Dike giuridica, Istituti e sentenze commentate

Permesso di soggiorno: ingresso e soggiorno dei cittadini stranieri*

Permesso di soggiorno: ingresso e soggiorno dei cittadini stranieri*

1. L’ingresso del cittadino straniero e dell’apolide nello spazio comune. – 2. Requisiti per l’ingresso e il soggiorno in Italia. – 2.1. Il visto d’ingresso. – 2.2. Il permesso di soggiorno. – 2.3 Il permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo e la Carta blu UE. – 3. La condizione giuridica dei cittadini dell’Unione europea soggiornanti in Italia.– 4. I minori stranieri. – 5. L’accordo di integrazione. – 6. Il Consiglio territoriale per l’immigrazione.

1. L’ingresso del cittadino straniero e dell’apolide nello spazio comune

La Costituzione italiana, all’articolo 10, secondo comma, ha previsto che la disciplina relativa alla condizione giuridica dello straniero sia riservata alla legge, in conformità delle norme e dei trattati internazionali.

Lo straniero, presente a qualsiasi titolo sul territorio dello Stato è anche titolare di diritti che prescindono dall’essere cittadino italiano[1].

In tal senso, la Corte costituzionale ha più volte affermato che il principio di eguaglianza sancito all’art. 3 della Costituzione deve essere interpretato in combinato disposto con l’art. 2 che riconosce la tutela dei diritti inviolabili dell’uomo senza distinguere tra cittadini e stranieri[2].

Tali diritti e garanzie, riconosciuti allo straniero nel territorio dello Stato in virtù del rinvio operato dal succitato articolo 10 c. 2, possono essere rintracciati nell’art. 12 del Patto internazionale sui diritti civili e politici e nell’articolo 2 del IV Protocollo addizionale alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che riconoscono agli stranieri il diritto di circolare liberamente, di scegliere liberamente la propria residenza e di lasciare il territorio dello Stato in cui dimorano, fatte salve le restrizioni previste dal diritto interno.

Ad essi, si aggiunge il divieto di subire discriminazioni, che discende dalle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute, alle quali l’ordinamento giuridico italiano è obbligato a conformarsi ai sensi dell’art. 10 della Costituzione.

Ciò premesso, la disciplina relativa all’ingresso e alla permanenza dello straniero sul territorio nazionale resta una prerogativa dello Stato, che può controllare, limitare o impedire l’ingresso e il soggiorno dello straniero, ovvero di disporne l’allontanamento anche con misure coercitive, previa adozione di un provvedimento di espulsione fondato su un comportamento individuale concreto.

La stessa Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo all’art. 13, comma secondo, pur sancendo che «ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi Paese, incluso il proprio […]», non istituisce alcun obbligo per gli Stati di ammettere sul proprio territorio se non i propri cittadini, tenuto conto che la pretesa dello straniero è da ponderare con altri interessi e limiti stabiliti dal diritto interno, oltre che con i vincoli derivanti dalle norme internazionali.

In via generale, pertanto, è possibile definire come interesse legittimo la situazione giuridica dello straniero in relazione all’ingresso sul territorio di uno Stato del quale non è cittadino.

Fanno eccezione alcune categorie di cittadini stranieri, per le quali si presume che l’ammissione sul territorio dello Stato abbia carattere prevalente rispetto a qualunque altro interesse contrapposto: a queste persone l’ordinamento riconosce un vero e proprio diritto soggettivo all’ingresso e al soggiorno sul territorio dello Stato.

Tali sono, nel territorio dell’Unione, i cittadini europei, in virtù delle libertà di circolazione e soggiorno, gli stranieri extra UE ai quali nel proprio Paese non è garantito l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana[3] e, infine, gli stranieri familiari di un cittadino italiano o di un cittadino straniero regolarmente soggiornante in Italia, per i quali il diritto al mantenimento o alla ricostituzione dell’unità familiare è posizione soggettiva da tutelare.

La riserva introdotta dal Costituente innanzi richiamata e a cui è intrinsecamente connessa la potenzialità di espansione – o contrazione – della sfera giuridica dello straniero regolarmente soggiornante, nell’ordinamento italiano è stata attuata per la prima volta dalla legge 28 febbraio 1990, n. 39, c.d. “legge Martelli”, a cui hanno fatto seguito, negli anni, la legge 6 marzo 1998, n. 40, c.d. legge “Turco-Napolitano” e il successivo decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, recante il “Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero” (T.U. Immigrazione).

Attualmente, pur nel quadro di una goverance complessa, il T.U. Immigrazione, continua a costituire la fonte primaria della materia, soprattutto con riferimento alla disciplina dell’ingresso, della regolamentazione dei flussi e delle condizioni di soggiorno dello straniero proveniente da un Paese terzo.

Importante, in questa sede, ribadire che, a partire dall’istituzione dello spazio di libera circolazione introdotto con i Trattati di Schengen e “comunitarizzato” dal Trattato di Amsterdam, la normativa in materia di ingresso si applica alle frontiere esterne dello Stato e non ai confini interni, con gli atri Stati europei, nonostante sia possibile per i Paesi aderenti, in casi eccezionali, sospendere temporaneamente le regole dello spazio comune reintroducendo i controlli alle frontiere.

2. Requisiti per l’ingresso e il soggiorno in Italia

Ai sensi dell’articolo 4 del T.U. Immigrazione[4], l’ingresso regolare nel territorio italiano dello straniero o dell’apolide, proveniente dalle frontiere esterne allo spazio Schengen, è subordinato al rispetto di determinati requisiti che devono perdurare per tutto il soggiorno e sono condizione per il rilascio e il rinnovo del permesso di soggiorno.

In particolare, per essere ammesso in territorio italiano è necessario che lo straniero:

–   sia titolare, laddove previsto, di un visto d’ingresso valido e di un passaporto in corso di validità, o di un documento di viaggio equipollente riconosciuto valido per l’attraversamento delle frontiere;

–   dimostri di essere in possesso di documentazione in grado di giustificare lo scopo e le condizioni del viaggio;

–   dimostri la disponibilità di mezzi di sussistenza sufficienti per la durata del soggiorno nonché, tranne che per i soggiorni per motivi di lavoro o familiari, anche per il ritorno nel Paese di provenienza.

Accanto ad essi, la legge prevede dei fattori ostativi all’ingresso. Non può essere ammesso nel territorio dello Stato lo straniero:

–   che sia stato segnalato nelle banche dati di polizia ai fini della non ammissione nello spazio Schengen;

–   che sia considerato una minaccia per l’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato italiano o di uno dei Paesi con i quali l’Italia ha sottoscritto accordi per la soppressione dei controlli alle frontiere interne e la libera circolazione delle persone;

–   che risulti condannato, a prescindere dal giudizio di pericolosità e anche a seguito di patteggiamento, per i reati per i quali è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza, di cui all’articolo 380, commi 1 e 2, del codice di procedura penale, ovvero per reati inerenti gli stupefacenti, la libertà sessuale, il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina verso l’Italia e dell’emigrazione clandestina dall’Italia verso altri Stati, o per reati diretti al reclutamento di persone da destinare alla prostituzione o allo sfruttamento della prostituzione, o di minori da impiegare in attività illecite, ovvero per uno dei reati previsti dalle disposizioni del titolo III, capo III, sezione II, della legge 22 aprile 1941, n. 633, relativi alla tutela del diritto di autore, e degli articoli 473 e 474 del codice penale;

–   che sia stato destinatario di un provvedimento di espulsione con divieto di reingresso nel territorio nazionale (nonché nel territorio degli altri Paesi aderenti a Schengen) per un periodo non inferiore a tre anni e non superiore a cinque, salvo il rilascio di una speciale autorizzazione da parte del Ministro dell’Interno;

–   che abbia già soggiornato sul territorio Schengen, nel medesimo semestre, per un periodo massimo complessivo di novanta giorni (tale ipotesi si verifica solo nei casi di ingresso di breve durata, vedi infra par. I.2.1).

