Dike giuridica, Istituti e sentenze commentate

Il piano regolatore generale*

Il piano regolatore generale: funzione

Storicamente, la materia della pianificazione urbanistica era oggetto di interventi limitati.

Soltanto con la legge urbanistica nazionale del 1942 il legislatore ha disciplinato in maniera sistematica la materia urbanistica.

Il piano regolatore generale: le fonti

Nonostante l’entrata in vigore della legge urbanistica, però, non tutti i Comuni si dotavano dello strumento urbanistico comunale, il c.d. piano regolatore generale.

Le ragioni della mancata pianificazione da parte dei Comuni erano plurime[1], prima fra tutte l’emergenza della ricostruzione dopo la seconda guerra mondiale.

In proposito, autorevole dottrina ha osservato che “nella maggior parte delle altre nazioni il problema fu immediatamente affrontato mediante l’elaborazione di piani urbanistici di ampio respiro, in Italia fu invece seguita una direzione sbagliata: quella di abbandonare la via – razionale – della pianificazione[2].

Il nostro ordinamento, in altri termini, aveva preferito ricorrere ai piani di ricostruzione, disciplinati dal D.Lgs. 1 marzo 1945, n. 154, con una evidente mancata applicazione delle norme contenute nella L. 1150/1942.

Soltanto con la L. 6 agosto 1967, n. 765 (Legge Ponte), lo strumento di pianificazione comunale iniziava ad essere concretamente utilizzato.

Per quanto attiene allo strumento comunale di pianificazione in esame, ossia il piano regolatore generale, preme osservare che si tratta di uno strumento programmatico, di conformazione dei suoli riferito all’intero territorio comunale.

I piani urbanistici indicano quale debba essere l’assetto futuro di una o più zone d’insediamento. Tali piani impongono sui beni privati, con opportune modalità e cautele, limitazioni atte ad assicurare la tempestiva esecuzione delle opere di pubblica utilità, nonché un efficiente collegamento dell’attività edilizia dei privati con il governo del territorio.

I P.R.G. vengono fatti rientrare nelle iniziative pubbliche dirette a promuovere il miglioramento delle condizioni di vita del corpo sociale[3].

Prima dell’entrata a regime degli altri livelli di pianificazione, il P.R.G. rappresentava l’unico strumento di disciplina giuridica degli assetti territoriali.

Il piano regolatore è un atto complesso adottato dal Comune, con la partecipazione anche dei privati interessati, ed approvato dalla Regione.

Più precisamente, il Piano Regolatore deve esprimere i criteri da seguire nella sistemazione dell’esistente, nonché nella costruzione del nuovo, determinando l’indirizzo essenziale di trasformazione e sviluppo dell’insediamento edilizio. Nel complesso risulta necessaria, pertanto, un’indagine puntuale che attesti il reale stato dei luoghi volta alla corretta qualificazione di un’area. Si tratta di una valutazione caratterizzata da un grado di discrezionalità molto elevato, che non esclude, tuttavia, che le scelte pianificatorie debbano pur sempre garantire un’imparziale ponderazione degli interessi coinvolti[4].

Il P.R.G. è costituito da prescrizioni normative, regolamentari e provvedimentali, mediante le quali viene data al territorio una specifica qualificazione e una destinazione; vengono altresì individuate le modalità di utilizzo del territorio.

L’onere di motivazione gravante sull’amministrazione in sede di adozione di uno strumento urbanistico o di una sua variante è di carattere generale e risulta soddisfatto con l’indicazione dei profili generali e dei criteri che sorreggono le scelte effettuate, senza necessità di una motivazione puntuale e mirata; il principio, tuttavia, soffre delle attenuazioni quando si tratta di previsioni interessanti la pianificazione di un’area determinata o di aree specifiche e allorché si ledono legittime aspettative dei privati[5].

Le scelte di pianificazione urbanistica sono caratterizzate da ampia discrezionalità e costituiscono apprezzamento di merito sottratto al sindacato di legittimità, salvo che non siano inficiate da errori di fatto o da abnormi illogicità e, in occasione della formazione di uno strumento urbanistico generale, le decisioni dell’amministrazione riguardo alla destinazione di singole aree non necessitano di apposita motivazione, oltre quella che si può evincere dai criteri generali – di ordine tecnico discrezionale – seguiti nell’impostazione del piano stesso[6].

