I reati tributari: Introduzione
La disciplina dei reati tributari costituisce un vero e proprio micro-sistema normativo, dotato di norme dettate in deroga, come si avrà modo di evidenziare, a quelle generali del Codice penale, nonché una serie di fattispecie criminose che, in maniera organica tutelano gli interessi dell’Erario.
Tale normativa è dettata dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, come modificato dapprima con D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158 e quindi, più di recente, con D.L. 26 ottobre 2019, n. 124, recante “Disposizioni urgenti in materia fiscale e per esigenze indifferibili”, convertito con modificazioni con L. 19 dicembre 2019, n. 157, attraverso cui il legislatore è intervenuto in materia con importanti novità anche in relazione ai reati tributari e alla responsabilità amministrativa degli enti dipendente da reato, di cui al D.Lgs. 231/2001.
Attraverso le fattispecie di cui al D.Lgs. 74/2000, il legislatore ha assegnato rilevanza penale alle violazioni dell’obbligo di dichiarazione annuale dei redditi o dell’IVA, nelle forme della dichiarazione fraudolenta, infedele od omessa, nonché le condotte di emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, di occultamento e distruzione di documenti contabili, di omesso versamento di ritenute o dell’IVA, e il compimento di atti fraudolenti sui propri beni o su beni di altri, intesi a rendere inefficace la riscossione coattiva.
La tecnica legislativa adoperata in materia di reati tributari, a fronte della diffusione sociale del fenomeno dell’evasione e della necessità di ricorrere allo strumento penale (ferma restando la rilevanza a titolo di illeciti amministrativi per le altre) per le sole ipotesi più gravi, è stata quella della previsione di soglie di punibilità (v. MRDP, Parte II, Sez. I, Cap. 2, §5), con l’unica eccezione del reato di dichiarazione fraudolenta, basato sull’uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, nonché per l’occultamento e la distruzione di scritture contabili.
Le soglie di punibilità in tema di reati tributari, in mancanza di una definizione normativa dell’istituto e di precise indicazioni nei lavori preparatori, sono qualificate dalla dottrina prevalente e dalla giurisprudenza come elementi costitutivi della fattispecie e non già quali condizioni obiettive di punibilità, soprattutto in considerazione del fatto che è proprio sul raggiungimento delle soglie di evasione previste dal legislatore che si incentra il disvalore penale delle varie fattispecie di reato.
Le conseguenze legate alla qualificazione dell’istituto non sono di poco conto, dal momento che nel primo caso (soluzione peraltro avallata di recente dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con sent. 12 settembre 2013, n. 37424) il c.d. fuoco del dolo deve ricomprendere anche la misura dell’evasione, mentre nel secondo caso sarebbe sufficiente il dolo di evasione e la prevedibilità del superamento della soglia.
Nel senso della natura di elementi costitutivi del reato si è espressa, con sent. 1 giugno 2004, n. 161, la Corte costituzionale, osservando che il legislatore, attraverso la predisposizione di una soglia di punibilità, non opera una valutazione di opportunità in merito alla punibilità di un fatto di reato bensì definisce, in via generale e astratta, a quali condizioni una determinata condotta possa qualificarsi come reato.
In forza dei principi di frammentarietà e sussidiarietà del diritto penale (v. MRDP, Parte I, Sez. I, Cap. 1. §3), infatti, non tutte le condotte astrattamente offensive di un bene giuridico possono essere sanzionate penalmente, occorrendo una valutazione dell’offensività in astratto di ciascun comportamento; il legislatore attraverso l’introduzione di una soglia di punibilità cristallizza dunque tale valutazione e stabilisce quali comportamenti, in ragione della loro maggiore carica offensiva, debbano essere sanzionati dal diritto penale.
La Corte costituzionale ha dunque affermato che le soglie di punibilità “integrano requisiti essenziali di tipicità del fatto” e sono qualificabili come “elementi costitutivi del reato”.
Il bene giuridico protetto dalle fattispecie in esame, come desumibile dalle singole incriminazioni e dal tenore complessivo del D.Lgs. 74/2000 (di seguito decreto), è da identificarsi nell’interesse pubblico alla riscossione dei tributi, bene di rango costituzionale, riferibile all’art. 53 Cost.
Attraverso la riforma del 2015, attuata con il decreto legislativo n. 58, attuativo della delega conferita al Governo con L. 11 marzo 2014, n. 23, c.d. legge delega per la riforma fiscale, il legislatore ha perseguito l’obiettivo di razionalizzazione del sistema fiscale nonché il fine di “dare attuazione ai principi di effettività, proporzionalità e certezza della risposta sanzionatoria” anche attraverso la possibilità di ridurre “le sanzioni per le fattispecie meno gravi o di applicare sanzioni amministrative anziché penali, tenuto conto di adeguate soglie di punibilità”.