2.1. Il visto d’ingresso

La titolarità di un visto è uno dei requisiti per l’ingresso regolare dello straniero nel territorio italiano e unionale[5]. Più precisamente, il visto rappresenta un provvedimento autorizzatorio che attesta l’avvenuto controllo preliminare sullo scopo e sulla durata del soggiorno.

L’autorizzazione all’attraversamento delle frontiere è rilasciata allo straniero dalla rappresentanza diplomatico–consolare dello Stato di destinazione del viaggio, presente nel Paese di origine o di provenienza dello stesso. L’autorità che lo rilascia conserva un ampio margine di discrezionalità nella verifica del possesso dei requisiti sopracitati, soprattutto con riferimento alle ripercussioni della presenza dello straniero sulla sicurezza del Paese di destinazione.

Le tipologie di visto possono essere riassunte sistematicamente in due categorie:

–   visti di ingresso per soggiorni di breve durata (inferiori o uguali a novanta giorni);

–   visti di ingresso per soggiorni di lungo periodo (superiori a novanta giorni).

Alla categoria dei visti di breve durata appartengono innanzitutto i “visti uniformi Schengen” (VSU), che consentono al titolare di circolare nell’intero territorio degli Stati che aderiscono allo spazio Schengen e visti con validità territoriale limitata (VTL) che, a differenza dei visti uniformi Schengen, consentono al titolare di circolare soltanto all’interno del territorio di quegli Stati membri le cui rappresentanze territoriali abbiano rilasciato il visto. È importante osservare che i visti con validità territoriale limitata costituiscono un’eccezione al sistema dell’ingresso, giustificata soltanto da motivi umanitari, di interesse nazionale o in ossequio a obblighi internazionali: è, infatti, l’autorità diplomatico-consolare che, d’ufficio e non su istanza dello straniero, rilascia l’autorizzazione in deroga alle condizioni previste per il rilascio del visto uniforme, esclusivamente in casi di urgenza e necessità.

I visti per soggiorni di lunga durata, diversamente, consentono l’ingresso nello Stato per un periodo superiore a novanta giorni, generalmente connesso allo scopo del soggiorno.

Il provvedimento di rilascio del visto da parte dell’autorità diplomatico-consolare è condizione necessaria ma non sufficiente all’ingresso dello straniero nel territorio dello Stato: lo straniero, sia esso in possesso del visto o anche esente da tale obbligo nelle ipotesi consentite, sarà infatti sottoposto alla verifica delle condizioni previste per l’ingresso anche da parte delle autorità nazionali di frontiera. Questa fase si caratterizza per essere una fase di polizia, volta soprattutto a verificare eventuali precedenti dello straniero nel Sistema di informazione Schengen (SIS) e negli archivi nazionali. All’esito del controllo, il personale della polizia di frontiera apporrà il timbro uniforme Schengen sul documento di viaggio dello straniero che, a quel punto, potrà accedere regolarmente al territorio italiano.

Qualora lo straniero non soddisfi le condizioni di ingresso, sarà adottato nei suoi confronti, dall’autorità competente, un provvedimento di respingimento (vedi infra, Cap. II.2).

2.2. Il permesso di soggiorno

Una volta entrato nel territorio dello Stato, lo straniero deve procedere a regolarizzare la propria permanenza, presentando un’istanza di rilascio dell’apposito titolo, che varia a seconda della durata e della motivazione del soggiorno.

In particolare, nel caso di soggiorni di durata non superiore a 90 giorni per motivi di affari, turismo, visite e studio, è sufficiente che lo straniero renda dichiarazione di presenza, ai sensi della legge 28 maggio 2007, n. 68[6].

Per soggiorni per motivi diversi da quelli per turismo, affari, visite e studio, o comunque per soggiorni di durata superiore a 90 giorni, lo straniero che ha fatto regolarmente ingresso in Italia è obbligato a richiedere, entro 8 giorni lavorativi, un permesso di soggiorno al Questore della provincia in cui intende dimorare, che lo rilascia entro il termine ordinatorio di sessanta giorni a decorrere dalla presentazione della domanda[7].

Il permesso di soggiorno è rilasciato allo straniero generalmente per i mede-simi motivi menzionati nel visto, alle condizioni e nei limiti previsti dal d.lgs. n. 286/1998[8].

La tipologia e la durata[9] del titolo di soggiorno hanno un effetto diretto sulla situazione giuridica dell’interessato, condizionando l’effettivo esercizio di una serie di diritti connessi alla permanenza sul territorio.

In via generale, ogni straniero regolarmente soggiornante ha il diritto di iscriversi nelle liste anagrafiche della popolazione residente a parità di condizioni con il cittadino italiano[10], di presentare, in qualità di datore di lavoro, domanda di nulla-osta in favore di altri lavoratori stranieri ancora residenti all’estero[11], di ottenere l’iscrizione agli ordini e collegi professionali[12], di accedere ai corsi di alfabetizzazione e di recupero della scuola dell’obbligo previsti in favore degli adulti[13], di fruire delle misure di integrazione sociale[14], oltre ad essere specificamente tutelato contro ogni atto illegittimo che comporti discriminazioni per motivi religiosi, etnici, nazionali o religiosi, compiute in materia di accesso all’occupazione, all’alloggio, all’istruzione, alla formazione e ai servizi sociali e socio-assistenziali e di esercizio di un’attività economica legittimamente intrapresa[15].

Diversamente, solo alcune tipologie di permesso di soggiorno consentono al cittadino straniero di richiedere il ricongiungimento con familiari residenti all’estero, ovvero di accedere alle prestazioni di assistenza sociale e alle graduatorie di assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica, diritti questi ultimi garantiti, rispettivamente, a titolari di permessi di soggiorno della durata di almeno uno e due anni.

Per alcune tipologie di soggiorno, il procedimento amministrativo prevede il coinvolgimento, nella fase istruttoria, dello Sportello unico per l’immigrazione (SUI) della provincia presso cui lo straniero intende stabilirsi.

Lo Sportello Unico per l’immigrazione, disciplinato dall’art 22 del d. lgs. n. 286/1998 e dall’art. 30 del d.P.R. n. 394/1999, nasce come organismo collegiale di valutazione delle istanze di nulla osta all’ingresso in Italia (nonché delle istanze di conversione dei permessi di soggiorno) per motivi di famiglia, per lavoro subordinato[16], per ricerca scientifica e per volontariato[17].

Per quanto riguarda l’ingresso per lavoro subordinato, la disciplina è regolamentata dalle linee di indirizzo della Presidenza del Consiglio dei Ministri che, nell’ambito della periodica programmazione delle quote migratorie regolari, stabilisce il numero di stranieri che possono accedere al mercato del lavoro interno per attività di tipo subordinato, a tempo indeterminato, determinato e a carattere stagionale. Si segnala, sul punto, che il d.l. 10 marzo 2023, n. 20, convertito dalla legge 5 maggio 2023, n. 50, ha introdotto all’articolo 1 un’importante novità in ordine alla pianificazione dei flussi di ingresso regolare, prevedendo che per il triennio 2023-2025, in deroga alla normativa vigente, siano definite con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri le quote massime di stranieri da ammettere in Italia per lavoro subordinato, includendo altresì l’opportunità di adottare, durante il triennio ulteriori d.P.C.m.

