Concorso Magistratura, Dike giuridica

La competenza*

1.           Concetto di competenza

La competenza di un determinato organo indica il complesso di attribuzioni (poteri e funzioni) che esso può, per legge, esercitare.

I termini «competenza» e «attribuzioni» sono sinonimi: infatti, il termine «attribuzioni» sta ad indicare che i poteri e le funzioni degli organi della P.A. competono a questi non naturaliter, ma solo in virtù di disposizioni di legge. Secondo alcuni autori, al contrario, l’attribuzione di funzioni avrebbe portata generale, individuando l’ambito degli interessi pubblici affidati alla cura di una intera Amministrazione, mentre il riparto di competenza indicherebbe, con scopo delimitativo, il quantum di attribuzione spettante a ciascun organo della stessa.

La dottrina distingue la competenza esterna (competenza in senso tecnico), che indica i poteri e le funzioni che l’organo può esercitare con rilevanza esterna verso i terzi, da quella interna, che indica, impropriamente, l’insieme dei compiti svolti da ciascun ufficio od organo interno.

La competenza esterna di un organo amministrativo deve essere determinata dalla legge ordinaria, ai sensi dell’art. 97 Cost., che pone una riserva relativa di legge; per particolari organi, tuttavia, la Costituzione prevede delle riserve assolute di legge (art. 95 per i Ministeri; art. 99 per il C.N.E.L.; art. 100 per la Corte dei Conti).

Le attribuzioni degli organi interni, invece, possono essere determinate anche da fonti secondarie o da norme interne organizzative.

Vediamo ora i tipi di competenza.

1.1  Competenza per materia

Tale competenza comporta la ripartizione dei vari compiti con riferimento ai singoli oggetti: i vari settori della P.A., rappresentabili graficamente come una piramide, al cui vertice sono i Ministeri, da cui dipendono gerarchicamente gli organi periferici che stanno alla base, detengono proprie attribuzioni.

La competenza per materia può essere attribuita a un organo in via esclusiva (competenza esclusiva), oppure in concorrenza con altri (competenza concorrente o ripartita), nel quale ultimo caso, la legge può attribuire a più organi il potere di decidere su un dato argomento, ovvero attribuire a un organo il potere decisionale e ad altri organi un potere consultivo, oppure, infine, attribuire a un organo il potere decisionale e ad altri organi un potere di controllo sull’attività del primo.

1.2  Competenza per territorio

La ripartizione di competenza per territorio presuppone identità di competenza per materia tra gli organi dello stesso ramo: cosi, per esempio, la materia dell’ordine pubblico e della pubblica sicurezza risulta ripartita territorialmente tra i Commissariati, le Questure ecc.

1.3  Competenza per grado. In particolare: la gerarchia

La competenza per grado, contraddistinta dall’identità di competenza per materia e per territorio, comporta che, nello stesso ramo dell’Amministrazione, alcune funzioni siano riservate all’organo superiore ed altre all’organo inferiore.

L’attribuzione di competenza per gradi assume particolare rilievo ai fini della definitività o meno del provvedimento e, quindi, dell’ammissibilità o meno del ricorso gerarchico avverso lo stesso: allorché, infatti, l’atto venga posto in essere dall’organo inferiore, contro di esso potrà esperirsi il ricorso gerarchico all’autorità superiore.

1.4  Competenza per valore

La competenza per valore è prevista dalla legge in determinati casi e per particolari effetti: in realtà, essa è una particolare forma di competenza esclusiva per materia.

Le ipotesi più importanti di competenza per valore erano costituite dalle attribuzioni riconosciute dalla legge ai dirigenti statali e ad alcuni organi apicali di persone giuridiche o aziende autonome, al fine di stipulare contratti fino ad un determinato ammontare senza necessità della delibera dell’organo collegiale a ciò preposto (D.P.R. 748/1972). Il D.Lgs. 29/1993 e, poi, il D.Lgs. 165/2001 hanno potenziato l’autonomia dei dirigenti ed abolito i precedenti tetti rigidi di valore, vincolando i poteri dirigenziali di spesa ai soli limiti fissati dagli stanziamenti di bilancio.

2.   Il trasferimento dell’esercizio della competenza in generale

La competenza amministrativa è retta dal principio dell’inderogabilità, in quanto stabilita dal Legislatore, ma, nei casi previsti dalla legge e con provvedimento amministrativo, è possibile trasferire (non già la titolarità, bensì) l’esercizio della competenza, attraverso i seguenti meccanismi giuridici:

a)  la delega del potere dal titolare di esso ad altro organo amministrativo. Essa non comporta un trasferimento definitivo di competenza in ordine all’atto o affare, ma crea soltanto una competenza derivata, in capo all’organo inferiore, sempre revocabile dall’organo superiore;

b)  l’avocazione, da parte del superiore gerarchico, dell’affare o atto di competenza dell’organo inferiore (anche se, secondo alcuni autori, il rapporto di gerarchia tra avocante ed avocato non sarebbe essenziale). A seguito di avocazione, l’organo inferiore non può più esercitare la propria competenza in ordine all’affare avocato, a meno che l’avocante gli restituisca la relativa potestà. In ogni caso, l’avocazione è esclusa quando l’atto sia di competenza esclusiva dell’organo inferiore.

