Dike giuridica, Istituti e sentenze commentate

Le misure di prevenzione patrimoniali*

Le misure di prevenzione patrimoniali. Dai cenni storici svolti nel par. 1 si è potuto evincere che inizialmente il legislatore ha inteso affidare la funzione di prevenzione unicamente a misure incidenti sulla libertà personale, che, peraltro, sollevano le maggiori perplessità di ordine costituzionale, incidendo su un valore tutelato al massimo grado dall’art. 13 Cost. Al contrario, sebbene l’art. 41, comma 2, Cost. preveda cospicui limiti alla libertà di iniziativa economica privata, subordinandone la tutela al rispetto dell’utilità sociale, della sicurezza, dignità e libertà umana, i beni di tipo patrimoniale sono sfuggiti per molto tempo alla mannaia delle misure di prevenzione.

Soltanto quando si è preso atto che le misure incidenti sul patrimonio sortiscono, in tema di criminalità organizzata, effetti deterrenti ben più marcati rispetto a quelle restrittive della libertà personale, si è iniziato ad allargare lo spettro applicativo delle misure in esame e si è iniziato a concepire le misure di prevenzione antimafia non più solo come strumenti di tutela dell’ordine pubblico in generale, bensì anche dell’ordine pubblico economico[1].

Le misure di prevenzione patrimoniali. La ratio delle misure patrimoniali risiede nella necessità di recidere il legame tra il soggetto e il suo patrimonio: l’accumulo di ricchezza viene infatti considerato dal legislatore da un lato come lo scopo avuto di mira dal reo nel porre in essere la sua attività illecita, dall’altro come lo strumento utile ad incrementare l’attività stessa e, dunque, a sollecitare ulteriori manifestazioni di pericolosità. L’obiettivo primario avuto di mira dalla legislazione antimafia è quello di evitare che l’ulteriore impiego di ricchezze illecite da parte di soggetti che gravitano nell’orbita delle organizzazioni di stampo mafioso possa accrescerne la capacità delinquenziale e, al contempo, determinare forme di inquinamento del sistema economico ispirato a principi concorrenziali.

 Come si è accennato in precedenza, una svolta epocale nel microsistema della prevenzione è rappresentata dalla L. 13 settembre 1982, n. 646 (c.d. legge Rognoni-La Torre), che, oltre ad aver introdotto nel codice penale il delitto di associazione di stampo mafioso, di cui all’art. 416bis, intervenendo sulla L. 31 maggio 1965, n. 575, ha introdotto le misure di prevenzione patrimoniale antimafia del sequestro e della confisca[2].

Attualmente tali misure sono disciplinate dal Titolo II del D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159.

Le misure di prevenzione patrimoniali. I soggetti destinatari di tali misure vengono individuati dall’art. 16, il quale opera un richiamo all’elenco di cui all’art. 4 – che individua i soggetti cui può essere applicata una misura di prevenzione personale dall’Autorità giudiziaria – cui aggiunge le persone fisiche e giuridiche segnalate dal Comitato per le sanzioni delle Nazioni Unite o ad altro organismo internazionale competente per disporre il congelamento dei fondi o di risorse economiche quando vi sono fondati elementi per ritenere che i fondi e le risorse possano esser dispersi, occultati o utilizzati per il finanziamento di organizzazioni o attività terroristiche anche internazionali.

Il predetto decreto legislativo prevede l’applicabilità, a seguito delle indagini patrimoniali previste dall’art. 19, del sequestro o della confisca, anche per equivalente, su proposta del procuratore della Repubblica, del questore o del direttore della D.I.A. competente per territorio.

L’art. 18, in particolare, precisa che tali misure possano essere applicate disgiuntamente dalle misure personali e indipendentemente dalla pericolosità sociale, anche in caso di morte o assenza del soggetto proposto per la sua applicazione, avendo ad oggetto beni che si ha motivo di ritenere siano frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego.

Infatti, nel tentativo di rafforzare la lotta contro l’illecito accumulo di ricchezze da parte dei sodalizi mafiosi, il legislatore, già attraverso il D.L. 23 maggio 2008, n. 92 (conv. in L. 24 luglio 2008, n. 125) e la L. 15 luglio 2009, n. 94, aveva introdotto la possibilità di disporre la misura di prevenzione patrimoniale disgiuntamente rispetto a quella personale, e di disporla anche nell’eventualità in cui il proposto muoia durante il procedimento oppure sia già deceduto prima dell’inizio dello stesso[3].

La ratio sottesa al principio, così introdotto, è quella di superare le difficoltà incontrate nella prassi giudiziaria allorché, pur emergendo elementi sintomatici dell’origine criminosa di determinati beni, l’assoggettamento alla misura veniva impedito dall’impossibilità di dimostrare l’attuale pericolosità del proposto o dalla morte intervenuta in corso di procedimento.

Le misure di prevenzione patrimoniali. Sancendo l’indipendenza della misura patrimoniale da quella personale, si è inteso altresì focalizzare l’attenzione su un profilo di pericolosità sociale differente rispetto a quello tenuto fondante il sistema delineato dalla legge Rognoni-La Torre: non si intende più semplicemente neutralizzare la pericolosità di un patrimonio in quanto si trovi nella disponibilità di un soggetto socialmente pericoloso, ma si mira piuttosto a colpire un patrimonio in quanto tale, per la sua pericolosità intrinseca, scaturente appunto dall’origine illecita dello stesso e dalla sua riconducibilità ad un soggetto che ha posto in essere talune delle condotte tipizzate dalla legge, ancorché non sintomatiche di una pericolosità attuale[4].

