Concorso Magistratura, Dike giuridica

Prove scritte magistratura – gennaio 2024 – Argomenti inerenti alla traccia estratta in materia di diritto amministrativo*

Prove scritte magistratura - gennaio 2024 - Argomenti inerenti alla traccia estratta in materia di diritto amministrativo*

Scritti magistratura – gennaio 2024 – Traccia estratta: “Regolamenti amministrativi e sindacato del giudice ordinario e amministrativo”

*Tratto dal Manuale ragionato di diritto amministrativo a cura di F. Caringella – Dike giuridica editrice – Settembre 2023

Scritti magistratura – gennaio 2024 – La tutela giurisdizionale nei confronti dei regolamenti illegittimi

Acclarata la natura “ibrida” dei regolamenti, quali atti formalmente (o soggettivamente) amministrativi ma sostanzialmente normativi, occorre ora verificare come la stessa incida sulle forme di tutela giurisdizionale assicurate nei loro confronti. Occorre chiedersi, in particolare, se, a questi fini, prevalga l’una o l’altra anima dei regolamenti, ossia il profilo normativo ovvero quello amministrativo, con i conseguenti risvolti sul piano processuale.

8.5.1  Il controllo di legittimità costituzionale

Innanzitutto, come già anticipato, la legittimità costituzionale delle disposizioni regolamentari è sottratta al sindacato diretto della Consulta. La formulazione letterale dell’art. 134 Cost. restringe il sindacato di costituzionalità alle sole fonti di rango primarie (vale a dire alle leggi – statali e regionali – e agli altri atti aventi forza di legge), con esclusione dei regolamenti legislativa. La Consulta è, in altri termini, il giudice delle (sole) leggi, non della Costituzionalità, genericamente intesa.

La circostanza che i regolamenti non rientrino tra gli atti impugnabili dinnanzi alla Corte Costituzionale non esclude, peraltro, che sia precluso un controllo indiretto da parte della Consulta per il tramite della legge sulla base della quale sono stati adottati. Ciò si verifica, in particolare, nei seguenti casi.

In primo luogo, possono essere sottoposte al vaglio della Corte Costituzionale le disposizioni legislative che autorizzano l’esercizio di una potestà regolamentare in ambiti coperti da riserva assoluta di legge o che autorizzano l’esercizio di una potestà regolamentare non sufficientemente delimitate in ambiti coperti da riserva relativa. In tali casi, evidentemente, la pronuncia di incostituzionalità della legge travolge anche il regolamento.

Le disposizioni regolamentari possono poi incidere sul giudizio di costituzionalità nell’ipotesi in cui una legge (apparentemente non in contrasto con la Costituzione) riceva attuazione mediante un regolamento che risulti lesivo dei principi costituzionali. In tale ipotesi la Corte Costituzionale interpreta la legge attraverso il significato che ne dà il relativo regolamento: è la c.d. dottrina del diritto vivente di origine regolamentare (Carlassare). La legge è, dunque, dichiarata incostituzionale nella parte in cui consente che un regolamento le conferisca un significato contrario a Costituzione. Ne consegue che il regolamento è caducato congiuntamente alla disposizione legislativa dichiarata incostituzionale.

Infine, l’art. 134 Cost. non esclude che i regolamenti, come tutti gli atti amministrativi in senso stretto, possano essere sottoposti al controllo della Corte Costituzionale, non quando essa giudica della costituzionalità delle leggi, ma quando è giudice dei conflitti di attribuzione, in particolare tra Stato e Regioni. Tale giudizio dinnanzi alla Consulta non è, tuttavia, alternativo, quanto piuttosto integrativo di quello proprio innanzi al G.A. per violazione di legge e, quindi, nel caso in cui la Consulta respinga il conflitto di attribuzione, la questione potrà essere sollevata dinnanzi al G.A., non essendosi formato alcun giudicato sulla giurisdizione.

Fermo quanto esposto in ordine alla sottrazione dei regolamenti a un controllo diretto di costituzionalità da parte della Consulta, i soggetti ordinariamente autorizzati a effettuare il sindacato giurisdizionale sugli atti regolamentari sono i giudici ordinari e i giudici amministrativi.

