto*

Responsabilità contrattuale ed extracontrattuale a confronto – La responsabilità aquiliana e quella contrattuale si differenziano per molteplici aspetti e tuttavia sono accomunate dal rappresentare le due specie di un unico genus, quello della responsabilità per illecito civile (per la responsabilità contrattuale v. Parte II, Cap. 2, §1.2).

La funzione della responsabilità da inadempimento è, come noto, la tutela nei confronti della violazione di un obbligo specifico, discendente da una pregressa relazione negoziale instaurata fra le parti. Nella responsabilità extracontrattuale, invece, il sorgere della relazione intersoggettiva avviene in un momento successivo al danno e in funzione della riparazione del medesimo (c.d. responsabilità del “passante”).

In passato, inoltre, si era soliti distinguere le due forme di responsabilità in relazione alla diversa rilevanza dell’elemento della colpa all’interno del risarcimento contrattuale ed extracontrattuale.

In particolare, si riteneva che la colpa aquiliana dovesse intendersi in senso soggettivo, legittimando l’eventuale risarcibilità anche della culpa levissima, mentre per la colpa contrattuale si abbracciava una nozione oggettiva, legata al rapporto tra comportamento tenuto e norma di condotta violata. Come si avrà modo di approfondire (v. infra, §3.3.1.1) la nozione psicologica e interiore di colpa è stata progressivamente abbandonata anche in campo extracontrattuale conservando tuttavia una propria rilevanza.

Responsabilità contrattuale ed extracontrattuale a confronto – Va soggiunto che la disciplina sulla responsabilità contrattuale, ex artt. 1218 e segg. opera in via residuale per tutte le forme di responsabilità (c.d. da inadempimento) diverse da quella aquiliana, visto che non è configurabile nel sistema un tertium genus di modello risarcitorio dal punto di vista della disciplina.

3.  I cinque elementi strutturali dell’illecito aquiliano

Si può ora passare all’esame del primo dei cinque elementi: il fatto.

3.1  Il primo elemento: “qualunque fatto”. La corsa verso l’atipicità

Volendo approfondire gli elementi costitutivi dell’illecito richiamati, è necessario partire dall’analisi del fatto, evocato nel testo dell’art. 2043 c.c. che dispone: “Qualunque fatto doloso o colposo…”.

In una prima fase, parte della dottrina più critica ha ritenuto che l’uso del termine “fatto” discendesse da un errore tecnico, una svista legislativa, intendendo per tale solo i meri eventi naturali. Individuando invece negli atti i comportamenti umani volontari e coscienti, tale dottrina interpretava il termine “fatto” come sinonimo di atto, sull’assunto che solo con riferimento a quest’ultima categoria potesse predicarsi la liceità o illiceità. Nell’ambito del genus “fatti” si è ritenuto, dunque, che la norma volesse fare riferimento esclusivo alla species del comportamento umano volontario e cosciente.

Tuttavia, tale impostazione deriva dall’incapacità della dottrina più risalente di abbandonare una concezione naturalistica del fatto e di considerare l’illecito in modo autonomo rispetto al negozio giuridico. La tendenza al tempo era, infatti, quella di applicare all’illecito le stesse coordinate del negozio giuridico, espressione dell’autonomia negoziale e riconducibile come tale a un comportamento volontario e cosciente dell’autore. Tale approccio è stato superato solo di recente, tramite una diversa lettura dell’art. 2043 c.c. che muove dal dato letterale – il riferimento espresso al fatto – e da quello funzionale – lo scopo di ristoro del danno. L’illecito aquiliano viene oggi inteso, quindi, nel senso più ampio e fedele alla lettera della legge, escludendosi arbitrarie limitazioni collegate a una classificazione in termini di atto, alla luce della ratio riparatoria dell’istituto.

[…]

*Contributo estratto da “Manuale ragionato di diritto civile” di F. Caringella – Dike giuridica editrice – Ottobre 2024