     Quanto alle vicende che hanno interessato il rapporto (non più) gerarchico tra Ministro e dirigenti, la conseguente impossibilità, per il primo, di avocare a sé atti di competenza dei secondi, ed i poteri oggi riconosciuti ai dirigenti generali si rinvia al Cap. 1, §5.1;

c)  la sostituzione di un organo nell’esercizio della competenza di un altro. Anch’essa, come l’avocazione, comporta l’esercizio di un potere altrui ma, a differenza di quella, la sostituzione presuppone sempre l’inerzia del sostituito.

     Affinché, dunque, possa farsi luogo a sostituzione occorre:

a)  una previsione di legge;

b)  un rapporto di gerarchia tra sostituto e sostituito;

c)  l’inerzia a provvedere del sostituto, anche dopo la formale diffida ad adempiere del superiore;

d)  il carattere vincolato dell’emanazione del provvedimento.

     Una specifica disciplina in tema di sostituzione intersoggettiva nei rapporti Stato-Regioni-enti locali è dettata dall’art. 5, D.Lgs. 112/1998; nonché, in caso di inattuazione dei progetti del PNRR, dall’art. 12 del D.L. 77/2021.

3.   Segue: La delega dei poteri. Nozione ed effetti

La delega di poteri (o delegazione) comporta il trasferimento dell’esercizio del potere da un organo a un altro della stessa struttura amministrativa (delega interorganica, ad es. dal Prefetto al Questore) o tra soggetti diversi (delega intersoggettiva, ad es. dalla Regione al Comune nella vigenza del vecchio art. 118 Cost.).

Essa è un atto amministrativo organizzatorio per effetto del quale, nei casi di legge, un organo o un ente, competente a provvedere in una determinata materia, conferisce a un altro organo o ente, autoritativamente e unilateralmente, una competenza di tipo derivato in quella stessa materia.

Da tale definizione si ricavano i principi generali che regolano la delega:

a)  in primis, essa è ammessa solo se espressamente prevista dalla legge, in quanto deroga al regime generale delle attribuzioni. La necessità di previsione legislativa sussiste anche in caso di relazione gerarchica, non ritenendosi incluso nel potere gerarchico quello di affidare al sottoposto l’esercizio della competenza.

     Secondo la Corte dei Conti, tuttavia, la delegazione sarebbe legittima anche quando prevista solo implicitamente dalla legge: del resto, le previsioni legislative di delegazione sono talmente numerose e generali da consentire la delega di qualsivoglia competenza;

b)  in secondo luogo, la delega deve essere sempre conferita per iscritto: si vedano gli artt. 9 e 10, L. 400/1988, rispettivamente sulla delega di funzioni dal Presidente del Consiglio al Ministro senza portafogli e dai Ministri ai Sottosegretari di Stato.

     La delega trasferisce non la titolarità, ma solo l’esercizio del potere al delegato, il quale, esercitando il potere in nome proprio, ne è direttamente responsabile.

3.1  Segue: Natura, tipi e differenza da altre figure

La delega è atto amministrativo:

a)  organizzatorio, perché attinente all’organizzazione della P.A.;

b)  discrezionale, in quanto rimesso alla libera scelta del delegante;

c)  temporaneo, essendo impossibile una delega definitiva del potere;

d)  ampliativo della sfera giuridica del destinatario, tanto che alcuni autori la riconducono alla categoria delle concessioni.

La delega va tenuta distinta:

a)  dalla concessione di funzioni o servizi pubblici, che configura un munus, ossia un esercizio di funzioni o servizi da parte di soggetti privati, e non un rapporto fra soggetti pubblici;

b)  dal pluralismo autonomistico, che comporta il passaggio della titolarità della funzione;

c)  dall’avvalimento, cui fa riferimento l’art. 118, comma 3, Cost., ossia la mera utilizzazione di uffici di altro ente, ferma restando l’imputazione degli atti all’ente utilizzatore, visto che gli uffici operano alle dipendenze funzionali dell’organizzazione che di essi si avvale;

d)  dalla delega di firma, che comporta semplicemente l’autorizzazione, concessa da un soggetto ad un altro, di apporre la firma in calce a un provvedimento. Questo, tuttavia, seguirà il regime giuridico degli atti del delegante: è a lui, infatti, che l’atto viene imputato ed è lui l’unico responsabile, così che non sarà possibile esperire il ricorso gerarchico innanzi al delegante in relazione agli atti emanati dal delegato alla firma.

A metà tra delegazione e delega di firma si pone la delega del Ministro al Sottosegretario: essa, infatti, comporta non solo il potere di firmare l’atto, ma anche quello di deliberazione del provvedimento stesso, per cui alcuni autori parlano di vera e propria delegazione interorganica. Il Ministro ha inoltre il potere di delegare la firma sia al direttore generale che ai dirigenti ma, dopo il D.Lgs. 80/1998, tale istituto non ha più portata generale, ma è limitato alle sole ipotesi in cui leggi speciali lo prevedano.

Non costituisce, invece, delega in senso tecnico la disposizione con cui il titolare di un ufficio ripartisce tra i propri dipendenti le rispettive mansioni.

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*Contributo estratto da “Manuale ragionato di diritto amministrativo – parte generale” di F. Caringella – Dike giuridica editrice – Ottobre 2024