Una particolare sfaccettatura del diritto alla riservatezza è il c.d. diritto all’oblio, inteso quale diritto a non restare esposti a tempo indeterminato ai danni che la reiterata pubblicazione di una notizia può arrecare all’onore e alla reputazione, salvo che, per eventi sopravvenuti, il fatto precedente ritorni di attualità e rinasca un interesse pubblico all’informazione.
Diritto all’oblio: la posizione della giurisprudenza
Una tappa fondamentale per suo riconoscimento è rappresentata da una pronuncia della Suprema Corte del 5 aprile 2012, n. 5525. Essa in realtà costituisce l’approdo di un sentiero tracciato da altre due sentenze (Cass. 13 maggio 1958, n. 1563 e Cass. 9 aprile 1998, n. 3679) diretto a dare legittimazione al diritto all’oblio come autonoma situa-zione giuridica degna di riconoscimento, il cui fondamento è ancorato nell’art. 21 della Costituzione.
Sebbene tutte le pronunce menzionate poggino su un comune denomi-natore, consistente nella focalizzazione dell’attenzione sulle implicazioni derivanti dalla diffusione di notizie obsolete e non più attuali in rapporto all’esigenza di cronaca giudiziaria (Spoto), la più recente ha il pregio di analizzare il profilo attinente al rapporto fra il diritto all’oblio ed i nuovi strumenti di diffusione delle notizie, quali internet. Più precisamente la sentenza sancisce l’illegittimità della divulgazione di una notizia non più attuale e non puntualmente aggiornata rinvenibile dall’archivio web di un quotidiano. Le divulgazioni on line incorrono infatti in ostacoli tecnici che comportano l’intrappolamento della notizia all’interno della rete; per tale ragione la Corte, al fine di bilanciare correttamente l’interesse pubblico all’informazione e quello del singolo ad “essere dimenticato” (Di Majo), è giunta ad affermare la necessità che le notizie vengano contestualizzate ed aggiornate. La corte, infatti ha affermato che anche in caso di memo-rizzazione in Internet, deve riconoscersi, al soggetto cui appartengono i dati personali oggetto di trattamento, il diritto all’oblio come control-lo della propria immagine sociale, idoneo a tradursi nella pretesa alla contestualizzazione e aggiornamento dei medesimi e, se del caso (avuto riguardo alla finalità della conservazione nell’archivio e all’interesse che la sottende), alla relativa cancellazione. Dopo tale affermazione la Corte si preoccupa di individuare nel provider, ossia nel fornitore dell’accesso alla rete ed ai relativi servizi, la figu-ra responsabile dell’aggiornamento e della contestualizzazione delle informazioni, precisando però che lo stesso non risponde delle notizie divulgate tramite la testata telematica qualora fornisca meramente la con-nessione alla rete, perché in queste ipotesi è equiparato al gestore tele-fonico il quale non potrà certamente essere ritenuto responsabile per gli illeciti commessi dagli utenti nelle loro personali comunicazioni. Il discorso è ben diverso se il provider non si limita a fornire la connessione, ma fornisce anche servizi ulteriori come il caching (attività di raccolta temporanea di informazioni e dati per rendere maggiormente efficace il successivo inoltro ad altri destinatari che ne abbiano fatto richiesta) o l’ho-sting (attività di memorizzazione informazioni fornite dal destinatario del servizio e la costituzione di uno spazio apposito sul server per siti o pagine web). In questi casi, il provider è responsabile quando venga provato che conosceva l’attività o l’informazione trasmessa. Inoltre la Corte prende in considerazione i motori di ricerca come meri mezzi tecnici in grado di reperire notizie nella rete ma non responsabili della circolazione ed immis-sione delle stesse nella rete. Il motore di ricerca rappresenta un intermediario che si limita ad offrire un sistema automatico di reperimento delle informazioni, per cui non può essere tenuto a rispondere della permanenza delle notizie nella rete, dal momento che queste ultime si trovano nell’archivio del titolare del sito, unico obbligato a gestire correttamente le informazioni.
