Dike giuridica, Istituti e sentenze commentate

Il nesso di causalità*

Nesso di causalità – Il concetto di causa non è patrimonio esclusivo del diritto penale, ma è comunemente usato, oltre che in altri rami dell’ordinamento giuridico, nei più diversi campi della scienza (scienze fisico-matematiche, scienze storico-sociali, scienze biologiche ecc.). Pacifico che non esiste un concetto unitario di causalità, valido per tutte le scienze e per tutti i linguaggi, atteso che al termine causa vengono ricollegati significati diversi a seconda delle esigenze di ogni singolo campo di indagine, ciò che interessa in ambito penale non è, quindi, l’individuazione di un concetto di causa che vada bene in generale per tutte le scienze, ma l’individuazione di un criterio di imputazione causale che consenta di stabilire se l’evento lesivo possa considerarsi opera dell’uomo.

Nel settore penale il nesso di causalità può essere definito, in via di prima approssimazione, come quel meccanismo di imputazione della responsabilità penale alla stregua del quale il soggetto agente risponde del fatto qualificabile come reato allorquando l’evento è conseguenza della sua condotta. Nell’ambito della materialità del reato il nesso causale svolge un’importante funzione in quanto sulla base di esso si riconduce ad un soggetto un dato evento lesivo, ritenendolo la conseguenza della sua azione od omissione. L’operatività di tale istituto rappresenta la concretizzazione del fondamentale principio di personalità della responsabilità penale, consacrato nell’art. 27 Cost., poiché applicando rigorosamente i dettami in tema di causalità, è anche possibile evitare forme di responsabilità per fatto altrui.

Nel codice penale l’art. 40, rubricato “Rapporto di causalità”, prevede che “1. Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se l’evento dannoso o pericoloso, da cui dipende l’esistenza del reato, non è conseguenza della sua azione od omissione. 2. Non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”. Tralasciando il riferimento alla causalità omissiva di cui al comma 2 alla trattazione specifica su tale forma di causalità di seguito condotta, va da subito rilevato che il comma 1 non fornisce utili indicazioni all’interprete per riempire di contenuto il concetto di causalità, poiché si limita a stabilire che ai fini della responsabilità penale sotto il profilo materiale bisogna verificare se tra il comportamento dell’uomo e l’evento lesivo vi sia un collegamento causale, senza indicare criteri guida per il suo accertamento[1]. Nessuna precisazione, dunque, viene fornita dal legislatore rispetto al quesito centrale, e cioè quando si può dire che un evento è conseguenza di un’azione o di un’omissione.

Migliore fortuna nel fornire un contributo alla definizione del concetto di causalità non ha avuto il successivo art. 41 c.p., che si occupa del fenomeno del concorso di cause, il quale, come vedremo più avanti, è stato invocato dagli autori delle varie teorie causali a supporto normativo delle proprie idee.

A fronte del silenzio legislativo, si è così dato vita, ad un lungo dibattito in cui si sono confrontate diverse scuole di pensiero, tutte animate dall’ambizioso obiettivo di fornire una valida nozione di causalità e, al contempo, di individuarne i relativi criteri di accertamento. Si tratta di una serie di teorie elaborate anche antecedentemente all’entrata in vigore del codice penale del ’30 e diverse tra loro, ma tutte accomunate dal fatto di considerare l’evento ascrivibile alla responsabilità del soggetto agente allorquando la sua condotta sia stata quantomeno condizione necessaria per la sua verificazione. Ciò al fine di evitare il ritorno a forme di responsabilità “per fatto altrui”, palesemente in contrasto con i cardini del nostro diritto penale[2].

 Il fiorire delle varie teorie, è bene premetterlo, deriva dalla necessità di risolvere il problema della causalità in tutti quei casi in cui non è noto il processo di derivazione causale dell’evento verificatosi, quei casi, cioè, in cui non si è in grado di affermare con certezza che quell’evento è la conseguenza di una data condotta[3].

