Il principio del risultato. Negli scorsi anni, il diritto dei contratti pubblici è stato percepito, a tutti gli effetti, quale branca del diritto della concorrenza ispirata a principi unionali, che impongono un’interpretazione estensiva e un’applicazione analogica dell’obbligo di ricorrere a procedure pro-competitive e concorrenziali (c.d. “concorrenza imposta”).
Anche sotto tale profilo, la riforma mira ad attuare un importante cambio di rotta.
La centralità plastica del principio del risultato di cui all’art. 1 dimostra, infatti, come il diritto dei contratti pubblici sia un capitolo fondamentale del diritto amministrativo nazionale. La concorrenza non è, quindi, fine o bene, ma mezzo per perseguire lo scopo del soddisfacimento dell’interesse pubblico attraverso contratti utili e produttivi.
Nella nuova costruzione del codice, pertanto, l’obiettivo non è la gara, ma la stipulazione di un negozio che assicuri prestazioni utili con il miglior rapporto qualità-prezzo-tempo, in omaggio al teorema di Coase sull’efficiente allocazione delle risorse in base alla relazione prezzo/valore. Il cambio di paradigma dimostra come ci si stia allontanando dal modello di concorrenza per il mercato per prediligere quello di concorrenza nel mercato, funzionale cioè non alla creazione di un mercato, quanto piuttosto all’individuazione nello stesso dell’offerta migliore.
Ciò premesso, occorre rilevare, tuttavia, che il risultato non è tanto un principio, quanto la conseguenza del rispetto di altri principi, individuabili in quello del buon andamento e nei tre corollari dell’efficacia, dell’efficienza e dell’economicità. La portata innovativa del Codice, pertanto, risiede proprio nella volontà di elevare il risultato, coincidente con l’interesse pubblico primario, a principio giuridico, con conseguente superamento dell’equazione secondo cui dal rispetto della concorrenza discende sempre l’affidamento del contratto migliore in termini qualitativi e quantitativi.
Il principio di risultato, dunque, si configura quale nucleo fondamentale dell’azione amministrativa nel cui ambito si innestano i più generali principi di legalità, trasparenza e concorrenza. L’obiettivo del nuovo art. 1, quindi, è quello di porre il risultato in diretto rapporto con gli altri principi generali.
Emerge così un collegamento tra il risultato, inteso come fine, e la concorrenza, intesa come metodo. In tale prospettiva, il rispetto delle regole sulla concorrenza assurge a strumento per il perseguimento del miglior risultato possibile che sia in grado di accrescere la qualità, diminuire i costi, aumentare la produttività, etc.
In particolare, il risultato è legato da un nesso inscindibile con la concorrenza, nel senso che il confronto competitivo tra imprese è funzionale alla scelta del miglior contraente. In quest’ottica, quindi, «Il miglior risultato possibile, che sia anche il più “virtuoso”, viene raggiunto anche selezionando operatori che dimostrino, fin dalle prime fasi della gara, diligenza e professionalità, quali “sintomi” di una affidabilità che su di essi dovrà esser riposta al momento in cui, una volta aggiudicatari, eseguiranno il servizio oggetto di affidamento» (così TAR Catania, sez. III, 12 dicembre 2023, n. 3738).
Se la concorrenza è tutelata come mezzo in vista del raggiungimento del risultato da individuarsi nell’affidamento del contratto e nella sua esecuzione, la trasparenza assume una connotazione funzionale rispetto alla massima semplicità e celerità nella corretta applicazione delle regole del Codice assicurandone la piena verificabilità. Sotto tale profilo, quindi, è centrale il concetto di accountability, in un’ottica di crescente efficienza e responsabilizzazione delle amministrazioni pubbliche.
Quanto al rapporto tra i predetti principi, resta da chiedersi se, nella singola fattispecie, il risultato migliore possa essere conseguito anche a prescindere dall’osservanza dei canoni di concorrenza e di trasparenza. L’innovatività dell’art. 1 si rivelerebbe decisiva se, nella valutazione del caso concreto, il conseguimento del risultato fosse in grado di assumere un significato prevalente rispetto alla tutela della concorrenza e all’osservanza delle regole di trasparenza.
