La filiazione naturale dopo la riforma “Cartabia” si riferisce ai figli nati o concepiti al di fuori del matrimonio.
Il legislatore del 1975, recependo quelle tendenze dottrinali e giurisprudenziali, nell’ambito delle quali gran parte ha avuto la giurisprudenza costituzionale, ha ridimensionato le differenze esistenti tra il trattamento riservato ai figli naturali e quello relativo ai figli legittimi; tale opera è stata completata dalla L. 219/2012 e dal D.Lgs. 154/2013 che ha disposto la sostituzione delle parole “figli naturali” o le parole “figlio naturale”, ovvero “figli adulterini” o “figlio adulterino” ove presenti, in tutta la legislazione vigente, con le seguenti “figli nati fuori del matrimonio” o “figlio nato fuori del matrimonio”.
5.1 La filiazione naturale dopo la riforma “Cartabia”: Riconoscimento dei figli nati fuori dal matrimonio
Il figlio nato fuori del matrimonio può essere riconosciuto, nei modi previsti dall’art. 254 c.c., dalla madre e dal padre, anche se già uniti in matrimonio con altra persona all’epoca del concepimento. Il riconoscimento può avvenire tanto congiuntamente quanto separatamente (art. 250 c.c.).
Il riconoscimento del figlio che ha compiuto i quattordici anni non produce effetto senza il suo assenso; il riconoscimento del figlio, che non ha compiuto i quattordici anni, non può avvenire senza il consenso dell’altro genitore che abbia già effettuato il riconoscimento.
Il consenso non può essere rifiutato se risponde all’interesse del figlio. Il genitore che vuole riconoscere il figlio, qualora il consenso dell’altro genitore sia rifiutato, ricorre al giudice competente il quale, assunta ogni opportuna informazione e disposto l’ascolto del minore, adotta eventuali provvedimenti temporanei e urgenti al fine di instaurare la relazione, salvo che la difesa del convenuto non sia palesemente fondata. Con la sentenza che tiene luogo del consenso mancante, il giudice adotta i provvedimenti opportuni in relazione all’affidamento e al mantenimento del minore ai sensi dell’art. 315bis c.c. e al suo cognome ai sensi dell’art. 262 c.c.
Il riconoscimento non può essere fatto dai genitori che non abbiano compiuto il sedicesimo anno di età, salvo che il giudice li autorizzi, valutate le circostanze e avuto riguardo all’interesse del figlio.
Il figlio nato da persone, tra le quali esiste un vincolo di parentela in linea retta all’infinito o in linea collaterale nel secondo grado, ovvero un vincolo di affinità in linea retta, può essere riconosciuto previa autorizzazione del giudice avuto riguardo all’interesse del figlio e alla necessità di evitare allo stesso qualsiasi pregiudizio (art. 251 c.c.).
Il riconoscimento di una persona minore di età è autorizzato dal giudice (non più dal tribunale per i minorenni, come previsto prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. 154/2013).
L’art. 252 c.c., rubricato “affidamento del figlio nato fuori del matrimonio e suo inserimento nella famiglia del genitore”, come novellato dalla riforma della filiazione, prevede che, qualora il figlio nato fuori del matrimonio di uno dei coniugi sia riconosciuto durante il matrimonio il giudice, valutate le circostanze, decide in ordine all’affidamento del minore e adotta ogni altro provvedimento a tutela del suo interesse morale e materiale.
L’eventuale inserimento del figlio nato fuori del matrimonio nella famiglia legittima di uno dei genitori può essere autorizzato dal giudice qualora ciò non sia contrario all’interesse del minore e sia accertato il consenso dell’altro coniuge convivente e degli altri figli che abbiano compiuto il sedicesimo anno di età e siano conviventi, nonché dell’altro genitore che abbia effettuato il riconoscimento. In questo caso il giudice stabilisce le condizioni cui ciascun genitore deve attenersi.
Qualora il figlio sia riconosciuto anteriormente al matrimonio, il suo inserimento nella famiglia è subordinato al consenso dell’altro coniuge, a meno che il figlio fosse già convivente con il genitore all’atto del matrimonio o l’altro coniuge conoscesse l’esistenza del figlio; è altresì richiesto il consenso dell’altro genitore che abbia effettuato il riconoscimento.
In caso di disaccordo tra i genitori, ovvero di mancato consenso degli altri figli conviventi, la decisione è rimessa al giudice tenendo conto dell’interesse dei minori. Anche in questo caso, prima dell’adozione del provvedimento, il giudice dispone l’ascolto dei figli minori che abbiano compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capaci di discernimento.