L’obiettivo primario della riforma in tema di reati tributari è stato dunque quello di distinguere, soprattutto dal punto di vista sanzionatorio, i comportamenti fraudolenti, simulatori o finalizzati alla creazione e utilizzo di documentazione falsa rispetto alle condotte prive di tale carattere, ritenendo necessario che le prime, in quanto connotate da un particolare disvalore giuridico, fossero represse più gravemente delle seconde.
Il più recente intervento del legislatore in materia di reati tributari, con il sopra citato D.L. 124/2019, ha invece riguardato principalmente la cornice edittale dei delitti in esame, intervenendo altresì sul valore delle relative soglie di punibilità.
Tali modifiche hanno determinato importanti conseguenze processuali, in ragione degli aumenti di pena, che comportano la necessità dell’udienza preliminare per il delitto di cui all’art. 5, precludendo nel contempo la possibilità di accedere al rito speciale della messa alla prova, e che in via generale consentono il ricorso alle intercettazioni telefoniche e determinano il passaggio dai termini cautelari di fase da brevi a medi.
Non meno rilevanti le conseguenze in materia di prescrizione in materia di reati tributari, legate all’innalzamento della pena edittale massima della reclusione, cui si aggiunge l’aumento speciale previsto dal comma 1bis dell’art. 17 del D.Lgs. 74/2000, ai sensi del quale “I termini di prescrizione per i delitti previsti dagli artt. da 2 a 10 […] sono elevati di un terzo”.
Tanto sul piano sostanziale, quanto sul piano processuale, si registra pertanto un netto irrigidimento delle conseguenze sanzionatorie e normative della commissione di reati tributari, secondo lo slogan del “carcere agli evasori”, per vero criticato da buona parte della dottrina penalistica ed economica, che avrebbe auspicato un intervento riformatore del sistema fiscale, tale da allentarne la pressione, prima di procedere ad una manovra penale di tal fatta.
Si prospettano fin da subito tuttavia dubbi in merito alla legittimità costituzionale, per violazione del principio di proporzione della pena, in relazione ai nuovi limiti edittali, che presto potrebbero pertanto essere sottoposti al sindacato della Consulta.
I reati tributari: Disposizioni comuni
Il D.Lgs. 74/2000 è suddiviso in tre Titoli, il primo dei quali, composto dal solo art. 1, è dedicato alle definizioni, mentre il Titolo II ai delitti, ed è a propria volta suddiviso tra il Capo I, dei delitti in materia di dichiarazione, e Capo II, dei Delitti in materia di documenti e pagamento di imposte; il Titolo III è invece dedicato alle disposizioni comuni, mentre i successivi Titoli IV e VI ai rapporti con le sanzioni amministrative e alle disposizioni finali di coordinamento.
Rinviando alle singole fattispecie per cui vengono in rilievo l’esame delle definizioni normative di cui all’art. 1, occorre prendere brevemente in esame le disposizioni comuni di cui al Titolo III del decreto, dedicate rispettivamente alle pene accessorie (art. 12), alla confisca (artt. 12bis e 12ter), alla causa di non punibilità per pagamento del debito tributari (art. 13) alle circostanze del reato (art. 13bis) ai casi di estinzione per prescrizione del debito tributario (art. 14), alla causa di non punibilità delle violazioni dipendenti dall’interpretazione della normativa tributaria (art. 15), alla prescrizione (art. 17) e infine alla custodia giudiziale (art. 18bis).
In particolare, l’art. 12 del decreto, dedicato alle pene accessorie, prevede che la condanna per taluno dei delitti in esso disciplinati comporti, in aggiunta alla pena principale, pene accessorie di tipo interdittivo, tra cui l’interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese; l’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione; l’interdizione dalle funzioni di rappresentanza e assistenza in materia tributaria; l’interdizione perpetua dall’ufficio di componente di commissione tributaria e la pubblicazione della sentenza a norma dell’art. 36 c.p.
Inoltre, per i delitti di cui agli artt. da 2 a 10, è previsto che non possa disporsi la sospensione condizionale della pena, quando, congiuntamente: “a) l’ammontare dell’imposta evasa sia superiore al 30 per cento del volume d’affari; b) l’ammontare dell’imposta evasa sia superiore a tre milioni di euro”.
