Concorso Magistratura, Dike giuridica, Istituti e sentenze commentate

Il permesso di costruire*

Il legislatore disciplina il permesso di costruire all’art. 10, disponendo al comma 1 che «costituiscono interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio e sono subordinati a permesso di costruire: a) gli interventi di nuova costruzione; b) gli interventi di ristrutturazione urbanistica; c) gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente, nei casi in cui comportino anche modifiche della volumetria complessiva degli edifici ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d’uso, nonché gli interventi che comportino modificazioni della sagoma o della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti di immobili sottoposti a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42».

Carattere non esaustivo della enumerazione

Occorre rilevare, tuttavia, come la prefata enumerazione non esaurisca le tipologie di interventi subordinati al rilascio del permesso di costruire, in quanto l’art. 10, comma 3, ne consente l’individuazione di ulteriori tipologie ad opera di leggi regionali, che possono prevedere anche una S.C.I.A. L’inosservanza dei limiti imposti dalla legge regionale non dà luogo, tuttavia, all’applicazione delle sanzioni penali di cui all’art. 44 T.U.Ed., in ragione dei limiti costituzionali posti alla potestà legislativa regionale.

Il permesso di costruire rappresenta il primo dei titoli di legittimazione all’esecuzione di interventi di trasformazione edilizia e urbanistica[1].

Si tratta di un istituto che ha sostituito, sulla scorta di quanto chiarito dalla Corte Costituzionale con sent. 30 gennaio 1980, n. 5 e su indicazione resa in sede consultiva dal Consiglio di Stato, la concessione contemplata dalla disciplina previgente, sulla falsariga dell’istituto francese del permis de construction ou de batir.

La licenza edilizia

Anteriormente all’introduzione del permesso di costruire, il vaglio pubblico inerente alle attività di costruzione dei privati era rimesso alla “licenza edilizia”, strumento gratuito introdotto con la L. 17 agosto 1942, n. 1150 (c.d. Legge Urbanistica) per tutte le costruzioni da erigere nell’ambito dell’aggregato urbano, ovvero per l’ampliamento di quelle esistenti o la modificazione della struttura o dell’aspetto.

La concessione edilizia

Successivamente, la L. 6 agosto 1967, n. 765 (c.d. Legge Ponte) diede ingresso all’obbligo della pianificazione urbanistica per l’intero territorio nazionale ed estese al tempo stesso l’obbligo autorizzatorio a tutto il territorio comunale, comprese le zone agricole. L’istituto della licenza edilizia venne sostituito, inoltre, con la concessione edilizia, quale strumento applicabile anche agli interventi lato sensu modificativi dei manufatti esistenti e che per la prima volta instaurava in capo ai privati un obbligo di partecipazione agli oneri connessi alle trasformazioni del paesaggio, nella forma di un contributo parametrato all’indice delle spese di urbanizzazione ed al costo di costruzione dell’opera.

Nell’attuale regime di disciplina dell’attività edilizia privata – che risulta da una progressiva semplificazione procedimentale e sostanziale – il permesso di costruire rappresenta l’unico titolo autenticamente autorizzatorio, concepito per abilitare l’esecuzione di interventi di più intensa trasformazione edilizia e urbanistica del territorio, e per tale ragione richiedenti un controllo puntuale di regolarità da parte dell’amministrazione comunale.

Regime abilitativo

Dall’altro lato, gli interventi edilizi di minore impatto innovativo sono, invece, assoggettati ad un regime abilitativo che prescinde dall’intermediazione di un provvedimento amministrativo, essendo sufficiente – a seconda della tipologia dell’intervento – una comunicazione di inizio degli interventi, una segnalazione certificata di inizio attività, che asseveri la conformità dell’intervento alla disciplina urbanistico edilizia di dettaglio.

Il permesso di costruire, poi, al pari degli altri istituti abilitativi all’esercizio dell’attività edilizia, è espressione di un’attività non costitutiva di nuove utilità per il privato interessato, bensì di mero controllo di conformità dell’intervento edilizio prospettato rispetto alle prescrizioni urbanistico edilizie.

