Dike giuridica, Istituti e sentenze commentate

La condotta*

Tra gli elementi costitutivi o essenziali va innanzitutto presa in considerazione la condotta. Essa costituisce il requisito fondamentale dell’illecito penale in quanto, secondo il principio di materialità, è necessario che l’uomo commetta un fatto conforme alla fattispecie criminosa, materialmente percepibile dall’esterno ed offensivo dei beni o degli interessi protetti dall’ordinamento. Tuttavia, allorquando si tratta di definire in che cosa consista il comportamento penalmente rilevante nascono rilevanti difficoltà. Infatti, sebbene sia agevole avvertire sul piano empirico la condotta, è difficile darne una nozione esaustiva. Si corre il rischio, da un lato, di elaborare una definizione che, volendo essere comprensiva di ogni forma di illecito penale (commissivo ed omissivo, doloso e colposo), finisce con l’essere tanto generica da perdere un concreto significato e, dall’altro, di rinunciare a fornire un concetto superiore di genere nella consapevolezza che sia più agevole una scomposizione quadripartita della stessa in commissiva, omissiva, dolosa e colposa.

Ciononostante, fin dall’ottocento è stata avvertita dagli studiosi l’esigenza di creare un concetto pregiuridico unitario che svolga la triplice funzione: dogmatico-applicativa, ossia di individuazione di un concetto unitario ed individuale di condotta nell’ambito della serie ininterrotta dei movimenti corporei attribuibili all’uomo; classificatoria, capace di riunire in un unico genus comportamenti ontologicamente diversi (attivi ed omissivi, dolosi e colposi); limitativa o negativa, capace di stabilire a priori quali siano i comportamenti penalmente irrilevanti.

 La letteratura in argomento ci insegna le non poche difficoltà incontrate da chiunque abbia cercato di elaborare una nozione di condotta. Tutte quante le varie nozioni, invero, si sono rivelate ad un più attento esame parziali e non esaustive. Insoddisfacente si è dimostrata la teoria hegeliana che definisce la condotta come “volontà che si realizza” esteriormente. Essa, pur meritevole di menzione per aver dato cittadinanza ai principi di materialità e soggettività, manifesta il triplice limite di non essere capace di comprendere il tentativo, la colpa e l’omissione.

Altrettanto, dicasi della teoria naturalistica (o causale), secondo cui la condotta consiste in un “movimento corporeo cagionato dalla volontà”. Infatti, sebbene capace di abbracciare tanto il delitto perfetto quanto quello tentato, tale tesi è inidonea a comprendere sia le condotte omissive che quelle colpose. Sulla stessa scia si pone la teoria finalistica dell’azione la quale, facendo confluire l’elemento psicologico del reato nella materialità della condotta, ritiene che quest’ultima si sostanzi in un’“attività finalisticamente rivolta alla realizzazione dell’evento tipico”.

È evidente che tale definizione, riproduttiva per eccellenza della condotta commissiva dolosa, dimostri la propria inattitudine a comprendere le diverse ipotesi omissiva e colposa dovendo ricorrere, a tal uopo, ad un inammissibile concetto di “finalità potenziale”. Capace di comprendere tutti i tipi di condotta si manifesta la teoria sociale, secondo cui è condotta “ogni comportamento socialmente rilevante”. Il difetto di questa tesi, effettivamente comprensiva di tutti i comportamenti (commissivi, omissivi, dolosi o colposi), sta nella mancanza di capacità delimitativa, non essendo sufficientemente descrittiva dei caratteri necessari della condotta.

All’opposto della suddetta teoria finalistica si pone, invece, la teoria negativa che ritiene di definire la condotta come “non evitare l’evitabile”. Essa sembra cucita sull’abito del reato omissivo, ma si presenta non soddisfacente con riguardo a tutte le altre forme di reato. Da ultimo, è stata prospettata anche un’innovativa teoria della personalità che, per l’appunto, concepisce la condotta come “manifestazione della personalità”. La stessa appare non solo troppo evanescente ma anche riecheggiante il diritto penale del tipo d’autore, con tutte le conseguenze non condivisibili in termini di responsabilità di posizione[1].