Saranno inoltre assegnate, in via preferenziale, quote riservate ai lavoratori di Stati che, anche in collaborazione con lo Stato italiano, promuoveranno per i propri cittadini campagne mediatiche sui rischi per l’incolumità personale, derivanti dall’inserimento in traffici migratori irregolari. Altre quote preferenziali potranno essere assegnate ad apolidi e a rifugiati riconosciuti dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati nei Paesi di primo asilo o transito.

Infine, sarà possibile ammettere “fuori quota” l’ingresso di stranieri cittadini di Paesi con cui l’Italia ha sottoscritto intese o accordi in materia di rimpatrio.

Infine, sarà possibile ammettere “fuori quota” l’ingresso di stranieri cittadini di Paesi con cui l’Italia ha sottoscritto intese o accordi in materia di rimpatrio.

Lo Sportello unico interviene altresì sui procedimenti di rilascio di permessi di soggiorno per motivi familiari – in particolare in caso di ricongiungimento – la cui disciplina è stata sistematizzata dal decreto legislativo 8 gennaio 2007, n. 5, in attuazione della direttiva 2003/86/CE, che ha introdotto nel TUI una serie di norme, di cui agli artt. 28 e ss., volte a garantire la piena attuazione – anche per i cittadini stranieri – dell’articolo 29 della Costituzione, pur nel rispetto di alcuni limiti di carattere soggettivo (la condizione giuridica dello straniero che chiede il ricongiungimento e del familiare da ricongiungere) e oggettivo (l’effettiva sussistenza del rapporto di parentela e i requisiti economici per il mantenimento).

Più precisamente, l’ordinamento riconosce il diritto a mantenere o a riacquistare l’unità familiare agli stranieri titolari di carta di soggiorno o di permesso di soggiorno di durata non inferiore ad un anno, rilasciato per motivi di lavoro subordinato o autonomo, ovvero per asilo, protezione sussidiaria, per studio, per motivi religiosi o per motivi familiari[18]. Il ricongiungimento può disporsi nei confronti del coniuge e del figlio minore e, soltanto ad alcune condizioni, nei confronti del genitore a carico e di altri figli maggiorenni[19].

In riferimento ai profili oggettivi, la sussistenza dei rapporti di parentela dei familiari da ricongiungere deve essere attestata dai Paesi di origine, tuttavia, nel caso in cui questi non siano in grado di produrre idonee certificazioni, i requisiti di parentela possono essere accertati dalle autorità diplomatiche o consolari all’estero mediante l’acquisizione dei risultati di analisi del DNA. Tale previsione consente di appurare il rapporto di parentela ma lascia irrisolto l’accertamento – quando manchi la possibilità di idonea certificazione – circa l’assenza di altri familiari nel Paese di origine, requisito fondamentale per consentire alle rappresentanze diplomatiche di valutare il rilascio del visto per ricongiungimento.

Inoltre, lo straniero residente in Italia può chiedere il ricongiungimento dei familiari solo dimostrando di disporre di un alloggio dotato di idoneità abitativa e di un reddito minimo derivante da fonti lecite, non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale e aumentato della metà per ogni familiare da ricongiungere (salvo nel caso in cui si chieda il ricongiungimento di due o più figli di età inferiore a quattordici anni, per cui è sufficiente un reddito non inferiore al doppio dell’importo annuo dell’assegno sociale). Nei casi di ricongiungimento con genitore ultrasessantacinquenne è richiesta anche una assicurazione sanitaria o altro titolo idoneo a garantire la copertura di tutti i rischi, o altrimenti l’iscrizione del genitore al Servizio sanitario nazionale.

Disposizioni meno vincolanti sono previste per coloro i quali hanno ottenuto il riconoscimento dello status di rifugiato. Ai sensi dell’art. 29-bis, del TUI, i familiari per i quali può essere chiesto il ricongiungimento sono i medesimi previsti per gli altri stranieri (salvo il caso in cui il rifugiato sia minore, al quale possono ricongiungersi solo i genitori), ma viene meno il requisito oggettivo dell’alloggio e del reddito, la cui disponibilità non deve essere comprovata. Inoltre, nel caso in cui non siano disponibili documenti ufficiali che provino la sussistenza di vincoli familiari – in ragione della mancanza di un’autorità riconosciuta che possa accertarli, o della presunta inaffidabilità dei documenti rilasciati dall’autorità locale – le rappresentanze diplomatico-consolari possono rilasciare apposite certificazioni sostitutive sulla base delle verifiche ritenute necessarie.

Da un punto di vista procedurale, la norma prevede che, su istanza dello straniero già soggiornante, lo Sportello unico per l’immigrazione presso la Prefettura di residenza o dimora dell’interessato rilasci il nulla osta necessario all’autorità diplomatico-consolare per l’emissione del visto del familiare. La domanda è completamente informatizzata e il nulla osta deve essere rilasciato – previo accertamento della sussistenza dei requisiti soggettivi e oggettivi e acquisizione del parere della Questura – entro novanta giorni dalla richiesta da parte dell’interessato.

Una volta acquisito il nulla osta al ricongiungimento, il Questore rilascia un permesso di soggiorno per motivi familiari della durata massima di due anni.

Oltre alle ipotesi di visto per ricongiungimento con il familiare presente in Italia o interessato a recarvisi, l’ordinamento prevede che il permesso di soggiorno per motivi familiari sia rilasciato dal Questore della provincia in cui lo straniero dimora in altri casi.

In particolare, il permesso di soggiorno per motivi familiari è rilasciato:

–   agli stranieri regolarmente soggiornanti da almeno un anno che abbiano contratto matrimonio nel territorio dello Stato con cittadini italiani o di uno Stato membro dell’Unione europea, ovvero con cittadini stranieri regolarmente soggiornanti;

–   al familiare straniero regolarmente soggiornante, in possesso dei requisiti per il ricongiungimento con il cittadino italiano, o di uno Stato dell’Unione, o con altro straniero regolarmente soggiornante in Italia; in tal caso il permesso del familiare è convertito in permesso di soggiorno per motivi familiari. La conversione può essere richiesta entro un anno dalla data di scadenza del titolo di soggiorno originariamente posseduto dal familiare;

–   al genitore straniero, anche naturale, di minore italiano residente in Italia; in tal caso il permesso di soggiorno per motivi familiari è rilasciato anche a prescindere dal possesso di un valido titolo di soggiorno, a condizione che il genitore richiedente non sia stato privato della potestà genitoriale secondo la legge italiana;

–   al figlio minoredello straniero con questi convivente e regolarmente soggiornante;

–   agli stranieri conviventi con parenti entro il secondo grado, o con il coniuge di nazionalità italiana, per i quali è espressamente previsto il rilascio del permesso di soggiorno per motivi familiari.

Una riflessione a parte meritano quei titoli di soggiorno che traggono il proprio fondamento direttamente dall’art. 10, terzo comma della Costituzione, il quale prevede che lo straniero al quale sia impedito l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana abbia diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge.

Facendo riserva di approfondire i profili attuativi del succitato articolo nella trattazione dedicata al riconoscimento della protezione internazionale, in questa sede è opportuno rassegnare gli elementi più significativi dei permessi di soggiorno rilasciati dal Questore all’esito della valutazione della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale territorialmente competente, sull’istanza presentata dallo straniero.