8.5.2  La tutela dinnanzi al G.O.: la disapplicazione dei regolamenti ex art. 5 L.A.C.

Il sindacato sulla legittimità dei regolamenti da parte del G.O. avviene incidentalmente ogni qual volta la questione oggetto del giudizio attenga non al regolamento in sé, ma a diritti soggettivi, e rispetto alla quale, tuttavia, la legittimità del regolamento rilevi quale presupposto della controversia.

In tali casi, in forza dei limiti interni alla giurisdizione ordinaria di cui agli artt. 4-5 L.A.C., il G.O. ha unicamente il potere di disapplicare gli atti amministrativi che risultino illegittimi. Tale potere di disapplicazione importa che il G.O. decida sul caso concreto prescindendo dall’atto amministrativo illegittimo (che verrà, dunque, privato della sua efficacia limitatamente al caso in esame) e che la decisione del G.O., in quanto oggetto di un sindacato incidentale, non avrà sul punto forza di giudicato.

8.5.3  Il giudizio impugnatorio dinanzi al G.A.: i regolamenti volizione-azione e i regolamenti volizione-preliminare

Facendo leva sul carattere di atti soggettivamente amministrativi proprio dei regolamenti, l’orientamento tradizionale non ha mai dubitato che gli stessi siano suscettibili di sindacato da parte del G.A. secondo le regole processuali generalmente valevoli per gli atti e i provvedimenti amministrativi. Anche per i regolamenti, dunque, il modello del sindacato è sempre stato individuato solo e necessariamente in quello impugnatorio-caducatorio.

Il carattere impugnatorio del giudizio amministrativo implica allora che il potere demolitorio del G.A. debba essere azionato dal soggetto interessato entro i termini perentori di decadenza previsti dal legislatore.

Tuttavia, la vocazione normativa dei regolamenti rende del tutto eccezionale l’ammissibilità di un’impugnativa diretta e immediata degli stessi. Essa sarà possibile solamente laddove il regolamento assuma, ancor prima dell’adozione dei provvedimenti attuativi, una dimensione lesiva tale da determinare l’insorgere dell’interesse a ricorrere nel soggetto agente.

A tal fine, dottrina e giurisprudenza distinguono due tipologie di regolamenti: regolamenti volizione-azione e regolamenti volizione-preliminare (Cons. Stato, sez. III, 10-7-2020, n. 4464).

I primi sono solo nominalmente dei regolamenti, in quanto, contravvenendo alla loro naturale struttura – analogamente a quanto accade nelle leggi-provvedimento – contengono statuizioni precise e puntuali in grado di incidere in via immediata sulla sfera giuridica dei destinatari dell’attività provvedimentale.

Avendo riguardo ai criteri sostanziali di identificazione degli atti normativi fondati su generalità, astrattezza e innovatività, si tratti di “falsi regolamenti” e, dunque, di veri e propri provvedimenti puntuali. Il loro regime impugnatorio è, quindi, il medesimo dei provvedimenti amministrativi: l’interessato ha l’onere di impugnare immediatamente e direttamente il regolamento, senza attendere il provvedimento attuativo. La mancata impugnazione del regolamento entro il termine di decadenza impedisce anche l’impugnazione degli atti applicativi, laddove questi ultimi siano impugnati non per vizi propri, ma per vizi derivati dal regolamento.

I regolamenti volizione-preliminare sono, invece, veri e propri regolamenti, anche dal punto di vista contenutistico. Essi sono caratterizzati da un contenuto generale e astratto e, come tali, non realizzano un’immediata incisione della sfera giuridica del destinatario. Sarà, dunque, il successivo provvedimento di attuazione a incidere sulle situazioni soggettive dei singoli, rendendo attuale la lesione. Il termine per l’impugnazione decorrerà, quindi, dal momento dell’adozione del relativo atto applicativo.