In nessun caso è ammesso un riconoscimento in contrasto con lo stato di figlio in cui la persona si trova (art. 253 c.c.).
Quanto alla forma, l’art. 254 c.c., come novellato dal D.Lgs. 154/2013, prevede che il riconoscimento del figlio nato fuori del matrimonio è fatto nell’atto di nascita oppure con una apposita dichiarazione, posteriore alla nascita o al concepimento, davanti ad un ufficiale dello stato civile o in un atto pubblico o in un testamento, qualunque sia la forma di questo.
Può anche aver luogo il riconoscimento del figlio premorto, in favore dei suoi discendenti (255 c.c.).
Il riconoscimento è irrevocabile. Quando è contenuto in un testamento ha effetto dal giorno della morte del testatore, anche se il testamento è stato revocato (art. 256 c.c.).
È nulla ogni clausola diretta a limitare gli effetti del riconoscimento (art. 257 c.c.).
Secondo il riformulato art. 258 c.c., il riconoscimento produce effetti riguardo al genitore da cui fu fatto e riguardo ai parenti di esso. L’atto di riconoscimento di uno solo dei genitori non può contenere indicazioni relative all’altro genitore. Queste indicazioni, qualora siano state fatte, sono senza effetto. Il pubblico ufficiale che le riceve e l’ufficiale dello stato civile che le riproduce sui registri dello stato civile sono puniti con una sanzione amministrativa. Le indicazioni stesse devono essere cancellate.
Il novellato art. 262 c.c. prevede che il figlio assume il cognome del genitore che per primo lo ha riconosciuto. Se il riconoscimento è stato effettuato contemporaneamente da entrambi i genitori il figlio assume il cognome del padre. La Corte Costituzionale, con sent. 31 maggio 2022, n. 131, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di tutte le norme che prevedono l’automatica attribuzione del cognome del padre, con riferimento ai figli nati nel matrimonio, fuori dal matrimonio e ai figli adottivi. Se la filiazione nei confronti del padre è stata accertata o riconosciuta successivamente al riconoscimento da parte della madre, il figlio può assumere il cognome del padre aggiungendolo, anteponendolo o sostituendolo a quello della madre. Se la filiazione nei confronti del genitore è stata accertata o riconosciuta successivamente all’attribuzione del cognome da parte dell’ufficiale dello stato civile, si applica la disciplina appena esaminata.
Filiazione naturale – Il figlio può mantenere il cognome precedentemente attribuitogli, ove tale cognome sia divenuto autonomo segno della sua identità personale, aggiungendolo, anteponendolo o sostituendolo al cognome del genitore che per primo lo ha riconosciuto o al cognome dei genitori in caso di riconoscimento da parte di entrambi.
Nel caso di minore età del figlio, il giudice decide circa l’assunzione del cognome del genitore, previo ascolto del figlio minore, che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento.
Il riconoscimento può essere impugnato per difetto di veridicità dall’autore del riconoscimento, da colui che è stato riconosciuto e da chiunque vi abbia interesse (art. 263 c.c.).
L’azione è imprescrittibile riguardo al figlio.
L’azione di impugnazione da parte dell’autore del riconoscimento deve essere proposta nel termine di un anno che decorre dal giorno dell’annotazione del riconoscimento sull’atto di nascita. Se l’autore del riconoscimento prova di aver ignorato la propria impotenza al tempo del concepimento, il termine decorre dal giorno in cui ne ha avuto conoscenza; nello stesso termine, la madre che abbia effettuato il riconoscimento è ammessa a provare di aver ignorato l’impotenza del presunto padre. L’azione non può essere comunque proposta oltre cinque anni dall’annotazione del riconoscimento. L’azione di impugnazione da parte degli altri legittimati deve essere proposta nel termine di cinque anni che decorrono dal giorno dall’annotazione del riconoscimento sull’atto di nascita.
La Corte costituzionale (sent. 133/2021), ha dichiarato l’illegittimità della norma nella parte in cui non prevede che, per l’autore del riconoscimento, il termine annuale per proporre l’azione di impugnazione decorra dal giorno in cui ha avuto conoscenza della non paternità.
L’impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità può essere altresì promossa da un curatore speciale nominato dal giudice, assunte sommarie informazioni, su istanza del figlio minore che ha compiuto quattordici anni, ovvero del pubblico ministero o dell’altro genitore che abbia validamente riconosciuto il figlio, quando si tratti di figlio di età inferiore (art. 264 c.c.).