In particolare, qualora la Commissione territoriale riconosca allo straniero lo status di rifugiato, il Questore rilascia un permesso di soggiorno per asilo della durata di 5 anni, non sottoposto a rivalutazione in caso di rinnovo. Il titolo consente l’accesso ad ogni forma di lavoro alle medesime condizioni dei cittadini italiani, allo studio, ai servizi socio-assistenziali; consente il rilascio di un documento di viaggio di durata quinquennale e garantisce il ricongiungimento familiare, senza che – come innanzi specificato – sia richiesto alcun requisito di reddito e di alloggio.

Nel caso di riconoscimento di protezione sussidiaria, è rilasciato allo straniero un permesso di durata quinquennale, che consente al beneficiario l’accesso ad ogni tipo di lavoro, allo studio e ai servizi socio-assistenziali, il ricongiungimento familiare con semplificazioni per la documentazione della parentela, e il rilascio di un titolo di viaggio per stranieri, qualora il passaporto non possa essere richiesto al consolato del Paese di origine. A differenza dell’asilo, il permesso di soggiorno per protezione sussidiaria prevede un esame della Commissione territoriale per la verifica della permanenza dei presupposti, al momento dell’eventuale rinnovo.

In caso di diniego dell’istanza di protezione internazionale motivato dall’assenza dei presupposti giuridici posti a fondamento del riconoscimento dello status di rifugiato ovvero della protezione sussidiaria, l’ordinamento italiano prevede la possibilità del riconoscimento di una forma di protezione residuale. Tale circostanza è espressamente prevista dall’art. 5, comma 6 del TUI, ed è riconducibile a quanto stabilito a livello unionale in merito all’opportunità per gli Stati membri di intervenire sulla materia con protezioni di tipo complementare. Nello specifico – oltre al generale principio secondo cui agli Stati membri è riconosciuta l’opportunità di introdurre o mantenere in vigore disposizioni più favorevoli rispetto al contenuto delle direttive, purché non incompatibili con esse – l’art. 6, paragrafo 4, della direttiva UE n. 115/2008, prevede che gli Stati possano rilasciare in qualsiasi momento, per motivi umanitari, caritatevoli o di altra natura, un permesso di soggiorno autonomo o altra autorizzazione che conferisca il diritto di soggiornare a un cittadino di un Paese terzo, il cui soggiorno è irregolare.

La disciplina nazionale su tale forma di protezione residuale ha subito diverse modifiche nel corso degli ultimi anni, in particolare con gli interventi del d.l. n. 113/2018, del d.l. n. 130/2020 e, da ultimo, del d.l. 20/2023, convertito dalla legge 5 maggio 2023, n. 50. Nel fare rinvio a una successiva trattazione per l’analisi diacronica di quanto previsto dai diversi interventi legislativi, si segnala in questa sede che all’art. 7, comma 1, del d.l. 20/2023, intervenendo sul divieto di respingimento di cui all’art. 19 TUI, ne limita la portata ai casi vi siano fondati motivi di ritenere che la persona, se allontanata, rischi di essere sottoposta a tortura o a trattamenti inumani o degradanti, o qualora ricorrano gli obblighi di cui all’art. 5, comma 6 del TUI. Nella valutazione di tali motivi si dovrà tenere conto anche dell’esistenza, nello Stato di eventuale destinazione, di violazioni sistematiche e gravi dei diritti umani. Qualora sussistano i presupposti di un tale divieto di respingimento, allo straniero sarà concesso un permesso di soggiorno per protezione speciale.

Sono inoltre previste le seguenti tipologie di permessi di soggiorno:

–   permesso di soggiorno per protezione sociale, per vittime di tratta, avente durata di 6 mesi e rinnovabile per un anno o per il maggior periodo occorrente per motivi di giustizia. Tale permesso può essere convertito in permesso di soggiorno per motivi di studio qualora il titolare sia iscritto ad un corso regolare di studi (art. 18 TUI);

–   permesso di soggiorno per vittime di violenza domestica, avente una durata di un anno. Il permesso consente l’accesso ai servizi assistenziali e allo studio, nonché lo svolgimento di lavoro subordinato. Può essere convertito in permesso di soggiorno per lavoro o studio (art. 18bis TUI);

–   permesso di soggiorno per sfruttamento lavorativo, riservato al lavoratore straniero che abbia presentato denuncia e collabori nel relativo procedimento penale. Ha durata di sei mesi, un anno o maggior periodo legato ad esigenze di giustizia. Consente lo svolgimento di attività lavorativa e può essere convertito, alla scadenza, in permesso di soggiorno per lavoro subordinato o autonomo (art. 22 TUI);

–   permesso di soggiorno per cure mediche. Può essere riconosciuto allo straniero che versa in condizioni di salute derivanti da patologie di particolare gravità non adeguatamente curabili nel Paese di origine e tali da non consentirne il rimpatrio. La durata è commisurata al periodo attestato da idonea documentazione sanitaria e comunque non superiore ad un anno. È un permesso cartaceo e non elettronico, valido solo in Italia e non è convertibile per motivi di lavoro (art. 19 TUI);

–   permesso di soggiorno per situazioni di calamità contingenti ed eccezionali. È concesso allo straniero impossibilitato a rientrare nel Paese di origine a causa di situazioni eccezionale calamità. Ha durata di 6 mesi, rinnovabile una sola volta per altri 6 mesi, consente di lavorare, ma non è convertibile in permesso di soggiorno per motivi di lavoro (art. 20-bis TUI);

–   permesso di soggiorno per atti di particolare valore civile. È rilasciato a seguito di autorizzazione del Ministro dell’Interno su proposta del Prefetto competente, salvo che non ricorrano motivi per ritenere che lo straniero costituisca un pericolo per la sicurezza dello Stato. Ha durata biennale e consente l’accesso al lavoro e allo studio, oltre ad essere convertibile in permesso per lavoro o studio (art. 42-bis TUI).

Si segnala in questa sede che il d.l. 10 marzo 2023, convertito dalla legge 5 maggio 2023, n. 50 ha introdotto una nuova forma di permesso di soggiorno, per le vittime di reati di costrizione o induzione al matrimonio, di cui all’art. 558-bis del c.p.

Avverso il provvedimento di rifiuto del permesso di soggiorno adottato dal Questore è ammesso ricorso gerarchico al Prefetto della medesima provincia, entro sessanta giorni dalla notifica dell’atto, ovvero al Tribunale amministrativo regionale competente.

Fanno eccezione i provvedimenti che incidono sul diritto all’unità familiare per i quali il ricorso è proposto, trattandosi di un diritto soggettivo, dinanzi alla sezione specializzata in materia di immigrazione del Tribunale ordinario del capoluogo di distretto di Corte d’appello del luogo di dimora dell’interessato.

Infine, è ammesso il ricorso straordinario al Capo dello Stato, ai sensi degli articoli 8 e 9, del d.P.R. n. 1199 del 1971, entro il termine di centoventi giorni dal diniego.

2.3. Il permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo e la Carta blu UE

Al cittadino straniero in possesso da almeno cinque anni di un permesso di soggiorno in corso di validità, è rilasciato un permesso di soggiorno a tempo indeterminato.

Si tratta di un permesso concesso dal Questore a condizione che l’interessato dimostri la disponibilità di un reddito minimo non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale, unitamente ad un alloggio adeguato, che non risulti pericoloso per l’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato e che superi, da ultimo, un test di conoscenza della lingua italiana.