In tal senso, il permesso di costruire si configura, diversamente da quanto si riteneva sino alla metà degli anni Sessanta nella vigenza dello strumento della licenza edilizia e sulla scorta dell’ampio potere di valutazione del Sindaco in assenza di una effettiva attività di regolamentazione urbanistica, come provvedimento amministrativo non discrezionale, bensì a carattere vincolato, di natura esclusivamente accertativa della oggettiva conformità del progetto alla disciplina urbanistica ed edilizia della zona[2].

Ebbene, il rilascio del permesso di costruire diventa un atto dovuto, al solo riscontro dell’insussistenza delle prescrizioni che lo impediscono.

La conclusione risulta essere in linea con le innovazioni che hanno riguardato il procedimento per il rilascio del permesso di costruire, oggi perfezionabile per silenzio assenso, con una vera e propria surroga di detta verifica di conformità nella asseverazione anticipata del progettista dell’intervento edilizio da autorizzare.

Riguardo al formarsi del silenzio assenso, va evidenziato che l’eventuale inerzia dell’Amministrazione non può far guadagnare agli interessati un risultato che gli stessi non potrebbero mai conseguire in virtù di un provvedimento espresso, trattandosi non di una deroga al regime autorizzatorio, ma di modalità semplificata di conseguimento dell’autorizzazione[3].

Ed ancora, «il dispositivo tecnico denominato “silenzio assenso” risponde ad una valutazione legale tipica in forza della quale l’inerzia “equivale” a provvedimento di accoglimento. Tale equivalenza non significa altro che gli effetti promananti dalla fattispecie sono sottoposti al medesimo regime dell’atto amministrativo; con il corollario che, ove sussistono i requisiti di formazione del silenzio assenso, il titolo abilitativo può perfezionarsi anche con riguardo ad una domanda non conforme a legge; fermo restando, come si specificherà a breve, l’autotutela per l’amministrazione e l’impugnativa giudiziale per il controinteressato»[4].

Ai sensi dell’art. 20, comma 8, D.P.R. 380/2001, il silenzio assenso previsto in tema di permesso di costruire non si forma per il solo fatto dell’inutile decorso del termine prefissato per la pronuncia espressa dell’Amministrazione e dell’adempimento degli oneri documentali necessari per l’accoglimento della domanda, ma occorre altresì la prova della sussistenza di tutti i requisiti soggettivi e oggettivi a cui è subordinato il rilascio del titolo edilizio, tra i quali rientra la conformità dell’intervento progettato alla normativa urbanistico-edilizia[5].

In merito alla procedura per il rilascio del titolo, nell’ottica di un sostanziale snellimento della stessa, il citato Decreto Semplificazioni del 2020 ha aggiunto una precisazione all’art. 20, comma 8, all’uopo disponendo che: «Fermi restando gli effetti comunque prodotti dal silenzio, lo sportello unico per l’edilizia rilascia anche in via telematica, entro quindici giorni dalla richiesta dell’interessato, un’attestazione circa il decorso dei termini del procedimento, in assenza di richieste di integrazione documentale o istruttorie inevase e di provvedimenti di diniego; altrimenti, nello stesso termine, comunica all’interessato che tali atti sono intervenuti».

Il permesso di costruire condizionato

La giurisprudenza ha dibattuto, peraltro, circa la possibilità di sottoporre a condizione il permesso di costruire, in relazione alla natura vincolata del medesimo[6]. Da ultimo, il Consiglio di Stato ha chiarito, comunque, che soltanto la necessità di acquisire l’atto di un’altra p.a. legittima l’apposizione di una condizione al permesso di costruire, in omaggio alla sua natura di atto di accertamento costitutivo a carattere negoziale, nonché in virtù dei princìpi di non aggravamento del procedimento amministrativo e di proporzionalità dell’azione amministrativa ed al fine di non coinvolgere la posizione del privato[7].