Nel caso in cui in giudizio si faccia valere un vizio proprio del provvedimento attuativo, non mutuato dal regolamento volizione-preliminare, oggetto dell’impugnazione potrà essere il solo atto applicativo. Al contrario, laddove il provvedimento applicativo mutui il vizio dal regolamento, al fine di evitare che l’atto presupposto continui, nonostante la sua illegittimità, a produrre effetti, l’interessato sarà tenuto a impugnare congiuntamente sia il provvedimento attuativo che il regolamento che ne è il presupposto. Tramite, quindi, il meccanismo della doppia impugnativa sarà rispettato il principio dell’attualità della lesione e della coerenza interna del gravame.

Infine, per quanto concerne i regolamenti misti, ovverosia quelli contenenti tanto prescrizioni di carattere programmatico quanto statuizioni immediatamente lesive, il regime dell’impugnazione varierà a seconda della natura delle disposizioni oggetto di contestazione.

8.5.3.1 Questioni processuali sottese al regime impugnatorio: controinteressati, effetti ultra partes del giudicato e sorte dei provvedimenti attuativi medio tempore adottati

Quanto osservato in merito al regime di impugnativa dei regolamenti e, in specie, il sistema della doppia impugnativa del regolamento e dell’atto applicativo pongono taluni problemi applicativi di carattere precipuamente processuale.

a)   Il problema dei controinteressati

      In primo luogo, viene in rilievo il problema della sussistenza e della corretta individuazione di terzi controinteressati.

      Ai sensi dell’art. 41 del c.p.a., infatti, il ricorso amministrativo deve essere notificato, a pena di inammissibilità, sia all’Amministrazione che ha adottato l’atto impugnato, vale a dire in caso di regolamento all’Amministrazione che lo ha emanato e, se diversa, anche a quella che ha emesso l’atto applicativo, sia ai controinteressati, vale a dire a coloro che ricevono un beneficio dal regolamento ovvero che hanno interesse alla conservazione dell’atto applicativo.

      La giurisprudenza amministrativa ha elaborato una nozione di controinteressato in senso stretto basata sulla necessità di due requisiti: uno di ordine sostanziale, rappresentato dalla titolarità di una posizione giuridica di vantaggio, attribuita specificamente dal provvedimento impugnato, e uno di tipo formale, rappresentato dall’identificazione nominativa del soggetto nell’atto impugnato o, comunque, dalla sua agevole riconoscibilità alla stregua dell’atto stesso.

      In realtà la giurisprudenza maggioritaria, partendo dalla mancanza del requisito sostanziale, non ritiene configurabili posizioni di soggetti controinteressati in sede di impugnazione di un regolamento, in virtù della natura normativa dell’atto e, quindi, dell’assenza di soggetti che ricavino un beneficio diretto dal regolamento.

      In talune sentenze, rimaste minoritarie, la giurisprudenza ha peraltro affermato che, per quei regolamenti che contengono prescrizioni concrete (si pensi ai regolamenti volizione-azione), è possibile individuare dei controinteressati in coloro che sono portatori di utilità diretta e immediata in caso di conservazione dell’atto normativo impugnato.

      Tuttavia, anche in questi casi permane la difficoltà di individuare concretamente tutti i soggetti avvantaggiati dall’atto normativo poiché esso si rivolge a un numero indeterminato di individui.

      Tale difficoltà non deve però portare a escludere la presenza di controinteressati ogni qual volta detta individuazione sia agevole ed esigibile in base ai parametri di ordinaria diligenza.

      In ogni caso deve ammettersi che tali soggetti, laddove siano rimasti estranei alla lite, possano servirsi dello strumento processuale dell’opposizione di terzo.

b)   I limiti soggettivi e oggettivi del giudicato di annullamento

      Il Consiglio di Stato, in più occasioni, ha ribadito che la sentenza di annullamento del regolamento amministrativo emessa in sede di doppia impugnativa produca effetti erga omnes ed ex tunc, in deroga al principio generale per cui la sentenza fa stato solo tra le parti, i loro eredi e gli aventi causa (art. 2909 c.c.).

      Un primo aspetto problematico attiene, quindi, al superamento dei limiti soggettivi del giudicato.