Il permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo consente al cittadino straniero di circolare liberamente nel territorio dello Spazio Schengen, di svolgere attività lavorativa subordinata o autonoma e di soggiornare, anche per motivi di lavoro, in un altro Stato Schengen, per un periodo anche superiore a novanta giorni.

Ai sensi della direttiva 2003/109/CE del 25 novembre 2003 in materia di soggiornanti di lungo periodo e della direttiva 2003/86/CE in materia di ricongiungimento, il beneficio connesso alla titolarità di un permesso quinquennale è strettamente individuale e non si estende ai familiari.

Pur essendo a tempo indeterminato, il permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo può comunque essere revocato dal Questore in una serie di circostanze. In particolare, la revoca è disposta qualora il titolo sia stato acquisito fraudolentemente, nel caso in cui sia adottato un provvedimento di espulsione, nel caso in cui manchino o vengano a mancare le condizioni per il rilascio, nel caso di assenza dal territorio dell’Unione per un periodo di dodici mesi consecutivi e dal territorio nazionale per un periodo superiore a sei anni e, infine, in caso di conferimento di un permesso di soggiorno di lungo periodo da parte di un altro Stato membro dell’Unione europea, previa comunicazione da parte di quest’ultimo.

Allo straniero cui sia stato revocato il permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo è rilasciato un permesso di soggiorno ordinario, ammesso che nei suoi confronti non ricorrano i presupposti per adottare un provvedimento di espulsione. In proposito, si precisa che l’espulsione del titolare del permesso di soggiorno UE incontra una serie di limiti in più rispetto alle fattispecie ordinarie di espulsione amministrativa: essa può essere disposta, infatti, soltanto per gravi motivi di ordine pubblico o sicurezza dello Stato e sempre a seguito di una valutazione discrezionale commisurata alla durata del soggiorno sul territorio nazionale dello straniero. Si segnala inoltre che, ai sensi della novella introdotta all’art. 9 del T.U. Immigrazione dal decreto-legge 17 febbraio 2017, n. 13, conv. con mod. dalla legge n. 46/2017, il titolare di permesso di soggiorno UE che sia anche titolare di una forma di protezione internazionale riconosciuta da un altro Stato membro dell’UE, qualora vengano meno le condizioni che determinano il suo diritto al soggiorno in Italia, deve essere allontanato verso lo Stato che ha riconosciuto il diritto di asilo, previa verifica dell’attualità della protezione.

In conclusione, si rammenta che con il decreto legislativo 28 giugno 2012, n. 108, attuativo della direttiva 2009/50/CE, è stato introdotto nel T.U. Immigrazione, agli artt. 9 ter e 27-quater, un particolare permesso di soggiorno per cittadini di Paesi terzi che intendano svolgere lavori altamente qualificati: la Carta blu UE.

L’Ufficio competente a ricevere la domanda di nulla osta al lavoro per i lavoratori stranieri altamente qualificati è ancora lo Sportello Unico per l’Immigrazione. Previa verifica dei requisiti soggettivi e oggettivi previsti dalla normativa, il Questore, acquisito il nulla osta del SUI, rilascia al lavoratore straniero autorizzato allo svolgimento di attività lavorative qualificate un permesso di soggiorno di durata biennale nel caso di contratto di lavoro a tempo indeterminato, ovvero con durata pari a quella del rapporto di lavoro negli altri casi. Come nel caso delle altre tipologie di permesso di soggiorno, anche la Carta blu UE può essere revocata qualora lo straniero non soddisfi più i requisiti previsti per il rilascio.

3. La condizione giuridica dei cittadini dell’Unione europea soggiornanti in Italia

Per i cittadini dei Paesi membri dell’Unione europea soggiornanti in Italia e per i loro familiari extracomunitari con loro conviventi l’art. 19 del d. lgs. 6 febbraio 2007, n. 30, in attuazione della direttiva 2004/38/CE relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, prevede un sistema di tutele progressivo che ne parifica pressoché la condizione giuridica con i cittadini italiani.

Il d. lgs. n. 30/2007 prevede, in particolare, che nei primi 3 mesi dall’ingresso, il cittadino dell’Unione goda della libertà di ingresso, di circolazione e soggiorno, sottoposta soltanto all’obbligo del possesso di un valido documento di identificazione (e al visto di ingresso per i familiari non comunitari), con piena libertà anche di svolgere un’attività lavorativa e di iscriversi ai servizi per l’impiego, accesso all’assistenza sanitaria – erogata ai cittadini nello Stato anche sulla base della TEAM (tessera europea assistenza medica) – ma senza accesso alle prestazioni di assistenza sociale.

Qualora il cittadino europeo dimori in Italia per un periodo superiore ai tre mesi continuativi, la normativa prevede che il Comune di residenza dello straniero, previa iscrizione anagrafica, rilasci all’interessato un’apposita attestazione del diritto di soggiorno. La permanenza deve essere motivata dalla regolare attività di lavoro subordinato e autonomo, dalla dimostrazione di disporre di un alloggio idoneo e di risorse derivanti da fonti lecite non inferiori all’importo annuo dell’assegno sociale, ovvero dall’iscrizione ad un regolare corso di studi o di formazione professionale presso un ente pubblico o privato, ovvero da un legame familiare con un cittadino italiano o comunitario regolarmente residenti in Italia per uno dei predetti motivi. Durante il medesimo periodo il familiare extracomunitario convivente col cittadino comunitario titolare del diritto di soggiorno può ottenere dalla Questura il rilascio di una Carta di soggiorno della durata di 5 anni che gli conferisce il medesimo trattamento del comunitario.

Dopo 5 anni ininterrotti di soggiorno regolare (periodo che è interrotto soltanto in caso di provvedimento di allontanamento) la normativa prevede che il diritto di soggiorno divenga permanente, certificato dall’attestazione del Comune di residenza.

Il diritto di soggiorno del cittadino europeo cessa in caso di provvedimento di allontanamento per motivi di sicurezza dello Stato o per motivi imperativi di pubblica sicurezza o per altri motivi di ordine pubblico o di sicurezza pubblica, ovvero per cessazione delle condizioni che determinano il diritto di soggiorno quando vengano meno le risorse economiche, salvo che si tratti di lavoratori subordinati o autonomi o di disoccupati iscritti nelle liste di collocamento da meno di sei mesi.

4. I minori stranieri

Al fine di poter meglio chiarire gli ambiti applicativi della complessa normativa in materia di minori, occorre in primo luogo distinguere tra minori accompagnati e non accompagnati.

Per minori accompagnati devono intendersi coloro che entrano in Italia, o vi soggiornano, unitamente ad un esercente la potestà genitoriale, ovvero i minori adottati, affidati o sottoposti a tutela con provvedimento formale, che raggiungano o convivano con la persona adottante o affidataria.

Con riguardo a tale categoria di minori, la normativa in vigore fino al 22 luglio 2016 prevedeva che il figlio minore dello straniero, con questi convivente e regolarmente soggiornante, fosse iscritto sul titolo autorizzatorio (permesso di soggiorno o permesso di soggiorno Ue per soggiornanti di lungo periodo) di uno o di entrambi i genitori, fino al compimento dei quattordici anni di età, seguendo in tal modo la condizione giuridica del genitore convivente, ovvero la più favorevole tra quella dei genitori conviventi; al quattordicesimo anno di età, era rilasciato al minore un permesso di soggiorno per motivi familiari che poteva essere rinnovato fino alla maggiore età.