Al di fuori di tale ipotesi, “la concessione edilizia, una volta riscontratane la conformità alla vigente disciplina urbanistica, deve essere rilasciata dal comune senza condizioni che non siano espressamente previste da una norma di legge[8].

Trasferibilità e irrevocabilità

Il permesso di costruire è suscettibile di trasferimento ai successori o aventi causa unitamente all’immobile, senza che ciò incida sulla proprietà o su altri diritti reali relativi agli immobili realizzati per effetto del suo rilascio ed è, inoltre, irrevocabile anche dalla legislazione regionale[9].

Connessa al tema del rilascio del permesso di costruire è senza ombra di dubbio la questione relativa ad un eventuale provvedimento di annullamento in autotutela del titolo edilizio, che può provenire anche dalla Regione ai sensi dell’art. 39 T.U.Ed.

In proposito, si osserva che anche i provvedimenti di annullamento in autotutela sono attratti all’alveo normativo dell’art. 21nonies della legge sul procedimento amministrativo che, a seguito delle riforme introdotte dal legislatore – non ultima quella introdotta con la L. 124/2015 – ha configurato il relativo potere, attribuendone alla P.A. uno discrezionale, che si esprime mediante la valutazione dell’interesse pubblico in comparazione con l’affidamento del destinatario dell’atto.

Quindi, anche in relazione a quanto sostenuto dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato 8/2017, si osserva che i presupposti dell’esercizio del potere di annullamento d’ufficio dei titoli edilizi sono costituiti dall’originaria illegittimità del provvedimento, dall’interesse pubblico concreto ed attuale alla sua rimozione, tenuto conto anche delle posizioni giuridiche soggettive consolidate in capo ai destinatari.

L’esercizio del potere di autotutela è in definitiva espressione di una rilevante discrezionalità che non esime l’amministrazione dal dare conto – seppur sinteticamente – della sussistenza dei presupposti sopra ricordati e il provvedimento di annullamento è adeguatamente motivato con il solo dichiarato espresso interesse pubblico alla osservanza delle disposizioni del Piano Regolatore e alla realizzazione dello standard urbanistico[10].

La giurisprudenza ha precisato che non può disconoscersi in capo al ricorrente, proprietario del bene al momento dell’emissione del provvedimento di secondo grado, un interesse qualificato a partecipare al relativo procedimento sia nella fase iniziale (previo avviso di avvio del procedimento ai sensi dell’art. 7 della L. 241/1990) sia in fase istruttoria e decisionale (ai sensi dell’art. 10 della medesima legge).

Impugnazione del permesso di costruire

Ne consegue l’illegittimità del provvedimento di ritiro in autotutela di un permesso di costruire in sanatoria che non sia stato preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento[11].

Il potere di annullamento in autotutela, però, deve «essere esercitato nel rispetto dei presupposti e dei requisiti stabiliti dall’art. 21nonies, L. 241/1990 nella versione applicabile ratione temporis, ossia entro un termine ragionevole ed esplicitando le prevalenti ragioni di interesse pubblico, concrete ed attuali, da bilanciare con gli interessi dei privati destinatari del provvedimento sfavorevole»[12]. Analogo obbligo di motivazione non sussiste, invece, per un’ordinanza di demolizione adottata a distanza di anni dall’abuso, anche se svolta nei confronti dell’attuale proprietario che non lo ha perpetrato[13].

Ed ancora, l’annullamento o la revoca del permesso di costruire determina la perdita di una posizione di vantaggio acquisita e reca un indiscutibile pregiudizio al proprietario dell’immobile, ciò in disparte dall’omessa valutazione comparativa degli interessi in rilievo e dalla circostanza che il decorso del tempo può consolidare situazioni di fatto sorrette dall’apparenza di uno stato di diritto basato sull’atto da ritirare, rilevando l’affidamento ingenerato dall’atto nell’interessato in merito alla legittimità del provvedimento[14].

L’esercizio del potere di annullamento in autotutela, infine, richiede il rispetto dell’onere motivazionale in ordine all’interesse pubblico perseguito e alla sua comparazione con l’interesse del privato, qualora questi versi in buona fede[15].