      Il primo argomento posto a sostegno dell’estensione ultra partes dell’effetto demolitorio del giudicato di annullamento del regolamento si basa sulla stessa indeterminabilità dei destinatari, propria degli atti normativi, nonché sul principio d’indivisibilità degli stessi, che non consente di frazionarne il contenuto in relazione alla pluralità di atti che ne costituiscono esecuzione. In sostanza, si tratta dell’applicazione del più generale principio di efficacia ultra partes sortita dalla pronuncia caducatoria di atti a contenuto inscindibile (T.A.R. Campania, Napoli, 6 maggio 2019, n. 2602).

      In secondo luogo, l’efficacia erga omnes risponde anche a esigenze di certezza giuridica, in quanto la natura unitaria del regolamento impedisce che esso trovi applicazione, nonostante sia dichiarato illegittimo, in relazione solo ad alcuni destinatari dell’atto che non hanno preso parte al procedimento.

      Il secondo problema che si pone attiene, invece, ai limiti oggettivi del giudicato e, in particolare, alla sorte dei provvedimenti attuativi del regolamento annullato. A tal proposito si distinguono due ipotesi:

1)   in caso di doppia impugnativa, l’annullamento del regolamento travolgerà anche l’atto a valle di esecuzione impugnato contestualmente.

      Si parla a tal proposito di invalidità derivata in quanto l’annullamento dell’atto presupposto, ossia il regolamento, si ripercuote sull’atto successivo che ne mutua il vizio;

2)   in caso di impugnazione del solo regolamento controversa appare la sorte degli atti applicativi adottati medio tempore e non impugnati tempestivamente. Due le tesi prospettate al riguardo: secondo un primo orientamento l’eliminazione del regolamento produce un effetto caducante nei confronti dell’atto applicativo travolto da invalidità derivata, anche in assenza di apposita impugnazione, sussistendo tra regolamento e provvedimento attuativo un nesso di presupposizione-consequenzialità necessaria; l’orientamento prevalente ritiene, invece, che l’annullamento del regolamento abbia un’efficacia meramente viziante e non caducante rispetto all’atto applicativo.

In sostanza tra regolamento, fonte del diritto, e atto applicativo non sussisterebbe quella corrispondenza biunivoca esistente tra atto presupposto e atto consequenziale che è alla base dell’anzidetta efficacia caducante. Ne consegue che gli effetti dell’annullamento prodotti dalla doppia impugnativa o dall’impugnativa del solo regolamento immediatamente lesivo non si propagano agli atti applicativi emanati medio tempore, divenuti ormai definitivi per effetto del decorso dei termini per l’impugnazione. Resta naturalmente salva la possibilità per la P.A., come ricordato a proposito degli effetti soggettivi del giudicato, di esercitare il potere di autotutela.

Sostegno a tale orientamento deriva anche da quanto previsto in caso di provvedimento adottato in esecuzione di legge dichiarata incostituzionale. Così come la declaratoria d’illegittimità costituzionale, che pure opera ex tunc ed erga omnes, non tocca i cosiddetti rapporti esauriti, nel novero dei quali rientra l’ipotesi del provvedimento amministrativo divenuto inoppugnabile per effetto del decorso del termine di decadenza, allo stesso modo l’efficacia caducante dell’annullamento del regolamento non può incidere sui diritti che non siano più contestabili per motivi di decadenza.

Medesimo risultato viene raggiunto, inoltre, valorizzando la logica di origine europea dell’affidamento, la quale impedisce che gli affidamenti dei consociati consolidatasi nel tempo siano travolti da meccanismi di caducazione automatica.

Il recente orientamento giurisprudenziale sembra, comunque, condividere entrambe le soluzioni, a seconda dell’intensità del rapporto di consequenzialità che viene ad instaurarsi tra i due atti (regolamento e provvedimento attuativo).

Sul punto il Consiglio di Stato (sez. V, 17 gennaio 2019, n. 432) ha più volte ribadito che per concretizzarsi la fattispecie di invalidità a effetti caducanti occorre che il rapporto di conseguenzialità instauratosi tra i due atti sia «immediato – diretto e necessario», al punto che l’atto successivo si relazioni con il suo precedente come una «inevitabile conseguenza di quello anteriore», senza la necessità di ricorrere a nuove e ulteriori valutazioni di interessi.

