Con libertà di coscienza si intende la libertà spettante ad ogni persona presente sul territorio dello Stato di formare autonomamente le proprie convinzioni in merito a tutti gli aspetti della propria vita e della società e di vivere conformemente a tali convinzioni.
L’individuo può, infatti, trovarsi dinanzi ad un problema di scelta comportamentale: rispettare la legge dello stato oppure seguire i dettami della sua coscienza. Non si tratta di un problema moderno ma, bensì, nato con la prima norma statale.
Già nella Grecia antica la problematica della scelta su quale norma seguire era attuale. La tragedia di Sofocle “Antigone” ne è un esempio. La scelta di Antigone di seppellire il fratello Polinice “contro l’editto della città” emanato dal re Creonte, che vietava la sepoltura dei cadaveri dei traditori di Tebe, definisce, innegabilmente, una opposizione. Una opposizione usualmente letta come l’esito di un contrasto tra lex e ius, tra leggi positive vigenti e “leggi non scritte, immutabili”, attribuendo, difatti, al termine ius un contenuto vario, inclusivo di diverse regole di condotta: religiose, morali, naturali, consuetudinarie. Una opposizione, quella tra lex e ius, che sorge ogni qual volta il destinatario della lex avverte, in foro conscientiae, di dovere ubbidire – e, nei fatti, ubbidisce – ad altra norma prescrittiva, cogente e vigente in un ordine non coincidente con quello giuridico-positivo (Serra).
A livello internazionale sono numerose le fonti normative che tutelano tale libertà, definita come fondamentale.
L’art. 18 della Dichiarazione universale dei diritti umani prevede che “ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare religione o credo, e la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, e sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo nell’insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell’osservanza dei riti”. Tale principio è ribadito anche all’art. 10 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (c.d. Carta di Nizza), la quale prevede, al comma 1, che: “ogni persona ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione. Tale diritto include la libertà di cambiare religione o convinzione, così come la libertà di manifestare la propria religione o la propria convinzione individualmente o collettivamente, in pubblico o in privato, mediante il culto, l’insegnamento, le pratiche e l’osservanza dei riti” e, all’art. 9 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), la quale disciplina, al comma 1, che “ogni persona ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare religione o credo, così come la libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo individualmente o collettivamente, in pubblico o in privato, mediante il culto, l’insegnamento, le pratiche e l’osservanza dei riti”.
Per quanto attiene la normativa nazionale, pur non essendo esplicitato il diritto nella Carta costituzionale, alla base della sua tutela si trovano gli artt. 3, 19 e 21 Cost.
La Corte costituzionale, con la sent. 467/1991 ha previsto che “la protezione della coscienza individuale si ricava dalla tutela delle libertà fondamentali e dei diritti inviolabili riconosciuti e garantiti all’uomo come singolo, ai sensi dell’art. 2 della Costituzione, dal momento che non può darsi una piena ed effettiva garanzia di questi ultimi senza che sia stabilita una correlativa protezione costituzionale di quella relazione intima e privilegiata dell’uomo con se stesso che di quelli costituisce la base spirituale-culturale e il fondamento di valore etico-giuridico”, aggiungendo che “di qui deriva che – quando sia ragionevolmente necessaria rispetto al fine della garanzia del nucleo essenziale di uno o più diritti inviolabili dell’uomo, quale, ad esempio, la libertà di manifestazione dei propri convincimenti morali o filosofici (art. 21 della Costituzione) o della propria fede religiosa (art. 19 della Costituzione) – la sfera intima della coscienza individuale deve esser considerata come il riflesso giuridico più profondo dell’idea universale della dignità della persona umana che circonda quei diritti, riflesso giuridico che, nelle sue determinazioni conformi a quell’idea essenziale, esige una tutela equivalente a quella accordata ai menzionati diritti, vale a dire una tutela proporzionata alla priorità assoluta e al carattere fondante ad essi riconosciuti nella scala dei valori espressa dalla Costituzione italiana. Sotto tale profilo, se pure a seguito di una delicata opera del legislatore diretta a bilanciarla con contrastanti doveri o beni di rilievo costituzionale e a graduarne le possibilità di realizzazione in modo da non arrecar pregiudizio al buon funzionamento delle strutture organizzative e dei servizi d’interesse generale, la sfera di potenzialità giuridiche della coscienza individuale rappresenta, in relazione a precisi contenuti espressivi del suo nucleo essenziale, un valore costituzionale così elevato da giustificare la previsione di esenzioni privilegiate dall’assolvimento di doveri pubblici qualificati dalla Costituzione come inderogabili (c.d. obiezione di coscienza)”.
*Contributo estratto da “Compendio di diritto ecclesiastico” di Beatrice Serra, Stefano Manzo, Martina Del Priore – Dike giuridica editrice – Dicembre 2024