Di contro, qualora l’annullamento d’ufficio del titolo abilitativo edilizio sia dovuto a fatto dell’interessato, «non necessita di un’espressa e specifica motivazione sul pubblico interesse, consistendo questo nell’interesse della collettività al rispetto della disciplina urbanistica e in considerazione della circostanza che le affermazioni miranti a considerare il rilievo del decorso del tempo sono tutte imperniate sulla tutela dell’affidamento del privato […], ossia su una situazione qui non sussistente, stante l’erronea rappresentazione dei fatti proposta al Comune, dovuta proprio a fatto del privato»[16].

In tema di permesso di costruire, centrale è anche la questione relativa alla decorrenza dei termini per impugnare il permesso di costruire.

Sul punto, si è espresso il Giudice amministrativo: la piena conoscenza non deve essere intesa quale conoscenza piena ed integrale del provvedimento stesso[17].

Connesso a quanto appena illustrato risulta essere il tema relativo alla legittimazione a ricorrere ai fini dell’impugnazione di un titolo edilizio.

In proposito, il G.A. è incline a ritenere che nel caso di impugnativa di titoli edilizi la “vicinitas” sia elemento necessario e sufficiente per radicare la legittimazione e l’interesse del proprietario confinante, mentre solo in rapporto alle scelte di pianificazione urbanistica richiede che i titolari di aree limitrofe, non direttamente incise dalla nuova disciplina, diano riscontri probatori del danno riconducibile al godimento, o al valore di mercato, dell’area su cui insistano gli immobili dai medesimi posseduti, per effetto della nuova normativa (sul tema v., infra, il par. successivo).

Sul punto è tuttavia intervenuta da ultimo l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato[18], la quale, chiamata a pronunciarsi sulla sufficienza del criterio della vicinitas per l’impugnazione dei titoli edilizi, ha formulato i seguenti principi di diritto: “a) Nei casi di impugnazione di un titolo autorizzatorio edilizio, riaffermata la distinzione e l’autonomia tra la legittimazione e l’interesse al ricorso quali condizioni dell’azione, è necessario che il giudice accerti, anche d’ufficio, la sussistenza di entrambi e non può affermarsi che il criterio della vicinitas, quale elemento di individuazione della legittimazione, valga da solo ed in automatico a dimostrare la sussistenza dell’interesse al ricorso, che va inteso come specifico pregiudizio derivante dall’atto impugnato; b) L’interesse al ricorso correlato allo specifico pregiudizio derivante dall’intervento previsto dal titolo autorizzatorio edilizio che si assume illegittimo può comunque ricavarsi dall’insieme delle allegazioni racchiuse nel ricorso; c) L’interesse al ricorso è suscettibile di essere precisato e comprovato dal ricorrente nel corso del processo, laddove il pregiudizio fosse posto in dubbio dalle controparti o la questione rilevata d’ufficio dal giudicante, nel rispetto dell’art. 73, comma 3, c.p.a.; d) Nelle cause in cui si lamenti l’illegittimità del titolo autorizzatorio edilizio per contrasto con le norme sulle distanze tra le costruzioni imposte da leggi, regolamenti o strumenti urbanistici, non solo la violazione della distanza legale con l’immobile confinante con quello del ricorrente, ma anche quella tra detto immobile e una terza costruzione può essere rilevante ai fini dell’accertamento dell’interesse al ricorso, tutte le volte in cui da tale violazione possa discendere con l’annullamento del titolo edilizio un effetto di ripristino concretamente utile, per il ricorrente, e non meramente emulativo”.


[1] G. Pagliari, Corso di diritto urbanistico, V ed., Milano, 2015, p. 420; N. Assini-P.L. Mantini, Manuale di diritto urbanistico, III ed., Milano, 2007, p. 759.