1.1  La teoria della causalità naturale o della condicio sine qua non o dell’equivalenza delle condizioni

Il nesso di causalità – Secondo la c.d. teoria della causalità naturale o della condicio sine qua non o dell’equivalenza delle condizioni, elaborata nel 1873 ad opera del criminalista tedesco Von Buri[4], da un punto di vista generale, causa dell’evento è l’insieme delle condizioni necessarie e sufficienti a produrlo.

Partendo da una visione logico-naturalistica del nesso causale nell’ambito della quale l’evento è il frutto dell’interazione di un insieme di fattori condizionanti, umani e naturali, ciascuno dei quali necessario alla sua produzione, la teoria in esame ritiene che tutte le condizioni necessarie e sufficienti alla produzione dell’evento sono causa dello stesso e, pertanto, si equivalgono. Così argomentando, ne deriva che la condotta umana è causa dell’evento allorquando, sulla base di una valutazione ex post, sia stata una delle condizioni indispensabili al suo verificarsi. Per rendere l’idea, spesso si ricorre all’esempio di chi uccide un uomo sparandogli un colpo di pistola: l’evento-morte è il frutto di un insieme di cause, umane e non, quali la pressione sul grilletto, la reazione chimica dello sparo, la lesione del corpo e così via. Ebbene, com’è evidente, la condotta umana rappresenta soltanto uno dei diversi fattori che cagionano l’evento delittuoso. Essa, però, è causa di quest’ultimo nella misura in cui sia stata comunque necessaria alla sua verificazione.

Al fine di stabilire ciò la teoria in parola introduce il metodo del c.d. giudizio controfattuale, in virtù del quale si affida al giudice il compito di procedere all’ideale eliminazione mentale della condotta umana onde verificare se, senza quest’ultima, l’evento si sarebbe ugualmente prodotto o meno: in caso di esito negativo, se ne dedurrà che la stessa è eleggibile al rango di causa.

Il nesso di causalità – La teoria della causalità naturale, se indubbiamente ha il pregio di aver fatto luce sul requisito, peraltro, mai più abbandonato, della necessarietà della condotta umana affinché la stessa possa essere considerata “condizione” dell’evento, al contempo si presta ad alcune critiche. Innanzitutto, si è detto che essa possiede un’efficacia euristica limitata, atteso che richiede la conoscenza in anticipo da parte del giudice del rapporto di derivazione tra condotta ed evento, con la conseguenza di comportare la rinuncia all’applicabilità della sanzione penale nei casi in cui tale rapporto non è noto in precedenza. In effetti, tale teoria non contiene alcuna indicazione sui criteri in base ai quali operare il suddetto processo di eliminazione mentale, nel senso che non viene suggerito alcun criterio in forza del quale, eliminata mentalmente la condotta umana dal novero dei fatti realmente accaduti, si possa concludere che l’evento non si sarebbe ovvero si sarebbe verificato.

Il nesso di causalità – La teoria in esame, ad esempio, non sarebbe in grado di risolvere i casi del “talidomide” e delle “macchie blu”[5]. Nel primo caso, oggetto di attenzione da parte della giurisprudenza tedesca, si era constatato che una serie di donne in stato di gravidanza, dopo aver ingerito un farmaco denominato talidomide, avevano partorito figli con malformazioni congenite. Tuttavia, non era scientificamente chiara l’esistenza di una connessione tra l’assunzione del medicinale e le malattie. Nella vicenda delle “macchie blu”, invece, si era constatato che gli abitanti di una zona limitrofa ad una fabbrica di alluminio erano stati colpiti da manifestazioni cutanee a carattere epidemiologico, oltre a lamentare ingenti danni ad animali e coltivazioni. Anche in quel caso, però, mancava una spiegazione scientifica del relativo nesso causale[6].

