La semplificazione amministrativa è una priorità nell’agenda del Governo del Paese e negli impegni con l’Unione Europea.
Le cronache segnalano quotidianamente casi di “malaburocrazia”. Secondo un recente dossier della Commissione Europea, la burocrazia costa alle imprese italiane oltre 30 miliardi l’anno, decisamente sopra la media europea.
La Corte dei Conti stima in sessanta miliardi l’anno i danni della corruzione, studi dell’Università Bocconi in circa duecento miliardi i costi del “non fare”.
Nella rank list della World Bank, l’Italia risultava al 153° posto, nel fanalino di coda, per il rilascio dei permessi. Negli ultimi anni è risalita di poche posizioni.
Per non dire delle complicazioni fiscali, e delle relative ingiustizie.
A ciò si aggiunge la confusione tra gestione amministrativa e funzione politica che genera “costi di transazione” non sempre leciti.
Naturalmente questi dati sono approssimativi e talvolta persino fuorvianti.
Le pubbliche amministrazioni in Italia sono assai spesso percepite come un fastidio, un peso, un onere burocratico che frena lo sviluppo delle imprese e una fonte di disparità e ingiustizie per i cittadini.
Ma le pubbliche amministrazioni restano, invece, un elemento centrale e decisivo nello Stato di diritto, ove il potere è diviso e non può essere concentrato nel dominio totalitario della legge, e la loro qualità ed efficienza costituiscono fattori essenziali della crescita economica e della coesione sociale, intesa come garanzia di diritti e di pari opportunità, ma anche di risultati concreti nell’interesse generale.
Per questo è necessaria una pubblica amministrazione più responsabile liberale, sussidiaria, partecipata, efficiente, informatizzata, meno costosa, con standard nazionali unitari, con meno enti e costi.
Si può appena osservare che l’Italia, di cui è storicamente nota la debole identità civica, esprime un modello di P.A. ibrido rispetto alla tradizione anglosassone (di common law) e a quella francese-continentale di diritto amministrativo, con elementi di entrambi i modelli.
Questa terza via, impegnativa, non è sbagliata, è anzi una sfida interessante, ma richiede molta cura.
È necessario fare un passo in avanti migliorando identità e performance.
Occorrono politiche ragionevoli di semplificazione in diverse direzioni.
Semplificazione degli uffici pubblici
Sono già state ridotte sedi giudiziarie periferiche, presidi sanitari, accorpate alcune amministrazioni periferiche dello Stato e le Camere di commercio.
La riforma Madia della pubblica amministrazione (L. 124/2015), che prevede numerosi decreti legislativi di attuazione, delinea un’ampia azione con riferimento all’amministrazione centrale e a quella periferica: riduzione degli uffici e del personale anche dirigenziale destinati ad attività strumentali; riordino, accorpamento o soppressione degli uffici e organismi al fine di eliminare duplicazioni o sovrapposizioni di strutture o funzioni, solo per citare un punto.
Semplificazione normativa
In Italia, il rapporto tra cittadini e amministrazioni è complicato da un panorama normativo ipertrofico, complesso e contraddittorio, caratterizzato dalla compresenza di fonti normative statali e regionali, dall’instabilità di apparati regolatori e dal numero elevato di leggi inattuabili per assenza dei necessari regolamenti e atti di esecuzione.
Troppe leggi, nessuna legge, ammoniva Tacito (plurimae leges, maxima corruptio). Le opportunità di corruzione germogliano con facilità da norme che non chiariscono funzioni, poteri e limiti, dilagano quando le leggi adoperano linguaggi complessi o ambigui, si ramificano in modo invisibile grazie a fonti normative molteplici e contraddittorie. Leggi oscure e nebulose significano possibilità, per il potere inefficiente e malato, di bloccare l’azione amministrativa con un’intollerabile inerzia o, peggio, di perseguire disegni illeciti e interessi personali.
Negli ultimi anni, alcuni passi avanti, ancora timidi e insufficienti, sono stati compiuti per debellare questa piaga e disboscare la selva di leggi e regolamenti.
La semplificazione normativa è, infatti, un obiettivo ancora lontano.
Essa significa innanzitutto certezza del diritto. I cittadini esigono regole chiare, capaci di garantire il funzionamento della società civile e la vita degli attori economici. Va curata la qualità della regolazione (la qualité de la loi), allo scopo di assicurare testi normativi chiari, intellegibili, accessibili, in numero ragionevole, coordinati tra loro, sincronizzati con la cangiante realtà economico sociale.
Un esempio interessante può essere quello americano dell’executive order del 15 settembre 2015, con cui il Presidente Obama ha prospettato un nuovo approccio alle politiche pubbliche e alle regolazioni. Si tratta di un metodo che intende testare le reazioni e le motivazioni degli individui “reali” (flesh and blood human being), prima di decidere, coinvolgendo scienziati cognitivi nel processo decisionale, rafforzando il legame con la comunità scientifica e prevedendo un organismo tecnico (il Social and beahavioral sciences team), chiamato a testare gli interventi prima della loro adozione.