Si è osservato come tale valutazione implichi una distinzione tra le diverse fasi della procedura.
Nella fase di programmazione, ad esempio, il principio del risultato opera in strettissima connessione con i principi di concorrenza e di trasparenza. In alcuni casi, è il legislatore ad attribuire al risultato un ruolo prevalente rispetto alla concorrenza (affidamenti sotto-soglia, artt. 48 ss.) o, al contrario, a stabilire la prevalenza della seconda sul primo (obbligo di frazionamento in lotti, art. 58) o, ancora, a richiedere un contemperamento tra gli stessi (come nel caso della determinazione dei requisiti speciali di qualificazione secondo quanto previsto dall’art. 10, comma 3).
Nella fase di ammissione dei concorrenti e di valutazione delle offerte, il principio del risultato assume carattere preminente, con la conseguenza che il principio di concorrenza opera quale limite esterno rispetto alle scelte dell’amministrazione (v. art. 101 sul soccorso istruttorio).
Anche la fase relativa all’aggiudicazione e quella concernente l’esecuzione si caratterizzano per una chiara prevalenza del principio del risultato.
Infine, quanto all’incidenza del risultato sulla sindacabilità delle decisioni amministrative, si ritiene che i principi di concorrenza e di trasparenza svolgano un ruolo prevalente laddove la legge di gara sia immediatamente impugnata e il giudice sia chiamato a valutare ex ante se essa è idonea ad assicurare il risultato finale. Al contrario, nei casi in cui l’aggiudicazione sia già intervenuta, il risultato è stato conseguito, sicché il giudice dovrà valutare ex post il rispetto dei principi di concorrenza e di trasparenza. Al riguardo, è evidente come dal principio del risultato possano derivare importanti conseguenze sul piano dell’interesse ad agire, dal momento che l’impugnazione tesa a contestare soltanto la mancata osservanza dei canoni di concorrenza e di trasparenza non potrà prescindere dal risultato ormai conseguito.
Il risultato costituisce, inoltre, criterio prioritario per l’esercizio del potere discrezionale e per l’individuazione della regola del caso concreto (art. 1, comma 4). Trattasi, dunque, di un principio-guida nella ricerca della soluzione da applicarsi alla singola fattispecie. A ciò si aggiunga come la formula “criterio prioritario” sia indicativa dell’esistenza di una gerarchia degli interessi protetti, nel cui ambito il principio de quo assurge a obiettivo primario.
Anche sotto tale profilo, si registra un notevole cambiamento rispetto all’impostazione sottesa alla previgente disciplina.
Mentre in passato l’interesse prioritario era quello alla tutela della legalità e alla prevenzione della corruzione, con la conseguenza che le amministrazioni erano indotte a non discostarsi dalla stretta osservanza della procedura maggiormente formalizzata, oggi le stesse sono obbligate a individuare caso per caso il modus procedendi migliore ai fini del conseguimento del risultato finale. È evidente, quindi, come il riferimento alla discrezionalità diventi concreto, potendo l’amministrazione contraente scegliere la regola alla quale auto-vincolarsi, pur nei limiti di un esito non paradossale, irragionevole o abusivo.
Si è osservato, al riguardo, come dal principio del risultato possano discendere rilevanti implicazioni anche sul piano del sindacato giurisdizionale.
In particolare, l’art. 1 del Codice, avendo giuridicizzato il principio del risultato, determina l’attrazione nell’area della legittimità delle scelte pubbliche ascrivibili al merito. In tale prospettiva, quindi, il risultato amministrativo assurge a parametro di indirizzo del potere discrezionale, con conseguente erosione del nucleo delle scelte di valore riservate all’amministrazione. Ne deriverebbe, quale corollario, il più penetrante controllo giurisdizionale sulle decisioni amministrative attraverso il grimaldello dell’eccesso di potere, forgiato dalla qualificazione del principio di risultato come regola di legittimità.