In secondo luogo, si è osservato come la teoria in questione comporti una regressione all’infinito delle varie condizioni, atteso che in una logica di equivalenza ciascuna di esse si palesa indispensabile al prodursi dell’evento al pari di ogni altra, senza distinzione alcuna tra quelle più remote e quelle più prossime (a tale riguardo, si fa l’esempio scolastico della madre cui potrebbe essere imputata la responsabilità di aver messo al mondo il soggetto agente). A fronte di tale ultima censura, i seguaci della tesi in commento hanno osservato che è possibile porre un limite a tale inconveniente attraverso il ricorso all’elemento psicologico del reato. Tuttavia, si è fatto notare che tale correttivo, oltre a non essere scientificamente rigoroso (perché argina un deficit della teoria, riguardante il momento oggettivo, ricorrendo al momento soggettivo del reato), non è applicabile nelle ipotesi di delitti aggravati dall’evento laddove, quest’ultimo è posto a carico del soggetto agente solo in base al nesso causale con la sua precedente condotta delittuosa già costituente di per sé un diverso reato (proprio per rimediare a tale inconveniente sono state elaborate le teorie della causalità adeguata ed umana, di cui si dirà in seguito)[7].

In terzo luogo, si osserva che la teoria ignora l’incidenza, nel fenomeno causale, delle condizioni estranee alla condotta umana e del tutto eccezionali dal punto di vista statistico. Tali condizioni possono essere preesistenti (si pensi al caso della lieve ferita che diviene mortale a causa di una preesistente malattia rara), simultanee (si pensi al colpo di arma da fuoco, di per sé non mortale, ma che lo diviene perché esploso contemporaneamente anche da altra persona) o successive (si pensi al caso, citato anche nella relazione al codice, del ferito che trasportato all’ospedale, qui trova la morte a causa di un incendio). In tutti questi casi se si opera col giudizio controfattuale si dovrà sempre concludere che la condotta del reo è stata causa dell’evento, non potendo essere eliminata senza che quest’ultimo venga meno. In realtà, come vedremo meglio più avanti (si veda infra §2), se ciò può essere accettabile per le condizioni preesistenti e simultanee, dove il problema non è di causalità ma di colpevolezza, non lo può essere per le cause sopravvenute che spezzando il nesso causale producono l’evento lesivo in maniera autonoma.

In ultima analisi, si è messo in evidenza che applicando la teoria qui in esame non si risolvono alcune particolari ipotesi di concorso di cause. Nulla quaestio per l’ipotesi di c.d. causalità addizionale cumulativa, che si ha allorquando l’evento è causato dalla somma di due condotte indipendenti, ciascuna delle quali, isolatamente considerata, non sarebbe sufficiente a cagionarlo (si pensi al caso scolastico di due individui che, indipendentemente l’uno dall’altro, propinano alla vittima due dosi di veleno che si rivela letale per la quantità complessiva). In questo caso, infatti, entrambe le condotte costituiscono condicio sine qua non dell’evento, atteso che, eliminando mentalmente una delle due, esso non si sarebbe prodotto.

Problemi sorgono, invece, con riferimento alla c.d. causalità addizionale doppia, che si verifica nel caso in cui ciascuna condotta è di per sé capace di cagionare di produrre l’evento (si pensi al caso in cui ciascuna delle due dosi di veleno sia letale). In tale evenienza, applicando il giudizio controfattuale, nessuna delle due condotte, isolatamente considerata, sarebbe condizione necessaria, atteso che l’evento si sarebbe ugualmente prodotto per effetto dell’altra, donde l’inaccettabile impunità di entrambi i soggetti agenti.

 Stesso discorso per la c.d. causalità alternativa ipotetica, ricorrente nell’ipotesi in cui l’evento cagionato dall’agente si sarebbe ugualmente verificato, in assenza della condotta, per effetto di altra causa (si pensi al caso del soggetto che viene sparato e che sarebbe comunque morto per essere stato precedentemente avvelenato).