Successivamente la Suprema Corte è tornata a pronunciarsi sul tema del diritto all’oblio con la sentenza del 26 giugno 2013, n. 16111, che ha il pregio di individuare i fattori determinanti nel bilanciamento del diritto di cronaca con quello della riservatezza, entrambi di rango costituzionale. La sentenza afferma come l’essenzialità dell’informazione e l’inte-resse pubblico alla notizia siano gli elementi idonei a sacrificare il di-ritto alla riservatezza a favore del diritto di cronaca. In particolare il diritto all’oblio trova un limite unicamente qualora sussista un interesse effettivo ed attuale alla diffusione delle informazioni, nel senso che il nuovo acca-dimento (nella specie, il ritrovamento di un arsenale di armi nella zona di residenza di un ex terrorista) deve trovare un diretto collegamento con le vicende al quale lo si vuole riconnettere, rinnovandone l’attualità. Diversamente, il pubblico ed improprio legame tra le due informazioni si risolve in un’illecita lesione del diritto alla riservatezza, mancando la con-creta proporzionalità tra la causa di giustificazione (il diritto di cronaca) e la lesione del diritto antagoniste. Emerge dalla giurisprudenza di legittimità, la necessità della mancanza nella notizia di un duplice requisito per l’esercizio del diritto all’oblio: la pertinen-za logica (contestualizzazione del contenuto che dev’essere legato alla vicenda cui lo si vuole riconnettere) e temporale (attualità dell’interesse alla notizia). Nel caso trattato dalla pronuncia del 2013, la notizia non ha superato questo duplice scrutinio, proprio perché si riferiva al ritrovamento di armi in una zona in cui risiedeva un ex terrorista che da anni aveva ab-bandonato la lotta armata (pertinenza temporale) e che non era coinvolto nella vicenda (pertinenza logica).
In questo contesto va riconosciuta un’assoluta novità alla pronuncia della Suprema Corte del 24 giugno 2016, n. 13161, perché per la prima volta si dissocia l’elemento della pertinenza temporale da quello del-la pertinenza logica dando rilievo unicamente a quest’ultima. La fattispecie riguardava il caso di un ristorante pubblicizzato su una pagina online di promozione turistica. Ciascuna pagina dell’opuscolo con-teneva la descrizione del locale e i link di riferimento nonché eventuali recensioni. Tuttavia nello spazio web dedicato all’esercizio commercia-le, unitamente alle consuete indicazioni turistiche, si abbinava il link alla notizia di cronaca giudiziaria riportante l’episodio dell’avvenuta rissa nel medesimo locale per cui era ancora in corso un procedimento penale. a Cassazione, investita della richiesta del titolare di eliminazione del-la notizia dalla pagina web e dal motore di ricerca, ha accolto la domanda, applicando unicamente il principio della pertinenza logica dissociato da quello della pertinenza temporale (avendo la notizia ancora attuali-tà, essendo ancora in corso un procedimento penale), riconoscendo, pertanto, il diritto al delisting del ristoratore sebbene il procedimento penale per la rissa fosse ancora in itinere.
Diritto all’oblio: La giurisprudenza comunitaria
Le tematiche connesse al diritto all’oblio sono state esaminate anche dalla giurisprudenza comunitaria. Particolarmente significativa è la sentenza 13 maggio 2014 (in causa C-131/12 Google Spain) con la quale la Corte di giustizia dell’Unione europea esamina una vicenda che aveva ad oggetto il problema dell’accesso ai dati esistenti sulla rete internet alla luce dell’allora vigente direttiva 95/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, poi abrogata dal Regolamento 2016/679/UE. In particolare, la terza questione esaminata (punti 89 e ss.) riguardava il diritto dell’interessato ad ottenere che il motore di ricerca sopprimesse determinati dati dall’elenco dei risultati reperibili sulla rete. La Corte di giustizia ha premesso (punto 92) che il trattamento dei dati personali può risultare incompatibile con l’art. 12, lett. b), della direttiva non soltanto se i dati sono inesatti, ma anche se essi sono inadeguati, non pertinenti o eccessivi in rapporto alle finalità del trattamento, oppure non aggiornati o conservati per un arco di tempo superiore a quello necessario, «a meno che la loro conservazione non si imponga per motivi storici, statistici o scientifici». Ha altresì affermato la Corte che il diritto dell’interessato, derivante dagli artt. 7 e 8 della Carta, a chiedere «che l’informazione in questione non venga più messa a disposizione del grande pubblico» mediante la sua inclusione in un elenco accessibile tramite internet prevale, in linea di massima, sull’interesse economico del gestore del motore di ricerca ed anche su quello del pubblico a reperire tale informazione in rete; a meno che non risultino ragioni particolari, «come il ruolo ricoperto da tale persona nella vita pubblica», tali da rendere preponderante e giustificato l’interesse del pubblico ad avere accesso a tale informazione (punto 97). Risolvendo il caso specifico – nel quale l’attore aveva chiesto l’eliminazione del dato che collegava la sua persona ad un pignoramento effettuato per la riscossione coattiva di crediti previdenziali – la Corte ha affermato che sussisteva il diritto alla soppressione dei link corrispondenti esistenti nella rete, in quanto anche in considerazione del lungo lasso di tempo trascorso (sedici anni dalla pubblicazione originaria), l’interessato aveva diritto a che quelle informazioni non fossero più collegate alla sua persona.