Le considerazioni critiche che si appuntano su ciascuna delle teorie fin qui tratteggiate, evidenziano la accennate difficoltà di fornire una definizione generale di condotta, inducendo parte della dottrina a ritenere non praticabile la strada di una nozione di condotta capace di ricomprendere tutte le possibili forme dell’estrinsecarsi dell’operare umano (attive e omissive, dolose e colpose), anche perché insuperabile è il dato per cui l’azione è obiettivamente rilevabile, mentre l’omissione non ha consistenza naturalistica.

Ecco perché alcuni autori, muovendo dalla convinzione che non si possa elaborare un concetto unitario di comportamento penalmente rilevante, in grado di descrivere compiutamente il fare e l’omettere, il fare e l’omettere doloso, il fare e l’omettere colposo, rinunciano ad una teoria generale della condotta e prediligono l’esame quadripartito, analizzando singolarmente il reato commissivo doloso, quello commissivo colposo, quello omissivo doloso ed il reato omissivo colposo, di modo da verificare con riguardo a ciascuna di tale tipologia di reato le caratteristiche del comportamento umano penalmente rilevante. Questo approccio determina inevitabilmente sul piano didattico l’esame settoriale di ciascuna delle quattro tipologie indicate[2].

Si tratta di un metodo di analisi non seguito da altra dottrina che, pur condividendone sostanzialmente i rilievi scientifici da cui muove, ritiene che determini una frammentazione eccessiva dal punto di vista sistematico ed un appesantimento dal punto di vista dell’economia espositiva per gli inevitabili richiami e ripetizioni. Ecco perché, per attualizzare la suddetta funzione classificatoria del concetto di condotta, nel senso di rappresentare il fatto che la condotta attiva o omissiva e dolosa o colposa costituiscono estrinsecazione dell’uomo nel mondo sociale, si ritiene preferibile seguire la distinzione classica tra elemento oggettivo ed elemento soggettivo, trattando una sola volta gli aspetti (oggettivi e soggettivi) che vi sono in tutti i tipi di reato ed evidenziando adeguatamente le differenziazioni tra reato commissivo e reato omissivo rispetto ai singoli punti di divergenza (come soprattutto la causalità, l’elemento psicologico, il tentativo o il concorso di persone)[3].

 In questa prospettiva, nell’esaminare la condotta si è scelto di seguire l’insegnamento tradizionale della scuola di pensiero bipartita, che suddivide l’analisi di tale parte dell’elemento materiale del reato in azione ed omissione. Sotto tale profilo i reati si distinguono in commissivi, poiché sorretti da un’azione, ed omissivi, poiché sorretti da un contegno omissivo. Tradizionalmente, si afferma che i primi si caratterizzano per la violazione di un precetto penale che contiene un divieto (cioè un obbligo di non fare), mentre i secondi, si connotano per la violazione di precetto penale che contiene un comando (cioè un obbligo di attivarsi).

 Peraltro, ben può accadere che una norma preveda che il reato possa essere commesso alternativamente mediante un contegno commissivo ovvero tenendo un contegno omissivo. Si parla, al riguardo, di reati a condotta mista, proprio per il fatto che si perfezionano indifferentemente con il compimento di un’azione ovvero di un’omissione, con la conseguenza che si è in presenza di distinte figure di reato, una attiva e l’altra omissiva (si veda, ad esempio, la struttura del reato di cui all’art. 316ter c.p., che prevede varie fattispecie delittuose alcune attive, altre omissive tra loro alternative).

Vi sono, poi, i reati che postulano, per perfezionarsi, la presenza contestuale di un’azione e di un’omissione. Anche in tal caso si parla di reati a condotta mista, che si differenziano da quelli già descritti per il fatto che l’azione e l’omissione devono coesistere e non essere alternative, nel qual caso si avrà, quindi, un solo reato (si pensi, ad esempio, al reato di cui all’art. 707 c.p. in cui al contegno positivo del possesso deve seguire quello omissivo della mancata giustificazione della destinazione dell’oggetto).

