Al fine di rendere più efficace il contrasto delle attività criminali che destano maggiore allarme sociale, nell’ambito del procedimento di prevenzione il legislatore ha messo a disposizione dell’autorità di pubblica sicurezza lo strumento delle intercettazioni preventive.
Le intercettazioni preventive si differenziano da quelle ‘processuali’ in quanto non sono finalizzate all’accertamento di reati, ma bensì alla raccolta di informazioni utili a prevenirne la commissione. Tale attività – che si caratterizza per un “livello di garanzie complessivamente inferiore” (14) – viene realizzata con modalità invasive dell’altrui sfera di libertà, che subisce una compressione a fronte dell’esigenza di tutela della pubblica sicurezza.
Le intercettazioni preventive furono introdotte per la prima volta nell’ordinamento con il d.l. n. 21 marzo 1978, n. 59, mentre oggi sono disciplinate dall’art. 226 d.lgs. n. 28 luglio 1989, n. 271 (“norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale”).
Tenendo conto della funzione esclusivamente preventiva, lo strumento è posto nella disponibilità del Ministro dell’Interno, il quale può delegare i responsabili dei Servizi centrali di cui all’art. 12 d.l. 13 maggio 1991, n. 152, il Questore o i Comandanti provinciali dei Carabinieri e della Guardia di Finanza (15).
Le intercettazioni sono eseguite con impianti installati presso la Procura della Repubblica o presso altre strutture idonee (art. 5, comma 3 d.l. 18 ottobre 2001, n. 374), e possono riguardare esclusivamente l’acquisizione di notizie concernenti la prevenzione di reati particolarmente gravi, quali quelli di stampo mafioso, eversivo o terroristico (art. 407, comma 2, lett. a, n. 4 c.p.p.; art. 51, comma 3-bis c.p.p. (16); art. 51, comma 3-quater c.p.p. se commessi mediante l’impiego di tecnologie informatiche o telematiche).
In questi casi possono essere intercettate comunicazioni e conversazioni a distanza, nonché comunicazioni e conversazioni tra presenti anche se avvengono in luoghi di privata dimora (art. 226, comma 1 d.lgs. n. 271/1989). Si può inoltre procedere al tracciamento delle comunicazioni telefoniche e telematiche, nonché
all’acquisizione dei dati esterni relativi alle comunicazioni telefoniche e telematiche intercorse e di ogni altra informazione utile in possesso degli operatori di telecomunicazioni (art. 226, comma 4 d.lgs. n. 271/1989). In ogni caso l’utilizzo dello strumento da parte dell’autorità di pubblica sicurezza deve essere previamente autorizzato dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale del capoluogo del distretto in cui si trova il soggetto da sottoporre a controllo, ovvero, nel caso non sia determinabile, del distretto in cui sono emerse le esigenze di prevenzione. Il Procuratore è chiamato a valutare non solo la sussistenza di elementi investigativi in grado di giustificare l’attività di prevenzione, ma anche la stessa necessarietà dell’intercettazione (17).
L’autorizzazione non può avere una durata superiore a quaranta giorni, ma può essere prorogata per periodi successivi di venti giorni qualora si dimostri la permanenza dei presupposti di legge.
Per quanto attiene alle risultanze, il legislatore ha stabilito che le operazioni svolte ed i contenuti intercettati devono essere riportati in un verbale sintetico, che dovrà essere poi depositato presso la Procura della Repubblica insieme ai supporti utilizzati. Il Procuratore della Repubblica, dopo aver verificato la conformità all’autorizzazione delle attività svolte, e tenuto a disporre la distruzione immediata sia del verbale che dei supporti (art. 226, comma 3 d.lgs. n. 271/1989). Qualora però i dati acquisiti siano considerati indispensabili per la prosecuzione dell’attività di prevenzione, il Procuratore può disporre che gli stessi siano conservati per un periodo non superiore a ventiquattro mesi, esclusi comunque i contenuti delle comunicazioni (art. 226, comma 3-bis d.lgs. n. 271/1989) (18).
Per quanto attiene alla rilevanza nel procedimento penale, è stabilito che le informazioni acquisite attraverso intercettazioni preventive possono essere utilizzate esclusivamente a fini investigativi. Esse, dunque, non possono essere utilizzate
come notizie di reato; inoltre, unitamente all’attività di intercettazione preventiva, non possono essere menzionate in atti di indagine né costituire oggetto di deposizione, né essere altrimenti divulgate (art. 226, comma 5 d.lgs. n. 271/1989). La divulgazione a persone non autorizzate e la pubblicazione, anche solo parziale, del contenuto di un’intercettazione preventiva sono punite con la reclusione da sei mesi a tre anni (art. 5, comma 3-bis d.l. n. 374/2001).
Note
14 Cfr. Corte cost., ord. n. 443/2004.
15 A partire dal 2005, però, anche i Direttori dei servizi di informazione per la sicurezza hanno la possibilità – su delega del Presidente del Consiglio – di svolgere intercettazioni preventive, nei casi in cui sono ritenute indispensabili per l’espletamento delle attività loro demandate dagli arti[1]coli 6 e 7 della Legge 3 agosto 2007, n. 124 (art. 4, comma 1 d.l. 27 luglio 2005, n. 144).
16 Limitatamente a questo caso il Ministero dell’Interno può altresì delegare il Direttore della direzione investigativa antimafia.
17 Per quanto riguarda i Direttori dei servizi di informazione per la sicurezza, l’autorizzazione deve essere richiesta al Procuratore generale presso la Corte di appello di Roma (art. 4, comma 2 d.l. n. 144/2005).
18 Per quanto riguarda le attività dei Direttori dei servizi di informazione per la sicurezza di cui all’art. 4, comma 1 D.L. n. 144/2005, si veda l’art. 4-bis.
*Contributo estratto dal volume Ordinamento e attività istituzionali del Ministero dell’Interno, a cura di Maria Teresa Sempreviva– Dike Giuridica