[…] La facoltà di effettuare verifiche in corso d’opera, quindi, è finalizzata a garantire l’esatto adempimento dell’appalto, ma non a fungere da accettazione dell’opera, sicché non è esclusa la responsabilità dell’appaltatore per vizi o difformità dell’opera stessa (vedi Cass. 27 marzo 2003, n. 4544).
Espressione dell’autonomia dell’appaltatore è l’esecuzione di un’opera o di un servizio a proprio rischio.
Per rischio deve intendersi non quello tecnico- giuridico, cioè dovuto al caso fortuito, bensì quello economico, derivante dall’impossibilità di stabilire previamente ed esattamente i costi relativi.
La “gestione a proprio rischio” da parte dell’appaltatore comporta, quindi, la possibilità che eventi o fatti imprevisti rendano più onerosa la prestazione, la cui entità obiettiva è determinata o determinabile in base a criteri prestabiliti: si pensi al rischio dell’impossibilità sopravvenuta dell’opus (nei limiti dell’art. 1672 c.c.), al suo perimento o alla sua distruzione.
Peraltro, secondo la dottrina e la giurisprudenza pressoché unanimi, l’appalto ha comunque carattere commutativo e non aleatorio, nel senso che l’entità obiettiva delle prestazioni delle parti è sempre determinata o almeno determinabile in base a criteri prestabiliti e non in base a fatti futuri o incerti. In tale prospettiva, quindi, l’alea dell’appalto, non incidendo sulle prestazioni delle parti, ma solo sul costo dell’opera, è giuridicamente irrilevante.
Nel caso in cui le parti escludano pattiziamente, in deroga all’art. 1664 c.c., il diritto dell’appaltatore a un equo compenso per le difficoltà ulteriori nell’esecuzione dell’opera, il contratto di appalto non subisce alcuna alterazione, conservando il proprio carattere commutativo.
Un’ingerenza diretta del committente, con conseguente limitazione della sfera di autonomia dell’appaltatore, può realizzarsi attraverso la predisposizione del progetto da parte del committente ovvero attraverso la nomina di costui di un direttore dei lavori.
In particolare, l’obbligazione di redigere un progetto di ingegneria o di architettura, pur avendo per oggetto una prestazione d’opera intellettuale, costituisce un’obbligazione di risultato. La distinzione tra obbligazioni di mezzi e di risultato non ha però alcuna incidenza sul regime di responsabilità, ove è richiesto al professionista di attenersi a parametri molto rigidi di professionalità, in quanto lo standard di diligenza del professionista è cresciuto sensibilmente, comprimendo di conseguenza l’area della colpa grave nei confronti di problemi tecnici di speciale difficoltà di cui all’art. 2236 c.c. Le disposizioni di cui all’art. 2226 c.c. in tema di decadenza e prescrizione dell’azione di garanzia per vizi non sono applicabili alla prestazione d’opera intellettuale, in particolare alla prestazione del professionista che abbia assunto l’obbligazione della redazione di un progetto d’ingegneria o della direzione dei lavori ovvero dell’uno e dell’altro compito, cumulando nella propria persona i ruoli di progettista e di direttore dei lavori (Cass., Sez. Un., 28 luglio 2005, n. 15781).
L’appaltatore, anche quando realizzi un progetto altrui sotto il controllo e la vigilanza di un tecnico incaricato dal committente, ma conservando una propria autonomia, ha l’obbligo di controllare e correggere gli eventuali errori di progetto, in quanto è tenuto a eseguire l’opera secondo le regole dell’arte e ad assicurare un risultato tecnico conforme alle esigenze del committente; conseguentemente, egli è responsabile per i vizi derivanti dal progetto che avrebbe dovuto conoscere e prevedere in base all’ordinaria diligenza (Cass. 22 febbraio 2000, n. 1965).
La responsabilità dell’appaltatore è esclusa se il committente o il direttore dei lavori, avvertiti degli errori di progetto, insistano perché il progetto venga eseguito senza modifiche.
La responsabilità dell’appaltatore per carenze del progetto è esclusa se l’appaltatore, per espressa previsione contrattuale, debba agire come nudus minister del committente.
Secondo parte della giurisprudenza, quando progettista e appaltatore, con i rispettivi illeciti e violazioni di norme giuridiche, concorrano a produrre uno degli eventi dannosi tipici di cui all’art. 1669 c.c., sono solidalmente responsabili a titolo di responsabilità extracontrattuale.
Se su alcuni aspetti dell’opera il progetto tace – purché non si tratti di aspetti essenziali, pena la nullità del contratto per indeterminatezza dell’oggetto – l’appaltatore, se e fino a quando non vi provvede il committente, ha il diritto e il dovere di completarlo; laddove, però, queste integrazioni si rivelino errate, egli risponde come per l’esecuzione di un progetto da lui approntato.
Quanto alla figura del direttore dei lavori, trattasi di un rappresentante del committente con riferimento alle manifestazioni di volontà contenute in un ambito strettamente tecnico, con poteri di ingerenza, pari a quelli del committente, finalizzati alla buona realizzazione dell’opera.