In particolare, il territorio comunale è suddiviso in zone territoriali omogenee[7], come previsto dall’art. 2 del D.M. 2 aprile 1968, n. 1444[8], all’interno delle quali vengono soddisfatti gli interessi della collettività.

Ed infine, il P.R.G. si caratterizza per la presenza di taluni elementi essenziali, ossia:

a)  l’obbligatorietà, nel senso che fino a quando non siano modificati hanno valore di legge;

b)  la pubblicità, nel senso che devono essere conosciuti dai cittadini in ogni particolare;

c)  la stabilità, nel senso che possono essere modificati solo in presenza di esigenze pubbliche superiori[9].

La natura giuridica del piano regolatore generale

Dottrina e giurisprudenza si sono dibattute a lungo sul tema della natura giuridica del piano regolatore generale.

In particolare, la discussione era incentrata sulla qualificazione del P.R.G. come atto normativo-regolamentare o atto amministrativo a carattere generale. Coloro che sostengono la tesi della natura normativo-regolamentare del P.R.G. concludono nel senso che il piano regolatore generale non possa essere impugnato immediatamente, ma soltanto congiuntamente all’atto applicativo, il solo in grado di incidere sulla sfera giuridica dell’interessato. Questo orientamento ammette inoltre, che la legittimità del piano possa essere verificata dal giudice ex officio attraverso la tecnica della disapplicazione normativa, anche in caso di mancata impugnazione nei termini del piano stesso.

L’indirizzo giurisprudenziale che, in ragione delle prescrizioni concrete e dei vincoli immediatamente efficaci contenuti nel P.R.G. e della determinabilità a posteriori dei destinatari, ne afferma la natura di atto amministrativo generale, ritiene che il P.R.G. debba essere impugnato immediatamente. La prescrizione urbanistica, infatti, pur senza imporre un vincolo, incide direttamente sull’interesse del proprietario a realizzare un utilizzo dell’area di sua pertinenza non consentito dalla disciplina del piano, ovvero involge l’opposto interesse dei proprietari vicini a che non sia consentito un utilizzo dell’area invece ammesso dal P.R.G.[10].

Natura mista

La tesi oggi prevalente è quella secondo cui lo strumento pianificatorio comunale ha una natura mista.

In proposito, la dottrina ha osservato che talune previsioni dei P.R.G. hanno natura normativa – quali, la disciplina relativa alle distanze prevista nelle N.T.A. – altre previsioni, invece, possono essere ricondotte all’atto amministrativo (quali quelle relative alla destinazione di una zona alla realizzazione di opere pubbliche).

Il Giudice amministrativo, a tale riguardo, ha osservato che “in tema di disposizioni dirette a regolamentare l’uso del territorio negli aspetti urbanistici ed edilizi, contenute nel piano regolatore, nei piani attuativi o in altro strumento generale individuato dalla normativa regionale, vanno distinte le prescrizioni che, in via immediata, stabiliscono le potenzialità edificatorie della porzione di territorio interessata […] e le altre regole che, più in dettaglio, disciplinano l’esercizio dell’attività edificatoria, generalmente contenute nelle norme tecniche di attuazione del piano o nel regolamento edilizio […] mentre per le disposizioni appartenenti alla prima categoria s’impone, in relazione all’immediato effetto conformativo dello ius aedificandi dei proprietari dei suoli interessati che ne deriva, ove se ne intenda contestare il contenuto, un onere di immediata impugnativa in osservanza del termine decadenziale a partire dalla pubblicazione dello strumento pianificatorio, a diversa conclusione deve pervenirsi, invece, con riguardo alle prescrizioni di dettaglio contenute nelle norme di natura regolamentare destinate a regolare la futura attività edilizia, che sono suscettibili di ripetuta applicazione ed esplicano effetto lesivo nel momento in cui è adottato l’atto applicativo e, dunque, possono essere oggetto di censura in occasione della sua impugnazione[11].