A titolo esemplificativo, può farsi riferimento, in primo luogo, alla discrezionalità nel decidere se rivolgersi al mercato. In particolare, il principio di auto-organizzazione amministrativa di cui all’art. 7 (v. infra par. 7) consente al soggetto pubblico di affidare in house un appalto, anziché ricorrere al libero mercato. E tanto sulla base della sostanziale equiparazione tra il modello dell’autoproduzione e quello dell’esternalizzazione, ispirata alla logica del risultato. Di qui, la possibilità di un controllo giurisdizionale, quante volte il ricorso all’in house si riveli inidoneo a raggiungere il risultato amministrativo, in termini di massimizzazione dell’utilità e della produttività delle prestazioni.
Centrale è, inoltre, la discrezionalità nella scelta del contratto, riconosciuta dal successivo art. 8 (v. infra par. 8). Infatti, se è vero che l’attività in questione risulta nel complesso amministrativa e, come tale, sottoposta al limite teleologico del “vincolo di scopo”, è vero anche che l’amministrazione, nell’esercizio della propria autonomia contrattuale, è libera di stipulare qualsiasi contratto, anche liberale, gratuito, atipico o misto. La funzionalità dell’attività negoziale, quindi, non si traduce nella tipicità e nominatività dei modelli e dei contenuti del contratto, ma nel vincolo di coerenza della scelta del decisore pubblico con i fini istituzionalmente fissati.
Al riguardo, può osservarsi come, nell’impianto del nuovo Codice, i contratti gratuiti interessati, pur non costituendo dei veri e propri appalti (v. art. 13, comma 2), restano assoggettati ai principi generali di derivazione europea, dovendo l’amministrazione prediligere l’accesso al mercato, laddove venga in rilievo un bene produttivo di un vantaggio economico, ancorché mediato. In presenza di un contratto gratuito interessato, quindi, spettano alla discrezionalità del decisore pubblico la graduazione e il dosaggio della concorrenza, in modo da rendere la competizione funzionale e proporzionata alle esigenze da soddisfare.
Ulteriore tassello della valorizzazione della discrezionalità amministrativa è da rinvenirsi nella “decisione” (termine impiegato dall’art. 17, che sostituisce la vecchia “determinazione” a contrarre) in ordine al contenuto del contratto, al modello procedurale e al criterio di aggiudicazione.
Con particolare riguardo agli affidamenti diretti, dalla Circolare del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, del 20 novembre 2023, n. 298, si ricava che il principio del risultato, di cui l’art. 50 costituisce specifica applicazione, non esclude la possibilità di ricorrere alle procedure ordinarie. E tanto sul presupposto che l’art. 1 consente di graduare la concorrenza in funzione delle esigenze da soddisfare, con la conseguenza di poter ricorrere alle procedure ordinarie, le quante volte sia necessario assicurare l’accesso al mercato degli operatori economici, nel rispetto dei principi di imparzialità, di non discriminazione, di pubblicità e trasparenza, di proporzionalità e della fiducia.
La discrezionalità dell’amministrazione, infine, riguarda, oltre alla scelta della procedura, anche la scelta del criterio di aggiudicazione, nei limitati casi in cui sussista l’alternativa tra il criterio del prezzo più basso e quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa. Anche in tali ipotesi, quindi, la qualificazione del principio del risultato come regola di legittimità implicherebbe la possibilità di un sindacato giurisdizionale sulla decisione amministrativa.
In ultimo, il principio in parola funge da parametro di valutazione della responsabilità del dipendente pubblico e della sua operosità. Si valorizza così il raggiungimento del risultato come elemento da prendere in considerazione in favore del funzionario, ai fini della responsabilità amministrativa e disciplinare. Per altro verso, il risultato opera quale criterio per l’attribuzione e la ripartizione degli incentivi economici, secondo le modalità individuate dalla contrattazione collettiva.
*Contributo estratto dal Manuale dei contratti pubblici di L. Carbone, F. Caringella, G. Rovelli – Dike Giuridica – Febbraio 2024