Il riconoscimento può essere impugnato per violenza dall’autore del riconoscimento entro un anno dal giorno in cui la violenza è cessata (art. 265 c.c.); se l’autore del riconoscimento è minore, l’azione può essere promossa entro un anno dal conseguimento dell’età maggiore.
Il riconoscimento può essere impugnato per l’incapacità che deriva da interdizione giudiziale dal rappresentante dell’interdetto e, dopo la revoca dell’interdizione, dall’autore del riconoscimento, entro un anno dalla data della revoca (art. 266 c.c.).
5.2 La filiazione naturale dopo la riforma “Cartabia”: Dichiarazione giudiziale della paternità e della maternità
La paternità e la maternità possono essere giudizialmente dichiarate nei casi in cui il riconoscimento è ammesso (art. 269 c.c.).
La prova della paternità e della maternità può essere data con ogni mezzo.
La maternità è dimostrata provando l’identità di colui che si pretende essere figlio e di colui che fu partorito dalla donna, la quale si assume essere madre.
La sola dichiarazione della madre e la sola esistenza di rapporti tra la madre e il preteso padre all’epoca del concepimento non costituiscono prova della paternità.
L’azione per ottenere che sia dichiarata giudizialmente la paternità o la maternità è imprescrittibile riguardo al figlio (art. 270 c.c.). Se il figlio muore prima di avere iniziato l’azione, questa può essere promossa dai discendenti, entro due anni dalla morte. L’azione promossa dal figlio, se egli muore, può essere proseguita dai discendenti. Si applica l’art. 245 c.c. (sospensione del termine).
L’azione per ottenere che sia giudizialmente dichiarata la paternità o la maternità può essere promossa, nell’interesse del minore, dal genitore che esercita la responsabilità genitoriale prevista dall’art. 316 c.c. o dal tutore; quest’ultimo, però, deve chiedere l’autorizzazione del giudice, il quale può anche nominare un curatore speciale (art. 273 c.c.).
Occorre il consenso del figlio per promuovere o per proseguire l’azione se egli ha compiuto l’età di quattordici anni. Per l’interdetto l’azione può essere promossa dal tutore previa autorizzazione del giudice.
L’azione per la dichiarazione giudiziale di paternità o di maternità naturale è ammessa solo quando concorrono specifiche circostanze tali da farla apparire giustificata (art. 274 c.c.).
La domanda per la dichiarazione di paternità o di maternità deve essere proposta nei confronti del presunto genitore o, in sua mancanza, nei confronti dei suoi eredi. In loro mancanza, la domanda deve essere proposta nei confronti di un curatore nominato dal giudice davanti al quale il giudizio deve essere promosso. Alla domanda può contraddire chiunque vi abbia interesse (art. 276 c.c.).
La sentenza che dichiara la filiazione produce gli effetti del riconoscimento; il giudice può anche dare i provvedimenti che stima utili per l’affidamento, il mantenimento, l’istruzione e l’educazione del figlio e per la tutela degli interessi patrimoniali di lui (art. 277 c.c.).
Nei casi di figlio nato da persone, tra le quali esiste un vincolo di parentela in linea retta all’infinito o in linea collaterale nel secondo grado, ovvero un vincolo di affinità in linea retta, l’azione per ottenere che sia giudizialmente dichiarata la paternità o la maternità non può essere promossa senza previa autorizzazione ai sensi dell’art. 251 c.c. (art. 278 c.c.).
Ai sensi dell’art. 279 c.c., in ogni caso in cui non può proporsi l’azione per la dichiarazione giudiziale di paternità o di maternità, il figlio nato fuori del matrimonio può agire per ottenere il mantenimento, l’istruzione e l’educazione. Il figlio nato fuori del matrimonio se maggiorenne e in stato di bisogno può agire per ottenere gli alimenti a condizione che il diritto al mantenimento di cui all’art. 315bis c.c., sia venuto meno.
L’azione è ammessa previa autorizzazione del giudice ai sensi dell’art. 251 c.c. e può essere promossa nell’interesse del figlio minore da un curatore speciale nominato dal giudice su richiesta del pubblico ministero o del genitore che esercita la responsabilità genitoriale.
La L. 219/2012, in ossequio al principio della parificazione tra i figli nati nel matrimonio e quelli nati al di fuori di esso, ha soppresso l’istituto della legittimazione dei figli naturali, abrogando la Sezione II del Capo II del Titolo VII del Libro I del Codice civile.
*Contributo estratto dal Compendio di diritto civile di V. de Gioia – Dike Giuridica – Febbraio 2024