Parte della dottrina, poi, ha osservato che è la legge urbanistica – e più precisamente gli artt. 7 e 13 della L. n. 1150 del 1942 – a prevedere che nel P.R.G. vi siano sia previsioni a carattere generale che previsioni a carattere puntuale.

In tal senso, invero, è stato sostenuto che “le prescrizioni dell’uno e dell’altro tipo trovano nel piano una loro coordinazione, agli effetti del raggiungimento delle finalità assegnate al piano stesso nel suo complesso[12].

Regime di impugnazione del P.R.G.

Il discrimen rileva anche ai fini dell’individuazione dell’interesse ad impugnare, in quanto le prescrizioni normative non immediatamente lesive dovranno essere impugnate unitamente all’atto applicativo; diversamente, le clausole dotate di contenuto immediatamente precettivo andranno impugnate immediatamente entro il termine decadenziale.

Discrezionalità dell’Amministrazione

Il carattere ampiamente discrezionale delle scelte a cui è chiamato il pianificatore limita, tuttavia, fortemente i margini entro cui il cittadino può contestare l’operato dell’amministrazione. In linea di massima, il P.R.G. può costituire oggetto di sindacato giurisdizionale unicamente per motivi di ordine formale o procedurale, oltre che nel caso in cui non sia rispettato il contenuto eteronomo del piano.

Nel compiere le diverse scelte tese a garantire uno sviluppo ordinato e sostenibile del territorio, l’amministrazione comunale gode, infatti, di un’ampia discrezionalità, che non ammette alcun sindacato giurisdizionale sui profili di opportunità del contenuto del piano, eccetto che in caso di arbitrio. L’amministrazione comunale è chiamata, volta per volta, a ponderare tra le diverse soluzioni possibili, attraverso la comparazione di tutti gli interessi coinvolti, sia pubblici che privati, al fine di perseguire al meglio i primi, con la conseguente sindacabilità delle scelte di piano inficiate da errori di fatto, abnormi o manifestamente irrazionali rispetto alle esigenze che si intendono concretamente soddisfare.

Le c.d. clausole di salvaguardia

La natura di atto complesso del piano regolatore non esclude, poi, che, nelle more dell’approvazione regionale in sede di controllo del piano adottato dal Comune, si producano effetti esterni incidenti sulle proprietà interessate, rendendolo suscettivo di autonoma impugnazione. È il caso delle c.d. misure di salvaguardia[13], che ostano al rilascio di permessi edilizi che contrastino con il piano regolatore in corso di approvazione, anche qualora l’intervento edificatorio che si intende realizzare risulti conforme al piano vigente. L’effetto di sospensione dei provvedimenti concessori non può eccedere, peraltro, l’arco temporale di cinque anni, o tre anni nell’ipotesi che il piano adottato venga trasmesso dopo un anno dalla sua adozione, entro i quali il piano viene meno qualora non venga approvato dalla Regione. Il privato sarà legittimato, pertanto, ad impugnare il piano regolatore soltanto adottato, nella parte in cui questo, innovando il piano vigente, precluda il rilascio del titolo abilitativo[14].


[1] P.L. Portaluri, Il principio di pianificazione, in www.giustizia-amministrativa.it.

[2] P.L. Portaluri, Il principio di pianificazione, cit., 4.

[3] G. Vignocchi-G. Berti, Piano regolatore, ad vocem, in App. Noviss. Dig. It., Torino, 1968.

[4] T.A.R. Lombardia, Milano, sez. II, 11 agosto 2021, n. 1918, ha precisato, infatti, che gli strumenti urbanistici sono essenzialmente rivolti a disciplinare la futura attività di trasformazione e di sviluppo del territorio sicchè, salvo che non sia diversamente disposto, i limiti e le condizioni cui subordinano l’attività edilizia non incidono sulle opere già eseguite in conformità alla disciplina previgente, le quali conservano la loro precedente e legittima destinazione pur se difformi dalle nuove prescrizioni, mentre al contempo deve restare ferma anche la possibilità di effettuare gli interventi necessari per integrarne o mantenerne la funzionalità. La programmazione urbanistica non può, in definitiva, introdurre misure espulsive degli insediamenti produttivi esistenti, neanche in via indiretta, in ossequio ai princìpi di corretta pianificazione che traspaiono dalla normativa di settore e che sono stati più volte evidenziati dalla giurisprudenza amministrativa.