8.5.4  La disapplicazione dei regolamenti illegittimi. L’orientamento tradizionale contrario

Si è osservato che, secondo l’impostazione tradizionale, seguita dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato dagli inizi degli anni Cinquanta fino al 1992, l’unica forma di tutela avverso un regolamento illegittimo fosse quella di tipo impugnatorio sin qui descritta: gli atti normativi della pubblica amministrazione devono essere impugnati avanti al G.A. immediatamente o congiuntamente all’atto applicativo a seconda che si tratti di regolamenti direttamente lesivi (c.d. regolamenti volizione-azione) ovvero di regolamenti che producono un pregiudizio solo per effetto dell’intervento delle statuizioni che traspongono in concreto il precetto normativo (c.d. regolamenti volizione-preliminare). Era, invece, recisamente esclusa la possibilità per il G.A. di procedere alla disapplicazione del regolamento illegittimo, pure non ritualmente impugnato.

A sostegno della tesi ostile alla disapplicabilità dei regolamenti da parte del G.A. non tempestivamente impugnati si adducevano plurime argomentazioni:

a)   in primo luogo, la mancanza di una previsione normativa espressa che attribuisca al G.A. il potere di disapplicazione, sulla falsa riga di quanto previsto per il G.O. agli artt. 4-5 L.A.C., nonché la non estensibilità analogica al G.A. di tali norme, sulla base dell’assunto secondo cui la disapplicazione costituisce un minus rispetto all’annullamento e quindi è concessa al G.O. proprio in virtù della mancanza del più pregnante potere di annullamento posseduto dal G.A. All’opposto, la disapplicazione è ammessa in caso di giurisdizione esclusiva del G.A. qualora l’oggetto del giudizio riguardi posizioni di diritto soggettivo, non vertendo il giudizio sull’atto, ma sul rapporto e sulla spettanza del bene della vita e non rilevando in questo caso i termini di decadenza;

b)   secondariamente si è valorizzata la necessità di rispettare i termini perentori per l’impugnazione degli atti amministrativi a cui i regolamenti sono equiparati. L’onere d’impugnazione nei termini verrebbe, invece, eluso se, attraverso la disapplicazione, il ricorrente ottenesse l’utilità equivalente a quella che sarebbe derivata da un’impugnativa tempestiva, con una sorta di “rimessione in termini” dello stesso;

c)   infine, si sono richiamati i principi generali della domanda e della certezza giuridica. Il principio della domanda, di cui all’art. 112 c.p.c., impedirebbe al giudice di verificare d’ufficio la ricorrenza dei vizi di legittimità del regolamento senza che questi siano stati oggetto di specifici motivi di censura. Il principio di certezza, invece, contrasterebbe con una soluzione che, a fronte dell’illegittimità del regolamento, decreti l’ultravigenza e l’applicazione permanente del provvedimento attuativo.

8.5.4.1 Il Consiglio di Stato demolisce il dogma pietrificato della non disapplicabilità dei regolamenti illegittimi

L’orientamento tradizionale contrario alla disapplicazione dei regolamenti è stato oggi definitivamente superato dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato, a far data dalla storica decisione della sez. V, 26 febbraio 1992, n. 154.

Le argomentazioni sulla base delle quali si è affermato il radicale mutamento di indirizzo sono le seguenti:

a)  in primo luogo, si respinge ogni forma di equiparazione dei regolamenti agli atti amministrativi. Contrariamente all’indirizzo tradizionale, fondato sulla valorizzazione del profilo formalmente amministrativo del regolamento (in quanto proveniente da una P.A.), si osserva che ciò che rileva è la natura sostanziale dell’atto regolamentare che è essenzialmente normativa. Ne consegue che, come per tutte le fonti del diritto, anche per i regolamenti devono trovare applicazione i principi fondamentali, ricavabili dalle preleggi, dello iura novit curia e di gerarchia delle fonti (artt. 3 e 4).

     In base al principio iura novit curia, l’autorità giudiziaria, nel risolvere le controversie a essa sottoposte, è tenuta alla cognizione ufficiosa dell’intero quadro normativo, individuando la norma da applicare al caso, a prescindere da qualunque prospettazione della parte nel ricorso.