Nel caso in cui il danno risentito dal committente di un contratto di appalto sia riconducibile alle condotte concorrenti dell’appaltatore e del direttore dei lavori, entrambi sono solidalmente responsabili del danno, nonostante la diversità di titolo su cui si basa la loro responsabilità (Cass. 28 gennaio 2000, n. 972).
Conseguenza dell’autonomia dell’appaltatore e del rischio assunto nell’esecuzione del contratto è la responsabilità dell’appaltatore per i danni provocati a terzi, eventualmente in concorso con il direttore dei lavori e/o il committente.
Per converso, in tutti i casi in cui manchi una specifica colpa del committente, ad esempio allorché il danno non sia riconducibile a istruzioni del committente medesimo e/o del direttore dei lavori, è da escludere – proprio per il carattere autonomo dell’appalto che impedisce di assimilare l’appaltatore al commesso – qualsiasi responsabilità del committente ex art. 2049 c.c. per violazione del dovere di vigilanza.
La responsabilità dell’appaltatore deve essere esclusa quando si dimostri che il fatto lesivo sia stato commesso dall’appaltatore medesimo in esecuzione di un ordine impartitogli dal direttore dei lavori o da altro rappresentante del committente – tanto che l’appaltatore finisca per agire quale nudus minister privo dell’autonomia che normalmente gli compete – o allorquando risultino presenti gli estremi della culpa in eligendo, il che si verifica se il compimento dell’opera o la prestazione del servizio sono stati affidati a un’impresa appaltatrice priva della capacità e dei mezzi tecnici indispensabili per eseguire la prestazione oggetto del contratto, senza che si determinino situazioni di pericolo per i terzi (Cass. 20 aprile 2004, n. 7499; Cass., sez. II, 19 febbraio 2007, n. 3752).
Infine, va precisato che l’appaltatore non è responsabile per i danni arrecati a terzi se ha denunciato al committente l’erroneità delle istruzioni ricevute e questi abbia insistito per l’esecuzione.
Con riferimento, invece, all’oggetto del contratto di appalto, esso si sostanzia nel risultato di un facere, che può consistere tanto nel compimento di un’opera quanto nella prestazione di un servizio. La suddetta prestazione, inoltre, deve essere possibile, lecita, determinata o determinabile a pena di nullità (artt. 1346 ss. c.c.).
La qualificazione di una fattispecie contrattuale come appalto di opere o di servizi è essenziale al fine di stabilire la disciplina applicabile: si ritengono, infatti, incompatibili con l’appalto di servizi l’art. 1658 c.c. in tema di fornitura della materia, l’art. 1663 c.c. sulla denuncia da parte dell’appaltatore dei difetti della stessa, l’art. 1669 c.c. in tema di rovina e difetti degli immobili, l’art. 1673 c.c. in tema di perimento o deterioramento dell’opera prima della consegna.
Per opera si intende qualsiasi modificazione dello stato materiale di cose preesistenti; nell’ambito degli appalti di opere si distinguono gli appalti: di costruzione, finalizzati alla realizzazione di una res nova con trasformazione di materie prime o materiali; di riparazione, finalizzati a rimediare a guasti o danneggiamenti o al semplice pericolo di essi; di modificazione, volti ad apportare semplici modifiche a una cosa per qualsiasi scopo; di demolizione, preordinati alla distruzione di una cosa preesistente; di manutenzione, diretti a mantenere stabilmente in piena efficienza una determinata cosa.
La giurisprudenza prevalente ritiene che il contratto di appalto diretto alla costruzione di un’opera edilizia senza la prescritta licenza sia nullo ab origine per illiceità dell’oggetto, derivante dal contrasto con norme imperative.
L’oggetto dell’appalto di servizi, quindi, è rappresentato da qualsiasi altra utilità che può essere creata da un soggetto, diversa dalle opere, con immediato contenuto economico o suscettibile di una valutazione economica (Cass. 17 aprile 2001, n. 5609).
L’opera o il servizio devono anche essere possibili materialmente e fisicamente, pena l’impossibilità originaria del contratto ex art. 1418, comma 2, c.c.
Per aversi impossibilità sopravvenuta non basta, invece, la sussistenza di una, anche grave, difficoltà nell’esecuzione.
Ai fini della determinatezza o determinabilità dell’opera, è sufficiente che nel contratto siano indicati gli elementi fondamentali, senza che l’opera sia descritta nei minimi particolari.
Come anticipato, per il contratto di appalto non è richiesta la forma scritta, né ad substantiam né ad probationem.
La forma scritta è, invece, necessaria nel caso di appalto pubblico e di appalto avente a oggetto la costruzione di un immobile, nonché nel caso di appalto per la costruzione di navi o aeromobili (cfr. artt. 237 e 852 cod. nav.). […]
*Contributo estratto da Manuae ragionato di diritto civile – parte speciale di F. Caringella, D. Dimatteo – Dike Giuridica – Maggio 2024