Diritto all’oblio: Il Diritto UE non impone al motore di ricerca l’obbligo di deindicizzazione a livello globale ma neppure lo vieta
Una successiva pronuncia della Corte di giustizia (24 settembre 2019, C-507/17) ha chiarito che il diritto UE (artt. 12, lett. b) e 14, comma 1, lett. a), direttiva 95/46 e art. 17, par. 1, Regolamento 2016/679) non impone al motore di ricerca l’obbligo di deindicizzazione a livello globale ma neppure lo vieta. Spetta all’autorità di controllo o al giudice stabilire la portata territoriale del diritto all’oblio caso per caso a seconda dei risultati del bilanciamento tra privacy e accesso all’informazione. Lungo tale crinale esegetico la giurisprudenza interna (Cass. 36458/2022) ha così stabilito che la tutela spettante all’interessato consente alle autorità italiane di ordinare al gestore di un motore di ricerca di effettuare una deindicizzazione su tutte le versioni, anche extraeuropee, del suddetto motore. A tal fine è necessario un previo bilanciamento tra il diritto della persona interessata alla tutela della sua vita privata e alla protezione dei suoi dati personali e il diritto alla libertà di informazione, da operarsi secondo gli standard di protezione dell’ordinamento italiano.
Diritto all’oblio: Per la Corte Edu (25-11-2021) l’obbligo di deindicizzazione grava innanzitutto sull’editore digitale
In merito al soggetto chiamato a procedere alla deindicizzazione, la Corte Edu (I Sez. del 25 novembre 2021, Biancardi c. Italia), ha chiarito che tale obbligo non è imposto solo ai motori di ricerca ma anche agli editori digitali. Anzi, la pronuncia, più o meno consapevolmente, ha rovesciato la prospettiva tracciata dalla giurisprudenza eurounitaria inaugurando un nuovo corso dell’applicazione del diritto all’oblio che vede nell’editore il primo diretto responsabile verso i diritti privacy dell’interessato.
Diritto all’oblio: Le diverse sfaccettature del diritto all’oblio
Come risulta dalla tracciata panoramica della giurisprudenza nazionale, comunitaria e convenzionale, e come è stato illustrato con chiarezza anche dalla dottrina, quando si parla di diritto all’oblio ci si riferisce, in realtà, ad almeno tre differenti situazioni: a) quella di chi desidera non vedere nuovamente pubblicate notizie relative a vicende, in passato legittimamente diffuse, quando è trascorso un certo tempo tra la prima e la seconda pubblicazione; b) quella, connessa all’uso di internet ed alla reperibilità delle notizie nella rete, consistente nell’esigenza di collocare la pubblicazione, avvenuta legittimamente molti anni prima, nel contesto attuale (è il caso della sent. 5525/2012); c) e quella, infine, trattata nella citata sentenza Google Spain della Corte di giustizia dell’Unione europea, nella quale l’interessato fa valere il diritto alla cancellazione dei dati.
Diritto all’oblio: Cass. S.U. 19681/2019
Con riferimento alla prima delle suddescritte situazioni merita segnalare un arresto delle Sezioni Unite (19681/2019), che si sofferma sul rapporto tra il diritto all’oblio e il diritto alla rievocazione storica di fatti e vicende concernenti eventi del passato (da distinguere dal diritto di cronaca che per definizione attiene a fatti cronologicamente non distanti, salva l’ipotesi in cui intervengano elementi nuovi in relazione ai quali la notizia del passato ritorni di attualità, di modo che diffonderla nel momento presente rappresenti ancora una manifestazione del diritto di cronaca; cfr. Cass. 3679/1998). Ad avviso delle Sezioni Unite, il giudice di merito – ferma restando la libertà della scelta editoriale in ordine alla rievocazione storica, che è espressione della libertà di stampa e di informazione protetta e garantita dall’art. 21 Cost. – ha il compito di valutare l’interesse pubblico, concreto ed attuale alla menzione degli elementi identificativi delle persone che di quei fatti e di quelle vicende furono protagonisti. Tale menzione deve ritenersi lecita solo nell’ipotesi in cui si riferisca a personaggi che destino nel momento presente l’interesse della collettività, sia per ragioni di notorietà che per il ruolo pubblico rivestito; in caso contrario, prevale il diritto degli interessati alla riservatezza rispetto ad avvenimenti del passato che li feriscano nella dignità e nell’onore e dei quali si sia ormai spenta la memoria collettiva (nella specie, un omicidio avvenuto ventisette anni prima, il cui responsabile aveva scontato la relativa pena detentiva, reinserendosi poi positivamente nel contesto sociale).