[2] G.C. Mengoli, Manuale di diritto urbanistico, VII ed., Bologna, 2014; P. S. Richter, Profili funzionali dell’urbanistica, Milano, 1984. A tale proposito, il Giudice amministrativo ha chiarito che «in linea di principio, il rilascio del permesso di costruire consegue alla verifica di conformità urbanistico-edilizia del progetto presentato con la disciplina legislativa in materia e con gli atti di pianificazione ed è provvedimento tendenzialmente vincolato, purché subordinato alla mera verifica di congruenza del progetto rispetto alla pertinenza normativa locale» (Cons. Stato, sez. IV, 14 marzo 2022, n. 1759).

[3] Cons. Stato, sez. IV, 7 gennaio 2019, n. 113.

[4] T.A.R. Campania, Napoli, sez. VIII, 4 gennaio 2021, n. 32.

[5] T.A.R. Campania, Napoli, sez. II, 10 gennaio 2022, n. 171.

[6] In questa direzione, la sentenza del T.A.R. Lombardia, Brescia, Sez. I, 18 dicembre 2017, n. 1452, ha affermato che la natura vincolata del permesso di costruire non rappresenta un limite insuperabile ove occorra prevedere specifiche modalità esecutive, al fine di consentire l’adeguamento di un progetto, bilanciando l’interesse pubblico con quello privato.

[7] Cons. Stato, Sez. IV, 19 aprile 2018, n. 2366.

[8] Con. Stato, sez. IV, 29 aprile 2022, n. 3400.

[9] T.A.R. Campania, Napoli, sez. VII, 2 novembre 2021, n. 6838, secondo cui il titolo abilitativo edilizio non è perciò suscettibile di revoca per sopravvenienza o per una successiva valutazione di opportunità dell’Amministrazione, ma esclusivamente di annullamento per motivi di legittimità.

[10] Cons. Stato, sez. IV, 14 luglio 2021, n. 5327.

[11] Ex pluribus, Cons. Stato, sez. IV, 31 marzo 2022, n. 2376.

[12] Cons. Stato, Sez. VI, 4 giugno 2018, n. 3370.

[13] Cfr. Cons. Stato, sez. VI, 7 giugno 2021, n. 4319; Cons. Stato, Ad. Plen., 17 ottobre 2017, n. 9.

[14] T.A.R. Veneto, Venezia, sez. II, 8 aprile 2022, n. 544.

[15] T.A.R. Campania, Napoli, sez. VIII, 10 giugno 2021, n. 3924. In particolare, il Giudice amministrativo ha osservato che «in relazione alle vicende sorte nella vigenza della L. 15/2005, il decorso di un considerevole lasso di tempo dal rilascio del titolo edilizio non incide in radice sul potere di annullare in autotutela il titolo medesimo, ma onera l’amministrazione del compito di valutare motivatamente se l’annullamento risponda ancora a un effettivo e prevalente interesse pubblico di carattere concreto e attuale: l’annullamento d’ufficio della licenza edilizia, intervenuto ad una notevole distanza temporale dal provvedimento annullato, deve essere motivato in relazione alla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale all’adozione dell’atto di ritiro anche tenuto conto degli interessi dei privati destinatari del provvedimento sfavorevole. Nel caso di specie, non venendo in rilievo, con carattere di autoevidenza, la tutela di preminenti valori pubblici e tenuto conto sia del legittimo affidamento dei ricorrenti sia dell’errore di giudizio imputabile alla stessa amministrazione […], ai fini dell’assolvimento dell’onere motivazionale non può ritenersi sufficiente a fondare il legittimo esercizio dello ius poenitendi il mero richiamo alle circostanze in fatto e il rinvio alle disposizioni di tutela che risulterebbero asseritamente violate».

[16] T.A.R. Puglia, Lecce, sez. III, 4 maggio 2018, n. 748.

[17] Cons. Stato, sez. II, 2 febbraio 2022, n. 721.

[18] Cons. Stato, Ad. Plen., 9 dicembre 2021, n. 22.

*Contributo estratto dal Manuale Maior di Diritto Amministrativo – Parte Generale e Parte Speciale di Francesco Caringella- Dike Giuridica 2023