Il successivo art. 12bis, introdotto nel 2015, prevede invece la confisca obbligatoria, anche per equivalente, del prezzo o del profitto del reato, che la giurisprudenza individua nel valore dell’imposta evasa, considerata un vantaggio patrimoniale indebito che deriva dalla sottrazione del danaro alla contribuzione fiscale (Cass. Sez. Un. 23 aprile 2013, n. 18374).
Tale disposizione era in passato dettata dall’art. 1, comma 143, della legge finanziaria 24 dicembre 2007, n. 244, che richiamava l’art. 322ter c.p., oggetto di un’ordinanza della Corte costituzionale 97/2009, con cui la Consulta ha evidenziato la natura di pena della confisca per equivalente, sancendo il carattere irretroattivo, in parte qua, della norma (v. MRDP, Parte IV, Sez. IV, Cap. 3, §3).
È stata invece introdotta ex novo la disposizione del comma 2 (“La confisca non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all’erario anche in presenza di sequestro. Nel caso di mancato versamento la confisca è sempre disposta”), che consente di evitare la condisca in relazione alla parte dell’imposta evasa che il reo si impegni a versare all’Erario. La norma è stata invero criticata per aver assegnato rilevanza al mero impegno di versare le predette somme e non già all’effettivo, pur parziale, versamento delle stesse, specie a fronte dell’indirizzo giurisprudenziale che impone la riduzione del sequestro nella parte del credito oggetto di transazione con il privato (Cass. 29 settembre 2014, n. 40250).
La novella del 2019 ha introdotto, dopo l’art. 12bis del decreto, un nuovo art. 12ter, che disciplina un’ipotesi di confisca allargata e per equivalente, in forza del quale trova applicazione, nelle ipotesi tassative ivi previste e a determinate condizioni, la disciplina di cui all’art. 240bis c.p.
La disposizione espressamente richiamata, come introdotta nel corpo del Codice penale con D.Lgs. 21/2018 (con conseguente abrogazione dell’art. 12sexies, commi 1, 2ter, 4bis, 4quinquies, 4sexies, 4septies, 4octies e 4novies, del D.L. 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, con L. 7 agosto 1992, n. 356), prevede che è sempre disposta la confisca del denaro, dei beni o delle altre utilità di cui il condannato non può giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica.
Si tratta della c.d. confisca allargata (v. MRDP, Parte IV, Sez. IV, Cap. 3, §6), in relazione alla quale è altresì previsto dallo stesso art. 240bis c.p. che il condannato non può giustificare la legittima provenienza dei beni sul presupposto che il denaro utilizzato per acquistarli sia provento o reimpiego dell’evasione fiscale, salvo che l’obbligazione tributaria sia stata estinta mediante adempimento nelle forme di legge.
L’art. 240bis c.p., al comma 2, prevede inoltre che, nelle stesse ipotesi tassative previste dal comma 1 (tra cui rientrano oggi quelle a breve esaminate dell’art. 12ter) quando non è possibile procedere alla confisca del denaro, dei beni e delle altre utilità di cui al comma primo, il giudice ordina la confisca di altre somme di denaro, di beni e altre utilità di legittima provenienza per un valore equivalente, delle quali il reo abbia la disponibilità, anche per interposta persona. In questo caso la misura patrimoniale ablativa assume natura di confisca allargata per equivalente, avendo ad oggetto danaro beni o altre utilità di cui il condannato non possa giustificare la provenienza, avendone la disponibilità.
A seguito della riforma in materia di reati tributari, in forza dell’art. 12ter del decreto, la confisca allargata di cui all’art. 240bis c.p. è applicabile nei seguenti casi: a) quando sia stato accertato il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti ex art. 2, per un ammontare di elementi passivi superiore a 200.000 euro; b) quando sia stata accertata la pena responsabilità per il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici ex art. 3, con un’imposta evasa superiore ai 100.000 euro; c) a seguito di condanna per il delitto di emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti ex art. 8, se l’importo fittiziamente indicato risulti superiore a 200.000 euro.
Ai sensi della lett. d) dell’art. 12ter cit., inoltre, se l’ammontare delle imposte, delle sanzioni e degli interessi è superiore 100.000 euro, nel caso di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte ex art. 11, comma 1, del decreto, troverà applicazione la confisca allargata e per equivalente ex art. 240bis c.p.; la lett. e), invece, richiede un ammontare degli elementi attivi inferiori a quelli effettivi o degli elementi passivi fittizi superiore a 200.000 euro, nel caso di cui all’art. 11, comma 2, perché possano operare le summenzionate confische.