Con l’adozione del permesso di soggiorno elettronico, dal 2006 era, poi, stato istituito il c.d. “allegato minore”, con lo scopo di agevolare i controlli delle forze dell’ordine: l’allegato minore altro non era che un allegato del permesso di soggiorno del genitore sul quale, oltre ai dati anagrafici del minore, era posta la foto dello stesso ed il numero del titolo autorizzatorio concesso al genitore. L’allegato minore, tuttavia, proprio perché appendice del titolo del genitore, non era assimilabile ad un documento di viaggio o di riconoscimento e non costituiva, singolarmente, un titolo valido per il soggiorno in Italia o per l’attraversamento delle frontiere.

La citata disciplina è stata definitivamente superata dalla legge 7 luglio 2016, n. 122, che ha apportato alcune modificazioni al d.lgs. 286/98 e al relativo regolamento di attuazione di cui al d.P.R. n. 394/1999, prevedendo il rilascio al minore di quattordici anni, già iscritto nel permesso di soggiorno del genitore o dell’affidatario, un permesso di soggiorno individuale, autonomo e distinto da quello dei genitori, per motivi familiari.

Una disciplina peculiare concerne il minore non accompagnato, vale a dire la persona di età inferiore ai diciotto anni che arrivi nel territorio dello Stato, per una qualsiasi causa, in assenza di un adulto che ne sia responsabile.

Il legislatore ha ritenuto che, al fine di tutelare la posizione vulnerabile del minore non accompagnato, la sua condizione di straniero, richiedente o meno protezione internazionale, sia irrilevante; ai minori stranieri non accompagnati, rintracciati sul territorio nazionale, si applicano le disposizioni vigenti in materia di assistenza e protezione dei minori e, in particolare, il collocamento in luogo sicuro, l’apertura della tutela e l’affidamento ad una famiglia o ad una comunità (per un’analisi puntuale della disciplina, vedi infra, III.5).

Al minore non accompagnato è rilasciato, dal Questore della provincia di dimora, uno specifico permesso di soggiorno per minore età, rinnovabile fino al raggiungimento del diciottesimo anno e sostituibile con un permesso di soggiorno per affidamento, qualora sia stato affidato con provvedimento del Tribunale per i minorenni. Al compimento della maggiore età, al minore straniero è stato rilasciato un permesso di soggiorno per motivi di studio o lavoro, la cui durata è stata limitata, dal d.l. 10 marzo 2023, convertito dalla legge 5 maggio 2023, n. 50 ad un anno.

I minori non accompagnati, presenti sul territorio nazionale, non possono in via generale essere espulsi, ad eccezione del caso in cui debba essere disposto il provvedimento di rimpatrio per motivi di ordine pubblico e sicurezza dello Stato, su proposta del Questore competente, dal Tribunale per i minorenni; possono, tuttavia, essere rimpatriati attraverso lo strumento del rimpatrio assistito, qualora questo sia finalizzato a garantire il diritto all’unità familiare mediante il ricongiungimento con il proprio nucleo. Il provvedimento, in questo caso, è adottato a seguito di una accurata indagine, attivata e svolta nel paese di origine dalla Direzione generale dell’immigrazione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.

5. L’accordo di integrazione

Il d.P.R. 14 settembre 2011, n. 179, ha dato attuazione all’art. 4-bis del TUI, così come novellato dalla legge 15 luglio 2009, n. 94, che ha previsto l’obbligo, per gli stranieri non comunitari che fanno ingresso per motivi di lavoro nel nostro Paese, di sottoscrivere un “accordo di integrazione”, articolato per crediti, a cui è subordinata la convalida del permesso di soggiorno rilasciato al momento dell’ingresso. L’istituto, in linea con le normative di altri Paesi europei, è volto a valorizzare l’esigenza di adoperarsi, sia da parte dello straniero che dello Stato, per migliorare il processo di integrazione sociale nello Stato di accoglienza.

Dalla sottoscrizione dell’accordo derivano – per lo straniero e per lo Stato italiano – una serie di reciproci impegni e di vicissitudini analoghe a un contratto, costitutive, sospensive, estintive per adempimento, o risolutive per inadempimento.

Ai sensi dell’accordo, lo Stato si impegna a garantire allo straniero la piena tutela dei diritti e delle libertà fondamentali, il rispetto delle norme sul lavoro dipendente, l’assistenza sanitaria, l’istruzione obbligatoria e, non ultime, le opportunità di formazione necessarie per il raggiungimento degli obiettivi d’integrazione fissati, compresa una giornata di formazione da seguire entro i primi tre mesi dall’ingresso in Italia. Lo Stato è tenuto a sostenere il processo di integrazione dello straniero coinvolgendo regioni ed enti locali, centri per l’istruzione degli adulti, organizzazioni non governative del terzo settore, associazioni sindacali e imprenditoriali.

Lo straniero, da parte sua, è tenuto ad assumere l’impegno a raggiungere specifici obiettivi di integrazione, in particolare:

–   acquisire un livello adeguato di conoscenza della lingua italiana parlata, equivalente almeno al livello A2 del quadro comune europeo di riferimento per le lingue emanato dal Consiglio d’Europa;

–   acquisire una sufficiente conoscenza dei principi fondamentali della Costituzione della Repubblica e dell’organizzazione e funzionamento delle istituzioni pubbliche in Italia;

–   acquisire una sufficiente conoscenza della vita civile in Italia, con particolare riferimento ai settori della sanità, della scuola, dei servizi sociali, del lavoro e degli obblighi fiscali;

–   garantire l’adempimento dell’obbligo di istruzione nei confronti dei figli minori;

Sono tenuti alla stipula dell’accordo tutti i cittadini stranieri di età maggiore ai sedici anni che fanno ingresso in Italia e chiedono il rilascio di un permesso di soggiorno non inferiore ad un anno. Sono quindi esclusi dall’obbligo di stipula, ad esempio, coloro che fanno ingresso per lavoro stagionale (il cui soggiorno non può superare il periodo di nove mesi) e tutti coloro i quali chiedono di soggiornare per ragioni particolari e di durata imprevedibile come, ad esempio, le cure mediche. Vi sono altri casi di esenzione che riguardano persone affette da particolari patologie, minori non accompagnati e vittime di tratta.

La sottoscrizione dell’accordo può avvenire in Prefettura o in Questura, a seconda che lo straniero si debba presentare o meno allo Sportello unico per l’immigrazione.

La stipula dell’accordo da parte del minore ultrasedicenne richiede anche la firma da parte dei genitori che soggiornano regolarmente in Italia (o da parte di chi esercita la potestà genitoriale).

L’impegno dello Stato viene assunto dal Prefetto in qualità di rappresentante del Governo sul territorio, o da suoi delegati. Il testo dell’accordo – disponibile nella traduzione in diciannove lingue – costituisce uno degli allegati del d.P.R. n. 179/2011 e contiene il riferimento a tutti i principi fissati nel regolamento stesso.

Lo straniero ha tempo due anni per rispettare gli impegni assunti con l’accordo; tale termine è prorogabile per un altro anno nel caso in cui non abbia pienamente raggiunto la soglia dei crediti richiesta, salvi i casi di sospensione che possono essere concessi dallo Sportello unico sulla base della documentazione addotta dall’interessato.

