Dike giuridica, Istituti e sentenze commentate

I rimedi contro l’inadempimento*

I rimedi contro l’inadempimento – All’inadempimento il creditore può reagire con una molteplicità di rimedi.

Le due azioni di carattere generale sono l’azione di esatto adempimento e l’azione risarcitoria. L’azione di risoluzione riguarda, invece, l’inadempimento di tutte le obbligazioni, ma nei soli contratti a prestazioni corrispettive.

I rimedi contro l’inadempimento – Si tratta di rimedi per i quali il legislatore, diversamente da altri sistemi (come quello inglese, che considera prevalente la tutela risarcitoria e quello tedesco che considera prioritaria la protezione specifica) non prevede alcuna gerarchia, lasciando alla parte la scelta dell’azione preferibile in base al bisogno da soddisfare.

A tali rimedi si aggiunge, in via di completamento ma anche in chiave autonoma, il rimedio risarcitorio ex artt. 1218 e ss.

Prima di esaminare i singoli rimedi ricordiamo che la Cassazione, a Sezioni Unite (13533/2001 e 11748/1998), ha abbracciato la tesi universale secondo cui il regime probatorio dell’inadempimento è uguale per tutti i rimedi all’inadempimento contrattuale, ivi compresa la risoluzione (che, nonostante il nomen, vede come fatto costitutivo il credito insoddisfatto più che la condotta inadempitiva).

Tale regime implica che il creditore, tenuto a provare la sua qualità soggettiva, attraverso la dimostrazione del fatto generatore del diritto (contratto, contatto sociale o altra fonte, salva inversione ex art. 1988 che sancisce, a favore dell’attore, la relevatio ab onere probandi), deve, invece, solo allegare il fatto storico dell’inadempimento (vedi, amplius, §9).

Passiamo ora in rassegna i singoli rimedi contro l’inadempimento.

3.1  L’azione di adempimento (azione in kind, o naturalrestitution, o der vertragsefüllung)

Con tale azione (actiòn specifìque) il creditore mira non già a ottenere, in via compensativa, una prestazione sostitutiva ed equivalente a quella mancante, ma a conseguire, in una logica satisfattoria, la stessa prestazione (in re) originariamente dovuta dal debitore.

Pur non essendo l’azione in esame prevista in via generale (ma contemplata solo da specifiche disposizioni, quali gli artt. 1515 e 1516 c.c. in tema di vendita, inerenti l’esecuzione coattiva degli obblighi del venditore e del compratore; ovvero l’art. 130, comma 7, Codice del Consumo; o ancora, per gli appalti, gli artt. 1648 ss. c.c. in materia di vizi), non è dubbia la sua configurazione, in un sistema di civil law, quale rimedio universale, in quanto volto a concedere una protezione specifica e piena del diritto tutelato dall’ordinamento.

In particolare, trattasi di rimedio predisposto dall’ordinamento sul presupposto della mancata o inesatta attuazione dell’interesse dedotto nel rapporto obbligatorio (si veda art. 34, comma 1, lett. c), c.p.a. per l’azione di esatto adempimento in materia pubblicistica).

Al riguardo, si suole distinguere l’azione di adempimento, esercitabile in caso di mancata esecuzione della prestazione, dall’azione di esatto adempimento, esperibile in ipotesi di esecuzione inesatta dal punto di vista quantitativo o qualitativo.

L’azione di adempimento costituisce, pertanto, una forma di tutela specifica o satisfattoria, perché attraverso di essa il creditore insoddisfatto ottiene le stesse utilità che aveva dedotto ad oggetto del rapporto obbligatorio rimasto ineseguito.

La stessa si differenzia dalla tutela risarcitoria che, nell’ipotesi ordinaria della riparazione per equivalente, fa conseguire al creditore una somma corrispondente alla prestazione originariamente dovuta. Tende a coincidere – almeno dal punto di vista degli effetti – con la reintegrazione in forma specifica (art. 2058 c.c.), e cioè con la forma di risarcimento attuato mediante la riparazione in natura. Se ne differenzia, però, in quanto il risarcimento specifico presuppone il danno e implica una prestazione diversa da quella originaria ai fini del ripristino dello status quo.

L’azione di adempimento, mirando a fare ottenere, in via giudiziale, al creditore quanto questi doveva conseguire mediante l’esecuzione spontanea della prestazione ad opera del debitore, può essere proposta solo quando l’adempimento sia ancora possibile.

È, invece, preclusa quando il ritardo nell’adempimento sia dovuto a impossibilità sopravvenuta temporanea della prestazione non imputabile (cfr. art. 1256, comma 2, c.c.) o quando, comunque, la prestazione non sia ancora esigibile (ad esempio, per mancata scadenza del termine stabilito in favore del debitore).

Si tratta di un’azione di condanna, con la quale il creditore tende ad ottenere una sentenza contenente l’ordine, rivolto al debitore, di adempiere all’obbligazione. Qualora il debitore non vi ottemperi, il creditore con la sentenza, che è titolo esecutivo (art. 474 c.p.c.), potrà procedere ad esecuzione forzata (art. 2910 c.c.).

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*Contributo estratto da “Manuale ragionato di diritto civile – parte generale” di F. Caringella – Dike giuridica editrice – Settembre 2025