Dike giuridica, Istituti e sentenze commentate

Pubblico impiego*

Pubblico impiego*

Cos’è la privatizzazione del pubblico impiego?

Riflettiamo sul termine “privatizzazione”.

In che senso il rapporto di lavoro è stato privatizzato? È una privatizzazione totale o parziale? Assoluta o relativa? Senza eccezioni o a macchia di leopardo?

Proviamo a ragionare.

Pubblico impiego – Si deve distinguere la privatizzazione sostanziale del regime del rapporto, dalla privatizzazione processuale, che ne è l’inevitabile conseguenza.

La privatizzazione sostanziale ha, a sua volta, una triplice dimensione: i) privatizzazione delle fonti normative regolatrici; ii) privatizzazione come contrattualizzazione; iii) privatizzazione degli atti di organizzazione degli uffici e di gestione dei singoli rapporti lavorativi.

Di seguito analizzeremo singolarmente queste tre dimensioni della privatizzazione sostanziale del pubblico impiego.

Pubblico impiego       La privatizzazione delle fonti normative regolatrici

Il rapporto di lavoro dei dipendenti privatizzati è sottoposto alla medesima disciplina di qualsiasi altro rapporto di lavoro dei dipendenti privati, come si evince dall’art. 2, comma 2, D.Lgs. 165/2001. In sostanza viene abolito il concetto stesso di diritto amministrativo del lavoro, ossia un ordinamento speciale, di stampo pubblicistico, dei rapporti di lavoro subordinato dei dipendenti pubblici. Il rinvio alla disciplina privatistica effettuato dal D.Lgs. 165/2001, tuttavia, fa salve le diverse disposizioni dettate dallo stesso decreto per la regolamentazione di quegli aspetti del rapporto di lavoro (principio di concorsualità dell’accesso, divieto dell’assunzione della qualifica superiore per effetto delle mansioni di fatto: art. 52, comma 1, che implicitamente deroga all’art. 2103 c.c.; inapplicabilità del principio privatistico della conversione dei rapporti a tempo determinato in rapporti a tempo indeterminato: art. 36, comma 5) che, in virtù delle peculiarità sussistenti rispetto all’impiego privato, necessitano di una disciplina ad hoc dettata da disposizioni di legge di carattere speciale. Si dà così la stura a un “diritto privato differenziato” (D’Auria), scandito da norme imperative (vedi anche l’art. 55, sulle sanzioni disciplinari) non derogabili in sede di contrattazione collettiva. Ove ciò si verifichi, le clausole contrattuali sono sostituite di diritto dalle norme di legge derogate (art. 1339 c.c.) e sono affette da nullità parziale (art. 1419, comma 2, richiamato dall’art. 2, comma 3bis).

Sul punto si deve dare atto di come la Consulta (Corte cost. 27 gennaio 2023, n. 8) abbia ritenuto non fondata la questione di legittimità, sollevata in riferimento all’art. 2033 c.c., nella parte in cui la norma non prevede l’irripetibilità dell’indebito retributivo o previdenziale non pensionistico, quando le somme siano state percepite in buona fede e la condotta dell’ente pubblico erogatore abbia ingenerato nel precettore un legittimo affidamento circa la loro spettanza. In particolare, la Corte perviene a tale conclusione sulla scorta del quadro di tutele offerto dall’ordinamento nazionale che, se correttamente valorizzato, consente di superare ogni dubbio di possibile contrasto fra l’art. 2033 c.c. e l’art. 117 Cost. In tal senso, è decisivo il ruolo demandato all’art. 1337 c.c. che delinea la cornice giuridica nella quale ravvisare i presupposti per considerare legittimo l’affidamento riposto da una persona fisica circa la spettanza di una prestazione indebitamente erogata da un soggetto pubblico.

Sebbene la Corte Costituzionale evidenzi come anche a livello europeo non sussista un diritto generalizzato all’irripetibilità dell’indebito, vengono chiarite quali modalità (rateizzazione, differimento, irripetibilità parziale o finanche totale ove vengano in rilievo diritti inviolabili) il soggetto pubblico erogatore debba seguire, affinché la sua pretesa restitutoria sia esigibile nei confronti di una persona fisica che abbia indebitamente percepito una prestazione economica previdenziale non pensionistica o retributiva.

Tanto chiarito, è evidente, tuttavia, come detta pronuncia dia luogo a un ordinamento speciale dei rapporti di lavoro subordinato dei dipendenti pubblici, con ciò introducendo un elemento distonico rispetto alla richiamata privatizzazione normativa.