     In presenza di un’antinomia tra fonti del diritto di grado diverso – quali sono legge e regolamento – il criterio di cui essa deve fare applicazione per procedere all’individuazione della norma corretta da applicare è quello gerarchico: nel conflitto tra una fonte di rango superiore (la legge) e una di rango inferiore (il regolamento), la prima deve prevalere sulla seconda. Non consentire al giudice di disapplicare, anche in assenza di un’espressa impugnazione, l’atto regolamentare contra legem significherebbe sovvertire l’ordine gerarchico tra fonti sancito dalle disposizioni preliminari al codice civile e dalla Costituzione.

     Invero, non si tratta nemmeno di procedere alla disapplicazione del regolamento, quanto, più propriamente, alla diretta applicazione della legge, sul presupposto della radicale inapplicabilità del regolamento con essa contrastante. In conformità a quanto si è detto, in generale, al §3 circa la qualificazione giuridica della fonte contrastante con altra di rango gerarchicamente superiore, il regolamento illegittimo, infatti, è ab origine inidoneo a produrre effetti giuridici e, così a innovare l’ordinamento, perché la sua capacità creatrice è inibita dalla resistenza opposta dalla fonte gerarchicamente superiore. Non vi è, dunque, tecnicamente, alcun effetto suscettibile di disapplicazione, bensì, piuttosto, l’obbligo del giudice di risolvere la controversia applicando direttamente e unicamente la legge;

b)  in secondo luogo, una spinta verso la generale ammissibilità della disapplicazione (rectius: inapplicabilità) deriva, in questo senso, anche dal diritto europeo. Il principio di “primauté” del diritto europeo consente, infatti, al giudice nazionale di non applicare la norma interna contrastante con quella europea. Se ciò vale per le leggi, a maggior ragione non può negarsi che altrettanto debba valere per il regolamento contrario a una norma europea;

c)  si rileva, poi, che il richiamo al principio della domanda, quale motivo assuntamente ostativo al riconoscimento del potere di disapplicazione, è del tutto inconferente. La tecnica della disapplicazione non viola in alcun modo la necessaria corrispondenza tra chiesto e pronunciato: il regolamento, infatti, non verrà disapplicato per profili estranei all’oggetto del giudizio sì come delineato dalle parti con i propri atti difensivi, ma solo per vizi dalle stesse dedotti o rilevati in giudizio in relazione ai motivi d’impugnazione rivolti all’indirizzo dell’atto applicativo;

d)  infine, non ha valore dirimente nemmeno il riferimento all’esigenza di certezza giuridica. La disapplicazione del regolamento in sede giudiziale funge, infatti, da stimolo all’esercizio del potere di autotutela da parte della P.A., così posta in condizione di eliminare la disposizione regolamentare riscontrata illegittima dal giudice e dallo stesso solo disapplicata. Del resto, sempre sul piano della certezza giuridica, a favore del potere di disapplicazione muove la posizione di eventuali terzi controinteressati. L’annullamento erga omnes determinerebbe, infatti, un effetto sproporzionato rispetto alle istanze di tutela del ricorrente e inoltre potrebbe provocare anche la caducazione di atti applicativi favorevoli a soggetti non intervenuti in giudizio.

Nelle pronunce successive, l’orientamento favorevole alla disapplicazione (rectius: inapplicabilità) del regolamento illegittimo è stato ribadito e precisato dal Consiglio di Stato (cfr. da ultimo Cons. Stato, sez. V, ord. 20 luglio 2022, n. 3488).

In particolare, la giurisprudenza ha chiarito che la disapplicazione può operare sia in bonam partem (portando all’accoglimento del ricorso) che in malam partem (conducendo al respingimento del ricorso).

La disapplicazione è in malam partem nel caso in cui tra provvedimento attuativo impugnato e regolamento vi sia un rapporto di c.d. antipatia: il provvedimento risulta in contrasto con una disposizione regolamentare, a sua volta contrastante con la legge. Eliminata l’interposizione regolamentare, il provvedimento risulta, quindi, conclusivamente, conforme alla legge e il ricorso proposto avverso lo stesso dovrà essere respinto.