Diritto all’oblio: La riforma Cartabia positivizza il diritto alla deindicizzazione per le condanne penali
Per venire incontro a queste legittime richieste, il legislatore con il D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 (di attuazione della riforma Cartabia, che ha introdotto l’art. 64ter delle disposizioni attuative del codice di procedura penale) ha sancito il diritto all’oblio degli imputati e delle persone sottoposte a indagini: la persona nei cui confronti sono stati pronunciati una sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere ovvero un provvedimento di archiviazione può, infatti, richiedere che sia preclusa l’indicizzazione o che sia disposta la deindicizzazione, sulla rete internet, dei dati personali riportati nella sentenza o nel provvedimento, ai sensi e nei limiti dell’art. 17 del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016.
Diritto all’oblio: La Corte Edu 25-11-2021 traccia ulteriori criteri da seguire per la deindicizzazione
Ulteriori criteri da seguire per la deindicizzazione sono stati tracciati dalla richiamata decisione della Corte Edu del 25 novembre 2021: (i) il periodo di tempo in cui l’articolo è stato conservato online, in particolare alla luce delle finalità per le quali i dati sono stati originariamente trattati (nel caso di specie nonostante la richiesta di rimozione di un articolo da internet, lo stesso è rimasto online e facilmente accessibile per otto mesi); (ii) la sensibilità dei dati di cui trattasi (nel caso di specie si trattava di un procedimento penale in cui era rimasto coinvolto l’interessato); (iii) la gravità della sanzione inflitta all’editore digitale (nel caso di specie il ricorrente è stato ritenuto responsabile in base al diritto civile e non penale e per una somma non ritenuta eccessiva). Alla luce di queste indicazioni la Corte, rispetto al caso di specie, ha ritenuto che la constatazione da parte delle giurisdizioni nazionali che il ricorrente ha violato il diritto al rispetto della reputazione dell’interessato in virtù della continua presenza su Internet dell’articolo impugnato e della sua mancata deindicizzazione costituisca una restrizione giustificabile della sua libertà di espressione.
Diritto all’oblio: Il regolamento UE 2016/679
Con riferimento, infine, alle due ulteriori manifestazioni del diritto all’oblio sopra indicate sub b) e c), occorre richiamare il Regolamento UE 2016/679.
In particolar modo il considerando 65 dispone che l’interessato dovrebbe avere il diritto di ottenere la rettifica dei dati personali che lo riguardano e il «diritto all’oblio» se la conservazione di tali dati violi lo stesso regola-mento o il diritto dell’Unione o degli Stati membri cui è soggetto il titolare del trattamento. In particolare, l’interessato dovrebbe avere il diritto di chiedere che siano cancellati e non più sottoposti a trattamento i propri dati perso-nali che non siano più necessari per le finalità per le quali sono stati raccolti o altrimenti trattati, quando abbia ritirato il proprio consenso o si sia opposto al trattamento dei dati personali che lo riguardano o quando il trattamento dei suoi dati personali non sia altrimenti conforme al regolamento.
Tale diritto, tuttavia, non è assoluto.
Il considerando, infatti, specifica che va considerata lecita l’ulteriore conservazione dei dati personali qualora sia necessaria per esercitare il diritto alla libertà di espressione e di informazione, per adempiere un obbligo legale, per eseguire un compito di interesse pubblico o nell’e-sercizio di pubblici poteri di cui è investito il titolare del trattamento, per motivi di interesse pubblico nel settore della sanità pubblica, a fini di archiviazione nel pubblico interesse, di ricerca scientifica o storica o a fini statistici, ovvero per accertare, esercitare o difendere un diritto in sede giudiziaria.
Il considerando 66, invece, si occupa di regolare l’esercizio del diritto con riferimento alle notizie veicolate tramite internet. A tal fine si precisa che per rafforzare il «diritto all’oblio» in tale contesto, è opportuno che il di-ritto di cancellazione sia esteso in modo tale da obbligare il titolare del trattamento che ha pubblicato dati personali a informare altri titolari del trattamento che trattano tali dati personali di cancellare qualsiasi link verso tali dati personali o copia o riproduzione di detti dati personali. Nel fare ciò, è opportuno che il titolare del trattamento adotti misure ragionevoli tenendo conto della tecnologia disponibile e dei mezzi a disposizione del titolare del trattamento, comprese misure tecniche, per informare della ri-chiesta dell’interessato i titolari del trattamento che trattano i dati personali.