[5] Cons. Stato, sez. II, 26 agosto 2019, n. 5870.

[6] Sulla discrezionalità alla base del piano regolatore generale cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. II, 24 giugno 2020, n. 4040; Cons. Stato, sez. I, 30 marzo 2020, n. 676; Cons. Stato, sez. IV, 24 settembre 2020, n. 5567; Cons. Stato, sez. IV, 5 giugno 2020, n. 3551; Cons. Stato, sez. IV, 20 febbraio 2020, n. 1272; Cons. Stato, sez. II, 8 gennaio 2020, n. 153.

[7] In proposito, Corte cost., con le sentenze 38/1966, 122/1957 e 48/1961.

[8] Decreto interministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra gli spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi, da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell’art. 17 della L. 765/1967.

[9] Sulla perdita di efficacia del piano di zona, si è espresso il Cons. Stato, Ad. Plen. 20 luglio 2012, n. 28: “qualora un soggetto privato non abbia adempiuto l’obbligo (da esso accettato e derivante dalla assegnazione di un’area compresa in un piano di zona) di realizzare alcune opere di urbanizzazione e di cedere poi gratuitamente al Comune le aree stradali con i relativi servizi, l’ente locale può ricorrere al giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva, chiedendo l’accoglimento della domanda prevista dall’art. 2932 del codice civile. Quando perde efficacia per decorso del tempo il piano di zona per l’edilizia economica e popolare, decadono i vincoli preordinati all’esproprio, ma – per la sua natura di piano attuativo – restano fermi tutti gli effetti urbanistici aventi durata a tempo indeterminato, nonché gli obblighi assunti da coloro che abbiano concluso convenzioni urbanistiche, ai sensi dell’art. 11 della L. 167/1962, ovvero abbiano sottoscritto un atto d’obbligo per ottenere l’assegnazione di un’area inserita nel piano”.

[10] Cfr. sul punto T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 18 aprile 2019, n. 5004 “la natura di atto amministrativo generale della variante al Piano Regolatore Generale esclude la possibilità di configurare posizioni di controinteressati, ancorchè dalle nuove previsioni del piano risultino avvantaggiati altri soggetti, atteso che l’interesse qualificato, uguale e contrario a quella del ricorrente, che identifica la posizione di controinteressato, deve essere espressamente tutelato dal provvedimento ed oggettivamente percepibile come un vantaggio, indipendentemente dall’interesse perseguito dal ricorrente. Tali requisiti non ricorrono nel caso dello strumento urbanistico, poiché la funzione esclusiva è quella di predisporre un ordinato assetto del territorio comunale, prescindendo dalle posizioni dei titolari di diritti reali e dai vantaggi o dagli svantaggi che ad essi possono derivare dalla pianificazione. Questa regola subisce un’eccezione nei casi in cui sia impugnato un piano o una variante urbanistica avente un oggetto circoscritto, nonché nei casi in cui sia evidente l’esistenza di posizioni specifiche in capo a soggetti interessati al mantenimento dell’atto, che determinano la loro qualità di controinteressati”. In termini v. Cons. Stato, sez. IV, 31 gennaio 2022, n. 651.

[11] Cons. Stato, sez. II, 29 luglio 2019, n. 5298.

[12] G. Vignocchi-G. Berti, Piano regolatore, cit., 20.

[13] Sul rapporto tra strumenti di pianificazione urbanistica e clausole di salvaguardia Cons. Stato, sez. II, 23 marzo 2020, n. 2012.

[14] Secondo la costante giurisprudenza, trattasi, comunque, di un’impugnazione facoltativa, che non preclude l’impugnazione del piano definitivamente approvato, né limita il catalogo dei vizi di legittimità censurabili in tale sede. Ex pluribus, T.A.R. Veneto, Venezia, sez. I, 26 marzo 2018, n. 350; Cons. Stato, sez. IV, 2 febbraio 2017, n. 444; T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. II, 23 dicembre 2021, n. 2348.

*Contributo estratto dal Manuale Maior di Diritto Amministrativo – Parte Generale e Parte Speciale di Francesco Caringella- Dike Giuridica 2023