Stante la natura di pena che la Corte di Strasburgo e la Corte Costituzionale hanno riconosciuto alla confisca per equivalente (in tal senso sentenza CEDU Welch c. Regno Unito del 1995 e la già richiamata ordinanza della Corte costituzionale 97/2009), il legislatore ha inteso stigmatizzare l’irretroattività delle misure patrimoniali di cui all’art. 12ter, prevedendo al comma 1bis dell’art. 39 del D.L. 124/2019 che “Le disposizioni di cui alla lett. q) del comma 1del presente articolo si applicano esclusivamente alle condotte poste in essere successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”, ossia a decorrere dal 25 dicembre 2019, entrata in vigore della legge di conversione con modifiche.
Anche il successivo art. 13 del decreto è stato interessato dalla riforma del 2019; la disposizione in esame prevede la causa di non punibilità per pagamento del debito tributario, ed era stato già completamente rinnovato dalla riforma del 2015, mediante l’introduzione di speciali istituti premiali.
In particolare, il comma 1 dell’art. 13 prevede l’estinzione del delitto tributario come causa di non punibilità nelle ipotesi di omesso versamento di ritenute dovute o certificate, ex art. 10bis, omesso versamento di IVA ex art. 10ter e indebita compensazione ex art. 10quater, comma 1, del decreto, qualora il reo, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, provveda all’estinzione integrale dei debiti tributari, comprese le sanzioni amministrative e gli interessi, mediante pagamento degli importi dovuti.
La causa di non punibilità in siffatte ipotesi trova la sua giustificazione politico-criminale nella scelta di concedere al contribuente la possibilità di eliminare la rilevanza penale della propria condotta attraverso una piena soddisfazione dell’Erario prima del processo penale.
Ai sensi del comma 2 dell’art. 13, inoltre, per i reati di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti ex art. 2, dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici ex art. 3 (introdotti con la novella del 2019), dichiarazione infedele ex art. 4 e omessa dichiarazione ex art. 5, esclude la punibilità del reo qualora i debiti tributari, comprese sanzioni e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, a seguito del ravvedimento operoso o della presentazione della dichiarazione omessa entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo di imposta successivo, purché ciò avvenga prima che questi abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali.
Si tratta all’evidenza di situazioni nelle quali la spontaneità della resipiscenza del contribuente e l’estinzione tempestiva dei suoi debiti giustifica la rinuncia alla pena da parte dello Stato.
Infine, il comma 3 dell’art. 13 dispone che “qualora, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, il debito tributario sia in fase di estinzione mediante rateizzazione, anche ai fini dell’applicabilità dell’articolo 13-bis, è dato un termine di tre mesi per il pagamento del debito residuo. In tal caso la prescrizione è sospesa. Il Giudice ha facoltà di prorogare tale termine una sola volta per non oltre tre mesi, qualora lo ritenga necessario, ferma restando la sospensione della prescrizione”.
I successivi artt. 13bis e 14 del decreto prevedono invece circostanze attenuanti speciali che possono trovare applicazione con riferimento alle fattispecie penali in esame.
L’art. 13bis, inserito nel decreto nel 2015, prevede che il pagamento degli importi dovuti, fuori dei casi di non punibilità ex art. 13, comporta una diminuzione di pena fino alla metà e l’esclusione delle pene accessorie ex art. 12, “se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie”.
Quando, pertanto, la condotta di ravvedimento del reo non integri gli estremi della causa di non punibilità sopra esaminata, può comunque produrre l’effetto di circostanza attenuante.
Per l’applicazione della circostanza è richiesta l’estinzione del debito, anche se da parte di un terzo, purché integrale non essendo sufficiente la mera ammissione alla rateazione intervenuta prima dell’apertura del dibattimento (Cass. 15 settembre 2014, n. 37748).
Ai sensi del comma 2, il pagamento integrale del debito è altresì condizione per accedere al patteggiamento ex art. 444 c.p.p.
L’ultimo comma dell’art. 13bis, con riferimento ai reati tributari,prevede invece una circostanza aggravante, per i delitti in esame, con effetto speciale dell’aumento della metà della pena base, “se il reato è commesso dal concorrente nell’esercizio dell’attività di consulenza fiscale svolta da un professionista o da un intermediario finanziario o bancario attraverso l’elaborazione o la commercializzazione di modelli di evasione fiscale”. Si tratta invero di condotte dal maggiore disvalore e caratterizzate da una maggiore offensività in ragione della natura professionale dell’attività esercitata e dell’adozione di veri e propri modelli di evasione, di carattere quindi seriale.