Pubblico impiego       La privatizzazione come contrattualizzazione

Il contratto diventa fonte di disciplina dei rapporti per le materie non riservate o disciplinate dalla legge (e, in attuazione di essa, da atti unilaterali di diritto pubblico), mentre l’assunzione del lavoratore avviene non più con un provvedimento amministrativo di nomina ma con un contratto individuale di lavoro che regola il singolo rapporto in attuazione dei vincoli collettivi a monte. Vengono poste le basi per la nota tripartizione tra:

i)    macroorganizzazione di competenza di atti unilaterali pubblicistici (art. 2, comma 1);

ii)   micro-organizzazione privatistica che si svolge nei limiti degli atti di macro-organizzazione (art. 5, comma 2);

iii)  sfera riservata alla contrattazione (in particolare, quella collettiva), con riguardo ai diritti e agli obblighi direttamente pertinenti al rapporto di lavoro.

1.3  La privatizzazione degli atti di organizzazione degli uffici e di gestione dei singoli rapporti lavorativi

Sono ormai di diritto privato anche gli atti adottati dalla P.A. datrice di lavoro sia in materia di organizzazione degli uffici che nel campo della gestione del rapporto di lavoro. Tali atti, che rimangono di diritto pubblico per le categorie non privatizzate, sono, per la generalità dei dipendenti pubblici, considerati ormai atti datoriali, assunti con i poteri e le capacità del privato datore di lavoro e regolati dal diritto comune (art. 1, comma 1bis, L. 241/1990). Per i rapporti privatizzati, infatti, la tradizionale natura pubblicistica è stata confermata solo per gli atti c.d. di macro-organizzazione di cui all’art. 2, comma 1, D.Lgs. 165/2001 e ciò perché, anche dopo la privatizzazione, la P.A., come soggetto pubblico, conserva la prerogativa di disciplinare con atti autoritativi l’organizzazione della propria struttura.

2.   La privatizzazione sostanziale conduce alla privatizzazione processuale: la giurisdizione non esclusiva del giudice ordinario e la residuale giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo

L’art. 63 del D.Lgs. 165/2001 devolve alla giurisdizione ordinariatutte le controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni […] incluse le controversie concernenti l’assunzione al lavoro, il conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali e la responsabilità dirigenziale, nonché quelle concernenti le indennità di fine rapporto, comunque denominate e corrisposte, ancorché vengano in questione atti amministrativi presupposti» ma anche «le controversie relative a comportamenti antisindacali delle pubbliche amministrazioni […] e le controversie, promosse da organizzazioni sindacali, dall’ARAN o dalle pubbliche amministrazioni, relative alle procedure di contrattazione collettiva”.

Sono, invece, riservate al giudice amministrativo le controversie sulle procedure concorsuali di accesso, che conservano natura pubblicistica, in quanto precedono il momento dell’instaurazione del rapporto privatizzato (il legislatore, in modo emblematico, al comma 4 della citata norma stabilisce che tali controversie restano devolute alla giurisdizione amministrativa, ossia alla giurisdizione di legittimità in base al criterio ordinario di riparto).

Ad avviso della tesi prevalente e preferibile, il richiamo al solo strumento della disapplicazione dei provvedimenti amministrativi presupposti (gli atti di macro-organizzazione), conferma che siamo al cospetto di una giurisdizione ‘normale’ su diritti soggettivi e non di un’eccentrica giurisdizione esclusiva, estesa agli interessi legittimi. Se, infatti, si trattasse di una giurisdizione esclusiva, il G.O. godrebbe del potere di annullare i provvedimenti amministrativi lesivi, come tali oggetto principale del giudizio. Al contrario, in coerenza con il modello degli artt. 2 e 4 LAC, il giudice ordinario può conoscere in via principale solo di atti di diritti privato, mentre può sindacare solo in via incidentale, con lo strumento della disapplicazione, gli atti amministrativi che rilevano come antecedenti logici della decisione (cfr. Cass., Sez. Un., 13 dicembre 2019, n. 32978).

È quindi, per così dire, una disposizione che brilla per la sua inutilità, in quanto, a fini esclusivamente ricognitivi, ribadisce una normale giurisdizione per causa petendi del G.O., giurisdizione che sarebbe stata affermata comunque, in via pretoria, come corollario processuale della natura sostanzialmente privata dei rapporti.

Sul tema, una questione molto discussa attiene al riparto di giurisdizione in materia di contenzioso sugli incarichi dirigenziali. Di seguito una recente pronuncia delle Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione (Cass., Sez. Un., 22 settembre 2022, n. 27743), che hanno individuato nel giudice ordinario il giudice munito di giurisdizione – in tema di pubblico impiego privatizzato – su tutte le controversie relative a ogni fase del rapporto di lavoro, ivi comprese quelle relative al conferimento di incarichi dirigenziali (conf. Cass., Sez. Un., 25427/2023).

