Con una recente pronuncia, sent. 10 luglio 2023, n. 139, la Corte Costituzionale è tornata a ribadire il ruolo del giudice di merito nella verifica dell’offensività in concreto del reato, in relazione alla fattispecie contravvenzionale di cui all’art. 4, L. 110/1974, c.d. legge armi (armi improprie e offensività).
Occorre premettere che l’art. 4 cit. vieta, al comma 1, il porto senza autorizzazione, fuori della propria abitazione ovvero delle relative pertinenze, di armi, mazze ferrate o bastoni ferrati, sfollagente, noccoliere, storditori elettrici e altri apparecchi analoghi in grado di erogare una elettrocuzione.
Ai sensi del comma 2, è fatto altresì divieto di portare, senza giustificato motivo, fuori della propria abitazione o delle relative pertinenze, bastoni muniti di puntale acuminato, strumenti da punta o da taglio atti ad offendere, mazze, tubi, catene, fionde, bulloni, sfere metalliche. All’elenco si aggiungono inoltre gli strumenti cc.dd. “softair”, vendibili solo ai maggiori di sedici anni, in grado di sparare pallini in plastica, di colore vivo, per mezzo di aria o gas compresso, purché l’energia del singolo pallino, misurata ad un metro dalla volata, non sia superiore ad 1 joule, oltre ai puntatori laser dotati di una certa potenza. Alle armi improprie cc.dd. nominate, si aggiungono quelle cc.dd. innominate, consistenti in “qualsiasi altro strumento non considerato espressamente come arma da punta o da taglio, chiaramente utilizzabile, per le circostanze di tempo e di luogo, per l’offesa alla persona”.
In quest’ultimo caso, la punibilità del porto ingiustificato, fuori della propria abitazione o delle pertinenze di essa, è imperniata su una “clausola di offensività”, dal momento che non è sufficiente l’assenza di un giustificato motivo m occorre “altresì, che le circostanze spazio-temporali in cui il porto avviene rendano concreto il pericolo che l’agente si avvalga dell’oggetto in chiave aggressiva” (Cass. I, 51946/2019). Come evidenziato dalla Corte Costituzionale, che richiama in tal senso la giurisprudenza di legittimità, “l’avverbio «chiaramente» sta, infatti, a significare che deve esservi un collegamento non meramente ipotetico tra l’oggetto, non destinato naturalmente all’offesa e spesso di uso comune, e la sua utilizzazione per procurare lesioni”.
In relazione alla contravvenzione che punisce la violazione del divieto di cui al comma 2, il giudice a quo ha sollevato questione di legittimità costituzionale nella parte in cui, relativamente al porto di armi improprie cc.dd. nominate (come espressamente elencate dalla norma), il legislatore non richiede, ai fini della punibilità del fatto, “la sussistenza di circostanze di tempo e luogo dimostrative del pericolo di offesa alla persona”.
Tra i parametri di legittimità costituzionale viene invocato il principio di offensività, ricondotto all’art. 25, comma 2, Cost., che si assume violato nella sua accezione in astratto, in quanto “l’incriminazione sarebbe basata su una presunzione assoluta di pericolo per l’ordine pubblico non rispondente all’id quod plerumque accidit”; nonché nella sua accezione in concreto, “giacché la formulazione complessiva dell’art. 4, comma 2, della L. 110/1975 impedirebbe al giudice di verificare la concreta idoneità della condotta a porre il bene giuridico protetto in una effettiva situazione di rischio”.
La Corte Costituzionale ha rigettato la questione di legittimità costituzionale per violazione del principio di offensività, osservando – in relazione all’accezione in astratto del principio richiamato – che la presunzione di pericolo sottesa alla norma incriminatrice non può essere ritenuta irrazionale o arbitraria, tenuto conto della natura degli strumenti “nominati” cui essa fa riferimento.
Si tratta di strumenti selezionati dal legislatore in ragione della particolare attitudine lesiva, legata alle loro caratteristiche intrinseche (quanto agli strumenti da punta o da taglio), o alla frequenza del loro impiego per usi distorti, in base all’esperienza, rispetto ai quali è altresì richiesto il difetto di una giustificazione del loro porto fuori dell’abitazione o delle sue appartenenze, condotta questa connotata da un maggior coefficiente di pericolosità.
Secondo la Consulta, si tratta quindi di oggetti che “in base a regole di esperienza, presentano un significativo rischio di poter essere utilizzati in modo illecito: anziché attendere che l’agente tenti di commettere un reato con lo strumento in suo possesso, non può ritenersi arbitrario che il diritto penale intervenga in una fase precedente per prevenire tale rischio”.
Con riferimento invece alla dedotta violazione del principio di offensività in concreto, la Corte ha disatteso l’interpretazione da cui muove il giudice a quo, osservando che, sebbene il tenore letterale della disposizione escluda che, in relazione al porto di strumenti “nominati”, si debba accertare una situazione di pericolo concreto di impiego dello strumento per l’offesa, alla luce delle circostanze di tempo e di luogo (come invece per gli strumenti “innominati”), è tuttavia possibile escludere la punibilità di fatti pure corrispondenti alla formulazione della norma incriminatrice, “quando alla luce delle circostanze concrete manchi ogni (ragionevole) possibilità di produzione del danno”.
Viene cioè richiesto un controllo in negativo, volto cioè a verificare la mancanza di qualsivoglia possibilità di offesa, e non già – come nei reati di pericolo concreto – la sussistenza di una probabilità di ledere il bene giuridico tutelato (pericolo in concreto).
Soffermandosi sui criteri adoperabili da parte del giudice, la Corte indica le caratteristiche dell’oggetto, anche se di per sé rispondente alla definizione legislativa, oltre alle condizioni spazio-temporali del porto, qualora esse dimostrino l’inesistenza di qualsiasi (apprezzabile) pericolo di tale utilizzazione.
Armi improprie e offensività: *Contributo estratto dal Manuale Ragionato di diritto penale Parte Generale di Francesco Caringella e Angelo Salerno- Dike Giuridica 2023 – Armi improprie e offensività in concreto: le “clausole di offensività espressa” pag. 418 e ss.