Le misure di prevenzione patrimoniali. Anche in seguito alla riforma del 2009, con il venir meno del carattere della attualità della pericolosità, si è comunque ribadita la necessità della correlazione temporale tra la pericolosità sociale e il momento dell’acquisto del bene. Occorre, cioè, l’accertamento della pericolosità sociale del prevenuto, anche se non più attuale (e quindi la sua inquadrabilità nelle categorie dei destinatari delle misure di prevenzione), con la precisazione che tale pericolosità doveva sussistere al momento dell’acquisto del bene.

Questo pertanto viene colpito non solo se ricorrono gli ordinari presupposti della sproporzione o dell’illecita provenienza (cfr. artt. 20 e 24), ma anche se è stato acquistato da persona che era, all’epoca, pericolosa. Il mero decorso del tempo, o comunque la cessazione della pericolosità del soggetto (ovvero, qualunque ragione che non consenta di applicare la misura di prevenzione), non possono avere l’effetto positivo di rendere lecito il possesso del bene da parte di colui che lo ha illecitamente acquisito quando era pericoloso[5].

Sulla questione sono di recente intervenute le Sezioni Unite[6], chiamate a pronunciarsi sulla equiparabilità alle misure di sicurezza, a seguito della riforma operata nel 2009, della confisca emessa nell’ambito del procedimento di prevenzione, e sulla conseguente applicabilità ad essa dell’art. 200 c.p. In tale sede viene colta l’occasione per fissare alcuni principi fondamentali in materia di confisca di prevenzione, nella consapevolezza dei numerosi profili problematici emersi con riferimento ad un istituto destinato a trovare sempre maggiore applicazione[7].

Le Sezioni Unite affermano la natura “preventiva” della confisca, in quanto diretta a sottrarre i patrimoni illecitamente accumulati da soggetti pericolosi, non in grado di giustificarne la legittima provenienza. Essa opera solo per i beni acquisiti dal momento in cui la persona è pericolosa: occorre, cioè, la cd. correlazione temporale tra epoca di acquisto dei beni ed epoca di manifestazione della pericolosità[8].


[1] Sul tema, v. in particolare Fiandaca, Misure di prevenzione profili sostanziali, in Digesto delle discipline penalistiche, VIII, Torino, 1994, 121.

[2] Si ribadisce che l’art. 14 della L. 19 marzo 1990, n. 55 ha poi esteso siffatte misure agli indiziati di appartenenza ad associazioni dedite al traffico di stupefacenti e a coloro che vivono abitualmente, anche solo in parte, dei proventi dei delitti di cui agli artt. 629, 630, 648bis, 648ter e del contrabbando; la L. 7 marzo 1996, n. 108, infine, modificando il predetto art. 14, ne ha disposto l’applicazione a carico di coloro che sono sospettati di vivere abitualmente, in tutto o in parte, dei proventi del delitto di usura o che allo stesso siano dediti abitualmente.

[3] Prima della riforma del 2008, invece, sequestro e confisca di prevenzione potevano essere applicati solo quando era in atto una misura di prevenzione personale, salvo le aperture giurisprudenziali ricordate nel paragrafo precedente in corso di trattazione della natura giuridica della confisca.

[4] Quanto detto parrebbe avallato dai lavori preparatori della novella, ove si manifesta la necessità di passare “da un approccio incentrato sulla pericolosità del soggetto a una visione imperniata sulla formazione illecita del bene che, una volta reimmesso nel circuito economico, è in grado di alterare il sistema legale di circolazione della ricchezza, minando così alla radice le fondamenta di una economia di mercato”.

[5] Cass., sez. VI, 18 ottobre 2012, n. 10153.

[6] Cass., Sez. Un., 2 febbraio 2015, n. 4880.

[7] Dai dati diffusi dal Ministero della Giustizia in un anno si è verificato un incremento di 20.000 beni – di diversa natura – sequestrati.

[8] La Corte costituzionale, nella sent. 33/2018 (ricordata nel capitolo precedente, nota (60), cui si rimanda) – affermando, in tema di confisca allargata, la necessità che la presunzione di illegittima acquisizione dei beni oggetto della misura resti circoscritta, comunque sia, in un ambito di cosiddetta “ragionevolezza temporale” – richiama, sul punto, la delimitazione temporale operante per la confisca di prevenzione: “si tratta di una delimitazione temporale corrispondente, mutatis mutandis, a quella che le stesse sezioni unite hanno ritenuto operante con riferimento alla misura affine della confisca di prevenzione antimafia, già prevista dall’art. 2ter della L. 31 maggio 1965, n. 575

(Disposizioni contro le organizzazioni criminali di tipo mafioso, anche straniere) e attualmente disciplinata dall’art. 24 del D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli artt. 1 e 2 della L. 13 agosto 2010, n. 136), anch’essa imperniata sull’elemento della sproporzione tra redditi e disponibilità del soggetto: misura che si è ritenuta trovare un limite temporale nella stessa pericolosità sociale del soggetto, presupposto indefettibile per la sua applicazione (Corte di Cassazione, Sez. Un., 26 giugno 2014-2 febbraio 2015, n. 4880)”.

Per la cd. pericolosità generica il principio è affermato con chiarezza; per la cd. pericolosità qualificata (relativo ai soggetti indiziati di partecipazione ad associazione mafiosa e di commissione di gravi delitti di mafia) viene tenuto fermo il principio di correlazione temporale, ma si rileva come sia fisiologicamente più arduo individuare il momento specifico in cui si manifesta la pericolosità, posto che la stessa, di norma, investe l’intera vita della persona.

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*Contributo estratto dal “Manuale di diritto penale” di Francesco Caringella, Francesca Della Valle, Alessandro Trinci – XIII edizione – Dike giuridica editrice – Marzo 2025