La gestione delle vicende connesse alla stipula dell’accordo è affidata agli Sportelli unici per l’immigrazione tramite un sistema informatico che consente anche agli stranieri interessati di verificare lo stato dei crediti conseguiti (o persi). Per le concrete modalità di erogazione di tale sessione informativa, ciascun prefetto raggiunge apposite intese con gli enti locali, i centri di istruzione per adulti e gli altri stakeholders.

All’atto della sottoscrizione dell’accordo, vengono attribuiti sedici crediti (corrispondenti al livello A1 di conoscenza della lingua italiana parlata ed al livello sufficiente di conoscenza della cultura italiana) e, ai fini dell’adempimento dell’accordo, è necessario conseguirne almeno trenta. La verifica dei crediti rientra nella competenza dello Sportello unico che, sulla base dell’accertamento dell’effettivo raggiungimento dei livelli di conoscenza di lingua e cultura civica, può apportare incrementi o detrazioni ai crediti. L’incremento dei crediti può anche essere legato alla frequenza con profitto di corsi o percorsi di istruzione, anche professionale, allo svolgimento di un’attività economico-imprenditoriale, alla partecipazione ad un’attività di volontariato, o alla dimostrazione di aver stipulato un regolare contratto di locazione o di acquisto di un immobile ad uso abitativo.

La decurtazione dei punti può invece avvenire in presenza di condanne penali, anche non definitive, per l’applicazione di misure di sicurezza personali, per l’irrogazione, definitiva, di sanzioni pecuniarie per illeciti amministrativi e tributari, o per la mancata frequenza delle scuole dell’obbligo da parte dei figli minori. In tal caso è previsto l’azzeramento di tutti i crediti conseguiti e la risoluzione dell’accordo per inadempimento, a meno che l’interessato non dimostri di essersi adoperato in tutti i modi per garantirne l’assolvimento.

La perdita integrale dei crediti determina la risoluzione dell’accordo e l’espulsione per effetto della revoca del permesso di soggiorno, fatti salvi i casi di divieto di espulsione espressamente previsti.

6. Il Consiglio territoriale per l’immigrazione

L’articolo 3, comma 6, del TUI prevede che venga istituito, presso ciascuna Prefettura, un Consiglio territoriale per l’immigrazione, con compiti di analisi delle esigenze e di promozione degli interventi da attuare a livello locale in materia di immigrazione e integrazione.

Presieduto dal Prefetto, che provvede alla nomina dei membri e al corretto svolgimento delle funzioni, il Consiglio è composto dai rappresentanti istituzionali competenti sul territorio e dai rappresentanti degli organismi non governativi attivi a livello locale (anche rappresentativi delle comunità straniere). L’espressa apertura della partecipazione anche al terzo settore e ai rappresentanti dell’associazionismo dà la misura dell’intento di fare di questo organismo non solo uno strumento consultivo ma anche operativo, proprio per fare in modo che ciascun soggetto partecipante orienti la propria attività verso i medesimi obiettivi fissati collegialmente.

Negli anni, i CTI, coordinati dal Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione, sono stati chiamati ad esprimersi su una pluralità di questioni: dalla determinazione delle quote per i decreti flussi, alla promozione di iniziative in materia di integrazione, anche finanziate con i fondi europei, alle misure per l’accoglienza e integrazione dei richiedenti asilo e rifugiati.


[1] Il riferimento, oltre alle norme consuetudinarie e ai trattati internazionali, è ai diritti e libertà fondamentali definiti nella Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950 (ratificata e resa esecutiva con l. 4 agosto 1955, n. 848), nel cui art. 1 gli Stati firmatari dichiarano che tali diritti si «riconosco-no ad ogni persona soggetta alla loro giurisdizione», e nei successivi Protocolli addizionali.

[2] Ex plurimis Corte cost. sent. 18 luglio 1986, n. 199; Corte cost. sent. 19-26 giugno 1969, n. 104; sentenze nn. 104/1969, 144/1970, 109/1974 e 244/1974.

[3] Cfr. art. 10, c. 3, Cost.

[4] Le condizioni generali per gli ingressi e i soggiorni sono, in particolare, previste dal regolamento recante il “Codice delle frontiere Schengen” – Regolamento UE n. 399 del 2016 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 9 marzo 2016 che codifica il Regolamento (CE) n. 562/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, che istituisce un codice comunitario relativo al regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone (codice frontiere Schengen), la convezione di applicazione dell’Accordo di Schengen, i regolamenti (CE) n. 1683/95 e (CE) n. 539/2001 del Consiglio e i regolamenti (CE) n. 767/2008 e (CE) n. 810/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio – e dagli artt. 4 e 5 T.U..

[5] Salvo che si tratti di cittadino di uno degli Stati inclusi nell’elenco previsto e aggiornato con apposito Regolamento dell’Unione europea, n. 1806 del 2018, dei Paesi i cui cittadini sono esentati dall’obbligo del visto di ingresso per gli ingressi inferiori a 90 giorni per turismo, affari, visita.

[6] Per gli stranieri che provengono da un Paese terzo e fanno ingresso in Italia attraverso una frontiera esterna si considera, ai fini del rilascio della dichiarazione di presenza, il timbro uniforme Schengen apposto sul passaporto al valico da parte della polizia di frontiera. Diversamente, gli stranieri che hanno fatto ingresso in uno Stato dello spazio comune, e si sono successivamente spostati in Italia, hanno l’obbligo di dichiarare la loro presenza, entro otto giorni dall’ingresso, al Questore della provincia in cui intendono soggiornare. Un’ulteriore possibilità per regolarizzare la permanenza non superiore a tre mesi è stata concessa agli stranieri che hanno fatto ingresso in Italia transitando da uno Stato membro e sono ospitati in strutture alberghiere: ai sensi dell’articolo 109, commi 1 e 3, del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, costituisce, infatti, dichiarazione di presenza, la dichiarazione resa all’albergatore, sul quale incombe l’obbligo di segnalare all’Autorità locale di pubblica sicurezza le generalità di tutte le persone alloggiate – ivi compresi gli stranieri – entro le ventiquattro ore successive al loro arrivo. La dichiarazione di presenza consente il soggiorno per il tempo massimo indicato nel visto di ingresso – che comunque non sarà superiore a 90 giorni – e non costituisce un titolo ai fini dell’accesso al mercato del lavoro. Qualora lo straniero, pur avendo regolarmente dichiarato la propria presenza, si sia trattenuto nel territorio dello Stato oltre il periodo consentito, la sua permanenza diviene irregolare.

[7] Si distingue il permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo (vedi infra, par. I.3.2), per il quale il rilascio da parte del Questore avviene entro il termine ordinatorio di 90 giorni, a decorrere dalla data di presentazione della domanda.

[8] Con Regolamento (CE) n. 1030/2002 del Consiglio del 13 giugno 2002 è stato istituito un modello uniforme per i permessi di soggiorno rilasciati a cittadini di paesi terzi che, in Italia a partire dall’11 dicembre 2006, nella maggior parte dei casi, si presentano in formato elettronico. Per semplificare la procedura di rilascio, in virtù di una convenzione stipulata tra il Ministero dell’Interno e Poste Italiane S.p.a., ai sensi dell’art. 39, comma 4 bis della legge n. 3/2003, per alcune tipologie di permessi di soggiorno, le istanze sono presentate per il tramite di uffici postali abilitati. Le tipologie di permesso di soggiorno rilasciate dagli uffici postali abilitati sono le seguenti: adozione, affidamento, aggiornamento permesso di soggiorno (cambio domicilio, stato civile, inserimento figli, cambio passaporto), attesa occupazione, attesa riacquisto cittadinanza, asilo politico (rinnovo), conversione permesso di soggiorno, duplicato permesso di soggiorno, famiglia, lavoro autonomo, lavoro subordinato, lavoro subordinato-stagionale, missione, motivi religiosi, residenza elettiva, ricerca scientifica, status apolide (rinnovo), studio, tirocinio formazione professionale, turismo. Diversamente, devono essere presentate presso gli uffici immigrazione delle Questure le istanze per i permessi per: affari, cure mediche, gara sportiva, asilo politico (rilascio), minore età, giustizia, status apolide (rilascio), integrazione minore, soggiorno cittadini UE comunitari.