La disapplicazione è, invece, in bonam partem nel caso in cui tra provvedimento attuativo impugnato e regolamento vi sia un rapporto di c.d. simpatia: il provvedimento è conforme al regolamento, il quale, tuttavia, contrasta con la legge. In tal caso, il giudice, verificata l’illegittimità del regolamento, lo considera tam quam non esset e accoglie il ricorso accertando la diretta contrarietà alla legge del provvedimento impugnato. Una parte della giurisprudenza (cfr. Cons. Stato, 29 febbraio 1996, n. 222) ritiene, peraltro, che non vanga in gioco, propriamente, un’ipotesi di disapplicazione del regolamento quanto, piuttosto, un’invalidazione dell’atto applicativo a seguito della trasmissione del vizio proprio, a monte dell’atto pregiudiziale.

8.5.4.1.1 La disapplicazione si aggiunge o sostituisce l’annullamento?

Infine, ci si è chiesti se la disapplicazione del regolamento – una volta ammessa – debba considerarsi l’unico strumento di tutela approntato dall’ordinamento a favore del privato, o se, invece, essa concorra con il rimedio caducatorio, atteggiandosi a meccanismo rimediale alternativo rispetto a quest’ultimo.

Due gli orientamenti formatisi sul punto.

Parte della giurisprudenza ritiene che la tecnica della disapplicazione si aggiunga a quella caducatoria, sì che, il privato, ove ritenga di aver interesse, potrà pur sempre chiedere l’annullamento del regolamento.

In questo senso muoverebbero due diversi ordini di ragioni. In primo luogo, si rimarca la superiore intensità della tutela cadutoria, che – si afferma – sarebbe maggiormente satisfattiva per l’interessato, ponendolo al riparo dalla reiterazione di nuovi atti attuativi. In secondo luogo, occorrerebbe mantenere in capo al G.A. strumenti processuali atti a eliminare i regolamenti illegittimi, il che, nel quadro di una giurisdizione imperniata ormai sul rapporto e tesa al riconoscimento del bene della vita anelato dal privato, si traduce in un arricchimento del sindacato del giudice amministrativo e delle tecniche di tutela a sua disposizione.

Opposto, preferibile orientamento reputa, invece, che i due rimedi non siano tra loro concorrenti ma si pongano in un rapporto di reciproca esclusione.

Più in particolare, allorché venga in gioco un regolamento c.d. volizione-azione – che, come detto, è solo nominalmente un regolamento, ma ha la portata di vero e proprio provvedimento puntuale e concreto – la tutela sarà solo ed esclusivamente quella dell’annullamento con onere di immediata impugnazione.

Allorché, invece, ricorra un regolamento c.d. volizione-preliminare – ossia un atto nominalmente e sostanzialmente regolamentare – l’unico strumento è quello della disapplicazione (rectius: inapplicazione), e ciò in ragione della natura normativa del regolamento che impone che la sua cognizione sia effettuata, come per tutte le fonti del diritto, non in via principale, ma unicamente in via incidentale. In questa prospettiva, dunque, lo schema della doppia impugnazione non è più praticabile dinnanzi al G.A., che non potrà mai provvedere all’annullamento del regolamento illegittimo, ma, conformemente alla sua natura normativa e ai conseguenti principi di iura novit curia e di gerarchia delle fonti, potrà solo considerarlo tam quam non esset decidendo la causa in diretta applicazione della legge.

Né può affermarsi che la tutela disapplicatoria sia meno satisfattiva per il ricorrente, lasciandolo esposto al rischio della reiterazione di ulteriori atti applicativi. In forza dell’effetto conformativo del giudicato, infatti, il provvedimento con cui la P.A. desse reiteratamente applicazione al regolamento riconosciuto incidentalmente illegittimo, è da ritenere nullo e improduttivo di effetti. Certamente, il regolamento non annullamento ma semplicemente disapplicato potrà costituire il presupposto per l’adozione di successivi atti applicativi nei confronti di altri soggetti (non interessati dalla forza conformativa del giudicato reso inter alios); ma ciò è del tutto coerente con la configurazione del processo amministrativo quale giudizio di giurisdizione soggettiva, volto a tutelare la posizione giuridica del ricorrente, non già l’interesse oggettivo e generale alla legittimità dell’agire amministrativo.