Non va, naturalmente, dimenticato che la semplificazione è un mezzo e non un fine; e che, per dirla con A. Celotto e C. Meoli (voce “Semplificazione normativa” del “Digesto delle discipline pubblicistiche”), «metaforicamente un legislatore deve auspicare un ordinamento in cui non si parli più di semplificazione».
Semplificazione amministrativa
Si tratta della semplificazione che ci interessa in questa sede, oggetto di significativi interventi nel decreto legge “Semplificazioni” 16 luglio 2020, n. 76 e il decreto Semplificazioni Bis 77/2021, che vogliono snellire le procedure amministrative per evitare che il cittadino sia ostaggio del c.d. rischio-burocrazia.
Gli interventi in materia di limitazione dei termini per l’esercizio dell’autotutela, conferenza di servizi, silenzio-assenso vanno tutti nella direzione giusta. Di ciò diremo meglio in seguito, entrando nel cuore della presente trattazione.
Semplificazione informatica (e-government)
La direzione di marcia è ben tracciata (vedi anche il decreto “Semplificazioni” 76/2020 e il decreto Semplificazioni Bis 77/2021), molto si sta facendo anche nel campo della giustizia con il processo telematico, gli obiettivi del CAD, il codice dell’amministrazione digitale, e della carta informatica dei servizi per ciascun cittadino, sono giusti e vanno perseguiti con tenacia.
La carta d’identità elettronica e la carta nazionale dei servizi costituiscono strumenti per l’accesso ai servizi erogati in rete dalle pubbliche amministrazioni per i quali sia necessaria l’identificazione informatica.
Le pubbliche amministrazioni dovranno consentire l’accesso ai servizi in rete da esse erogati che richiedono l’identificazione informatica anche con strumenti diversi dalla carta d’identità elettronica e dalla carta nazionale dei servizi, purché tali strumenti consentano l’individuazione del soggetto che richiede il servizio. Con l’istituzione del sistema SPID, il PIN unico sarà l’identificativo con cui un cittadino si farà riconoscere dalla pubblica amministrazione, mentre il domicilio digitale sarà l’indirizzo on-line al quale potrà essere raggiunto dalle pubbliche amministrazioni.
Più in generale, l’esercizio dell’attività amministrativa con l’ausilio di tecnologie digitali – comunemente definito e-government – è oggetto di crescente attenzione da parte della giurisprudenza amministrativa. La progressiva “digitalizzazione” del procedimento amministrativo e l’utilizzo da parte delle pubbliche amministrazioni di strumenti digitali finalizzati a ridurre i tempi procedimentali, abbattere i costi di gestione degli apparati burocratici, nonché informare e comunicare con i cittadini, hanno posto nuovi problemi ai tribunali amministrativi regionali e al Consiglio di Stato. Tra questi, ad esempio, il tema dell’accesso da parte dei portatori di interessi alle informazioni contenute su supporto digitale (TAR Friuli, sez. I, 24 novembre 2015, n. 523), quello relativo alla tipicità dell’atto amministrativo in formato elettronico (TAR Puglia 26 ottobre 1989, n. 829), nonché i profili inerenti alla concorrenza (TAR Lazio, sez. I, 21 luglio 2015, n. 9951; TAR Puglia, 28 luglio 2015, n. 1094), alla tutela della riservatezza e (soprattutto in tema di appalti pubblici, ove la riservatezza va tutelata anche quando la procedura si svolga con piattaforma digitale: TAR Molise, sez. I, 12 giugno 2015, n. 240), alla validità della firma elettronica e alla trasmissione dei documenti con posta elettronica certificata (TAR Napoli, sez. II, 28 maggio 2015, n. 2945; sez. I, 4 aprile 2014, n. 673; TAR Basilicata, sez. I, 23 settembre 2011, n. 478), che, pronunciandosi sulla prima class action digitale, ha stabilito il principio per cui le amministrazioni pubbliche hanno l’obbligo di pubblicare un indirizzo ufficiale di posta elettronica certificata per consentire le comunicazioni con il cittadino-utente; Cons. Stato, sez. V, 22 ottobre 2015, n. 4863, che ha escluso la nullità della notifica a mezzo PEC effettuata senza autorizzazione presidenziale ex art. 52, comma 2, c.p.a.).L’art. 12 del D.L. Semplificazioni ha da ultimo previsto, con la modifica dell’art. 3bis della legge 24, che le Pubbliche Amministrazioni agiscono mediante strumenti informatici e telematici. Una notevole spinta all’informatizzazione è stata impresa, da ultimo, dal D.L. 77/2021.