[9] La durata del permesso di soggiorno per motivi di lavoro è quella prevista dal contratto, mentre negli altri casi la durata è quella indicata nel visto di ingresso; in ogni caso, la durata del permesso non può mai essere: superiore ad un anno nel caso di frequenza di un corso di studio o formazione; superiore a nove mesi, nel caso di lavoro stagionale; superiore ad un anno, nel caso di un contratto di lavoro a tempo determinato; superiore a cinque anni, nel caso di riconoscimento della protezione sussidiaria; superiore a cinque anni, nel caso di riconoscimento dello status di rifugiato. Un’attenzione particolare meritano i permessi di soggiorno per lavoro a tempo indeterminato, per lavoro autonomo e per ricongiungimento familiare la cui durata massima, in caso di rinnovo, è stata estesa da 2 a 3 anni dal d.l. 10 marzo 2023, n. 20, convertito dalla legge 5 maggio 2023, n. 50.

[10] Art. 6, comma 7 TUI. L’art. 3 del decreto legge n. 130 del 2020 è intervenuto in materia di iscrizione anagrafica dei richiedenti protezione internazionale, reintroducendo il relativo diritto dopo che il d.l. 113/2018 lo aveva espunto. Si prevede in particolare l’iscrizione nell’anagrafe della popolazione residente del richiedente protezione internazionale al quale sia stato rilasciato il permesso di soggiorno per richiesta di asilo o la ricevuta attestante la presentazione della richiesta di protezione internazionale. Ai richiedenti protezione internazionale che abbiano ottenuto l’iscrizione anagrafica è rilasciata una carta d’identità, di validità triennale, limitata al territorio nazionale.

[11] Artt. 22 e 24 TUI.

[12] Art. 37 TUI.

[13] Art. 38, comma 5 TUI.

[14] Art. 42, comma 1, lett. a) e c) TUI.

[15] Art. 43, comma 2, lett. c) e d) TUI.

[16] L’istanza di nulla osta è presentata dal datore di lavoro allo Sportello che, qualora decida di rilasciarlo, provvederà a trasmetterlo alla rappresentanza diplomatico-consolare italiana presente nello Stato di residenza dello straniero del quale è richiesto l’ingresso. Il nulla osta al lavoro subordinato deve essere utilizzato dallo straniero, ai fini del rilascio del visto d’ingresso, entro sei mesi dalla data di emissione per le ipotesi rientranti nelle quote del periodico decreto flussi ed entro quattro mesi per i casi particolari previsti dall’articolo 27 del T.U. Immigrazione. Avverso il rifiuto o la revoca del nulla osta del SUI è ammesso ricorso al Tribunale amministrativo regionale competente, entro sessanta giorni dalla notifica del diniego.

[17] Per quanto riguarda l’ingresso per ricerca scientifica, previsto per periodi di breve o lunga durata, questo consente al ricercatore straniero di poter entrare in Italia per lo svolgimento di attività di ricerca presso università o istituti iscritti in un apposito registro presso il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca. L’attività, a seconda della convenzione di accoglienza, può essere svolta nelle forme di lavoro subordinato, lavoro autonomo o di borsa di ricerca; anche per la concessione del visto per ricerca scientifica, per soggiorni superiori ai tre mesi, è necessaria la preliminare valutazione dell’istanza, presentata dall’istituto di ricerca, a cura dello Sportello unico per l’immigrazione della provincia in cui si svolge il programma. In questo caso, il nulla osta, opportunamente trasmesso all’autorità diplomatico-consolare competente, deve essere utilizzato dal ricercatore straniero entro sei mesi dal rilascio. Per soggiorni fino a tre mesi, il nulla osta può essere sostituito da una comunicazione allo Sportello della provincia in cui si svolge l’attività di ricerca. Lo Sportello Unico, esprima il nulla osta all’ingresso per volontariato dello straniero di età compresa tra i venti e trenta anni. Poiché, tuttavia, condizione preliminare all’ingresso per volontariato è la determinazione, con decreto interministeriale, di un contingente annuale recante il numero dei giovani stranieri ammessi in Italia, nelle more dell’adozione del provvedimento la previsione non ha mai trovato applicazione.

[18] Possono, inoltre, ai sensi del Decreto interministeriale n. 850 del 2011, esercitare il proprio diritto a mantenere o a riacquistare l’unità familiare: – gli stranieri in possesso di un visto o di un permesso di soggiorno per missione; in questo caso, può essere rilasciato un analogo visto per missione solo agli stranieri componenti lo stretto nucleo familiare del titolare del permesso di soggiorno; – i titolari di un visto o di un permesso di soggiorno per residenza elettiva; in questo caso, al coniuge convivente, ai figli minori ed ai figli maggiorenni conviventi ed a carico, potrà essere rilasciato un visto per residenza elettiva, a condizione che le capacità finanziarie siano giudicate adeguate a mantenere il nucleo; – i titolari di un permesso di soggiorno per assistenza ad un minore soggiornante in Italia, concesso ai sensi dell’art. 31, comma 3, del TUI; in particolare, il rilascio del visto richiede una specifica autorizzazione per gravi motivi, connessi alla condizione del minore, rilasciata dal Tribunale per i minorenni territorialmente competente; il visto è rilasciato per la durata indicata nell’autorizzazione del Tribunale e dell’avvenuta concessione è data formale comunicazione alle autorità nazionali coinvolte: il Tribunale che ha concesso l’autorizzazione, la Prefettura e la Questura della provincia in cui dimora il minore. Si segnala che, in forza della legge 20 maggio 2016, n. 76, il diritto al ricongiungimento familiare è esteso anche ai cittadini stranieri dello stesso sesso uniti civilmente.

[19] Beneficiari del ricongiungimento, ai sensi dell’art. 29 del TUI, possono essere: il coniuge non legalmente separato e di età non inferiore ai diciotto anni; i figli minori, anche del coniuge o nati fuori del matrimonio, non coniugati, a condizione che l’altro genitore, qualora esistente, abbia dato il suo consenso. La minore età deve sussistere al momento della presentazione della domanda di ricongiungimento e la condizione di adozione o affidamento è equiparata alla consanguineità; i figli maggiorenni a carico, qualora per ragioni oggettive non possano provvedere alle proprie indispensabili esigenze di vita, in ragione del loro stato di salute che comporti invalidità totale; i genitori a carico, qualora non abbiano altri figli nel Paese di origine o di provenienza, ovvero genitori ultrasessantacinquenni, qualora gli altri figli siano impossibilitati al loro sostentamento per documentati e gravi motivi di salute; il genitore di un figlio minore che si trovi in Italia con l’altro genitore, purché sussistano i requisiti di alloggio e reddito, anche se posseduti dall’altro genitore.

*Contributo estratto dal volume Ordinamento e attività istituzionali del Ministero dell’Interno, a cura di Maria Teresa Sempreviva– Dike Giuridica