Di seguito si riportano la massima e i passaggi argomentativi più significativi della sentenza in parola.

La Cass., Sez. Un., 22 settembre 2022, n. 27743, ha affermato che “Sono attribuite alla giurisdizione del giudice ordinario – in tema d’impiego pubblico privatizzato – tutte le controversie relative ad ogni fase del rapporto di lavoro, ivi comprese quelle relative al conferimento d’incarichi dirigenziali, in quanto, la riserva stabilita in favore del giudice amministrativo riguarda solo le procedure concorsuali strumentali all’assunzione o alla progressione in un’area o fascia superiore a quella di appartenenza, laddove gli atti di conferimento d’incarichi dirigenziali conservano natura privata in quanto rivestono il carattere di determinazioni negoziali assunte dall’Amministrazione con i poteri e le capacità del comune datore di lavoro.

Il procedimento di conferimento di incarico dirigenziale di struttura complessa di cui al D.Lgs. 502/1992, art. 15ter, è contrassegnato da due fasi: la prima è incentrata sul giudizio di idoneità, formulato dall’apposita commissione di esperti incaricata di stilare una rosa di candidati e privo di valutazioni comparative; la seconda, finalizzata al conferimento dell’incarico, è rimessa alla discrezionalità del direttore generale e non si fonda sulla previa formazione di alcuna graduatoria, atteso che l’unico elemento rilevante per l’assegnazione finale è quello dell’idoneità (Cass. 3 settembre 2021, n. 23889).

Come già affermato dalla Corte, tale procedura, che si è detto è articolata secondo uno schema che prevede la scelta di carattere essenzialmente fiduciario di un professionista ad opera del direttore generale della ASL, nell’ambito di un elenco di soggetti ritenuti idonei da un’apposita commissione sulla base di requisiti di professionalità e capacità manageriali, ha carattere non concorsuale e, avendo la fase di nomina carattere dominante rispetto all’intero percorso della selezione, le controversie attinenti sia alla procedura di selezione (ad esempio concernenti l’accertamento del diritto al conferimento dell’incarico), sia al provvedimento discrezionale, di natura privatistica, del direttore generale, rientrano, per il principio di concentrazione delle tutele, nella giurisdizione del giudice ordinario, non potendo frazionarsi la giurisdizione con riferimento alle singole fasi del procedimento (cfr. Cass., Sez. Un., 6 marzo 2020, n. 6455, v. anche 12 marzo 2013, n. 6075).

Nella sentenza da ultimo citata (cfr. Cass., Sez. Un., 6075/2013 cit.) si è chiarito che “[…] sono attribuite alla giurisdizione del giudice ordinario tutte le controversie inerenti ad ogni fase del rapporto di lavoro, ivi comprese quelle relative al conferimento d’incarichi dirigenziali, perché la riserva stabilita in favore del giudice amministrativo concerne soltanto le procedure concorsuali strumentali all’assunzione od alla progressione in un’area o fascia superiore a quella di appartenenza, laddove gli atti di conferimento d’incarichi dirigenziali – i quali non concretano procedure concorsuali ed hanno come destinatari persone già in servizio nonché in possesso della relativa qualifica – conservano natura privata in quanto rivestono il carattere di determinazioni negoziali assunte dall’Amministrazione con i poteri e le capacità del comune datore di lavoro (Cass. 14252/2005, 4275/2007, 5078/2008, 26799/2008 e 20979/2009)”.

Si tratta di principio “ribadito anche con riferimento al settore sanitario, stabilendosi in proposito che la selezione prevista dall’art. 15ter, introdotto nel D.Lgs. 502/1992 dal D.Lgs. 229/1999, art. 13, non integra un concorso in senso tecnico, anche perché articolata secondo uno schema destinato a concludersi con una scelta essenzialmente fiduciaria del direttore generale (Cass. 21593/2005, 8950/2007 e 5920/2008, 21060/2011)” (cfr. Cass., Sez. Un., ult. cit.).

Da quanto esposto segue l’affermazione della giurisdizione del giudice ordinario davanti al quale, pertanto, la controversia dovrà essere riassunta nei termini di legge ed al quale è demandata la regolazione delle spese del presente regolamento. […]

*Contributo estratto da Giurisprudenza ragionata di diritto amministrativo di F. Caringella, M. Briccarello, A. Paccione, E. Succu – Dike Giuridica – Maggio 2024