Il successivo art. 14 del decreto prevede quale circostanza attenuante la riparazione dell’offesa nel caso di estinzione per prescrizione del debito tributario, con riduzione della pena fino alla metà ed esclusione delle pene accessorie, quando, risultando estinti per prescrizione o per decadenza i debiti tributari, l’imputato venga ammesso a pagare all’Erario, “prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, una somma individuata dallo stesso soggetto agente, a titolo di equa riparazione dell’offesa recata all’interesse pubblico tutelato dalla norma violata”.
La spontaneità della riparazione è comunque limitata dalla soglia minima, individuata dal comma secondo nell’importo determinati ai sensi dell’art. 135 c.p. (250 euro per ogni giorno di reclusione) corrispondente alla pena minima prevista per il delitto ascritto al reo (si consideri che un anno di reclusione equivale a 91.250,00 euro).
La somma deve essere pagata entro dieci giorni e, in caso di proscioglimento, è restituita all’imputato.
Particolare importanza riveste la disciplina di cui all’art. 15 del decreto, rubricato violazioni dipendenti da interpretazione delle norme tributari, il quale prevede una espressa deroga ai principi generali in materia di errore, disponendo che “Al di fuori dei casi in cui la punibilità è esclusa a norma dell’art. 47, terzo comma, del codice penale, non danno luogo a fatti punibili ai sensi del presente decreto le violazioni di norme tributarie dipendenti da obiettive condizioni di incertezza sulla loro portata e sul loro ambito di applicazione”.
Parte della dottrina [Tesauro] ha ritenuto che si tratti di un criterio legale di esclusione del dolo di evasione. Altra parte della dottrina [Flora; Di Benedetto] ritiene che nelle intenzioni del legislatore la norma ex art. 15 riguardi la materia dell’errore sul precetto derivante da erronea interpretazione di norme extra-penali tributarie di riferimento, e non un errore sul fatto, poiché in questo caso trova applicazione la disciplina generale dell’art. 47, comma 3, c.p.
Si tratta pertanto di un errore di diritto, considerato scusabile a fronte di obiettive condizioni di incertezza sulla portata delle norme tributarie e sul relativo ambito applicativo. La norma si pone pertanto in deroga alla irrilevanza dell’errore di diritto, di cui all’art. 5 c.p., sebbene possa considerarsi applicativa dei principi sanciti dalla Corte costituzionale, nella sent. 364/1988 (v. MRDP, Parte II, Sez. IV, Cap. 1, §4), che ammette la scusabilità dell’errore di diritto in presenza di elementi oggettivi o soggettivi che lo abbiano reso inevitabile.
Secondo un diverso orientamento, seguito dalla giurisprudenza di legittimità, il dato letterale dell’art. 15 tipizza una causa oggettiva di non punibilità, che opera sul piano oggettivo e in modo automatico, prescindendo dallo stato soggettivo effettivo in capo al soggetto agente (Cass. 15 giugno 2014, n. 25709).
Quanto al concetto di incertezza, in tema di reati tributari, secondo la dottrina maggioritaria ricorrono le obiettive condizioni di incertezza quando, a una o più disposizioni tributarie rilevanti risulterà attribuibile, a causa della loro oscurità, una pluralità di significati tutti ugualmente fondati o comunque ragionevolmente prospettabili in base al criterio dell’interprete modello del settore specialistico tributario.
La disamina delle disposizioni comuni in materia di reati tributari può concludersi con la speciale disciplina della prescrizione, di cui all’art. 17, il cui comma 1 dispone che il corso della prescrizione per i delitti previsti dal presente decreto è interrotto, oltre che dagli atti indicati nell’art. 160 c.p., anche “dal verbale di constatazione o dall’atto di accertamento delle relative violazioni”.
Inoltre il comma 1bis dell’art. 17, introdotto con D.L. 13 agosto 2011, n. 138, convertito con modificazioni con L. 14 settembre 2011, n. 148, prevede che “I termini di prescrizione per i delitti previsti dagli artt. da 2 a 10 del presente decreto sono elevati di un terzo”, tanto quindi nel termine breve, ex art. 157 c.p., quanto nel termine massimo, ex art. 161 c.p.
Infine, l’art. 18bis, introdotto nel 2015, disciplina la custodia giudiziale dei beni sequestrati, diversi dal denaro e dalle disponibilità finanziarie, consentendo di affidarli “agli organi dell’amministrazione finanziaria che ne facciano richiesta per le proprie esigenze operative”, così da evitarne altresì l’obsolescenza e il deterioramento. Può dunque procedersi con l’esame delle singole fattispecie, nell’ambito del quale si procederà contestualmente a trattare eventuali questioni di parte generale e i rapporti con altri reati. […]
*Contributo estratto dal Manuale ragionato di diritto penale – parte speciale di F. Caringella, A. Salerno, A. Trinci – Dike Giuridica 2023