Per far fronte a tali censure, relative alla causalità addizionale doppia e alla causalità alternativa ipotetica, si è osservato che l’evento da prendere in considerazione ai fini della verifica circa la sussistenza del nesso causale non sia quello astratto (la morte di un individuo), bensì quello concreto (la morte di quell’individuo in quelle determinate circostanze), verificatosi hic et nunc, con la conseguenza di dover riformulare la tesi della condicio sine qua non nel senso che, ove più condotte siano astrattamente capaci di cagionare isolatamente l’evento, ciascuna di esse deve considerarsi causa dello stesso.


[1] A tale preciso riguardo, Antolisei, op. cit., 238, osserva che “[…] le norme che nel nostro codice regolano la materia […], purtroppo, sono redatte in modo da suscitare gravi incertezze […]”.

[2] Il concetto è brillantemente espresso da Mantovani, Diritto penale. Parte generale, Milano, 2007, 134, secondo cui “La ‘causalità occupa un posto fondamentale nel diritto penale, perché segna il passaggio dalla ‘responsabilità per fatto altrui’ verso la ‘responsabilità per fatto proprio’. E nella teoria generale del reato, perché il nesso causale tra la condotta e l’evento è la condizione prima e imprescindibile, anche se non sufficiente, per l’attribuibilità del fatto criminoso al soggetto […]”.

[3] Al di là della teoria alla quale si intende aderire, in dottrina è stata segnalata l’adesione in alcune sentenze (come Cass., sez. IV, 22 novembre 2007, n. 33285) ad una logica precauzionale quale componente occulta dei criteri di imputazione del risultato nei reati di evento dannoso o pericoloso: allorquando, cioè, dalla tutela di interessi superindividuali e strumentali legati all’incolumità pubblica (si pensi alla tutela dell’ambiente) si passi alla tutela di beni finali a dimensione individuale (vita e integrità fisica). La dottrina ha cioè denunciato processi di flessibilizzazione delle categorie dogmatiche del diritto penale al fine di soddisfare esigenze di tutela poste dalla società contemporanea nel contesto delle offese realizzate sotto forma di evento di danno o di pericolo (quindi, principalmente, delitti colposi contro la vita e l’integrità fisica), processi nei quali il principio di precauzione (sul quale, v. in tema di principio di offensività al Cap. 3) ha inciso su due fattori fondamentali per la configurazione del fatto tipico: sul nesso di causalità, sfruttandone la struttura probabilistica e trasformandolo o rendendolo prossimo, in sede di accertamento, a un nesso di rischio e sul piano soggettivo, sulla colpa, deformandone gli aspetti cognitivi: la riconoscibilità del rischio o la prevedibilità del risultato (v. quanto si dirà al riguardo in tema di colpa nella Parte II, Cap. 5, Sez. VI).

[4] Von Buri, Uber Kausalitat und deren Verantwortung, 1873.

[5] I casi in questione sono presi in considerazione dalla pressoché totale manualistica in materia. Tra i tanti, Mantovani, op. cit., 138, nonché Fiandaca-Musco, Diritto penale. Parte Generale, Bologna 2007, 225.

[6] Trib. Rovereto 17 gennaio 1969, in Riv. it. dir. proc. pen., 1971, 1021.

[7] Oggi, però, che a seguito dell’entrata in vigore della Costituzione sono state bandite dall’ordinamento tutte le ipotesi di responsabilità oggettiva, richiedendosi sempre quantomeno la colpa (si veda Parte II, Cap. 5, Sez. III, §2.2), questa critica, mossa alla teoria in esame, ha perso la propria valenza.

[…]

*Contributo estratto dal “Manuale di diritto penale” di Francesco Caringella, Francesca Della Valle, Alessandro Trinci – XIII edizione – Dike giuridica editrice – Marzo 2025