Talvolta la norma incriminatrice dà rilevanza a determinate situazioni di fatto e di diritto che devono preesistere alla condotta. Tali situazioni vengono definite presupposti della condotta, la cui presenza è necessaria affinché il reato possa venire ad esistenza, anche se non rientrano nella struttura del reato stricto sensu intesa, sicché non fanno parte degli elementi costitutivi di cui si è detto. Esse costituiscono, pertanto, una premessa fondamentale della condotta, in quanto antecedenti logici necessari della stessa.

Si pensi, tra le situazioni di fatto, allo stato di gravidanza senza il quale il delitto di aborto (art. 18, L. 22 maggio 1978, n. 194) non sarebbe neppure naturalisticamente concepibile o alla sussistenza del reato c.d. presupposto nei reati di favoreggiamento personale (art. 378 c.p.) e reale (art. 379 c.p.), ovvero, tra le situazioni di diritto, alla sentenza dichiarativa di fallimento nei reati di bancarotta postfallimetare, cioè di quei fatti di bancarotta commessi dopo la pronuncia della suddetta sentenza (art. 216, comma 2, del R.D. 16 marzo 1942, n. 267).

Tra i presupposti della condotta va menzionata anche la situazione di pericolo nei reati omissivi propri (come nell’omissione di soccorso ex art. 593 c.p.) in assenza della quale l’inerzia del soggetto agente è priva di qualsiasi rilevanza dal punto di vista penalistico (si veda, quanto si dirà infra sui reati omissivi propri).

La categoria dei presupposti della condotta acquista rilevanza pratica sotto il profilo dell’elemento soggettivo. Infatti, pur essendo anch’essi oggetto del dolo, tuttavia, in quanto del tutto indipendenti dalla condotta del reo, possono essere da lui soltanto conosciuti e non anche voluti (si veda, Parte II, Cap. 5, Sez. V, §2).

 I presupposti della condotta si differenziano dalle qualità del soggetto attivo nei reati c.d. propri, poiché, pur essendo la qualità una situazione che deve preesistere alla condotta, si tratta di elementi costitutivi del reato, che devono sussistere perché si abbia l’offesa a quel determinato bene giuridico, ossia il reato stesso (in caso di reati propri ed esclusivi) ovvero quel determinato reato e non il corrispondente reato comune (in caso di reati propri ma non esclusivi).

 I presupposti della condotta vanno tenuti distinti anche rispetto alle condizioni obiettive di punibilità che attengono, appunto, alla punibilità, che, secondo la tesi ormai più accreditata è un posterius del reato. Difatti, le condizioni in questione hanno la funzione di subordinare, per ragioni di opportunità di volta in volta fatte valere dal legislatore, la punibilità pur essendosi in presenza di un fatto tipico, che integra, cioè, perfettamente gli elementi oggettivo e soggettivo del reato soggetto alla condizione medesima (si pensi al pubblico scandalo nell’incesto).

Essendo estranee alla materialità del reato le condizioni di punibilità, a differenza dei presupposti della condotta che, come si vedrà tra breve, devono essere conosciuti, sono al di fuori del fuoco del dolo, sia sotto il profilo della rappresentazione che della volontà (art. 44 c.p.).

Non sempre, peraltro, è agevole distinguere tra condizioni obiettive di punibilità ed elementi costitutivi del reato, nel senso che vi sono degli accadimenti contemplati da alcune norme incriminatrici che non è facile stabilire se siano condizioni obiettive ovvero di elementi costitutivi, con intuibili ricadute sul momento e sul luogo in cui il reato si consuma, nonché sull’oggetto del dolo (sulle condizioni obiettive di punibilità, si veda, Parte II, Cap. 5, Sez. X, §3.9).


[1] Per una trattazione esaustiva delle varie teorie riportate, si veda, Romano, Commentario sistematico del codice penale, I, 1995, art. 42, 419.

[2] In questo senso, tra gli altri, Fiandaca-Musco, Manuale di diritto penale. Parte generale, Bologna, 2007, 205 e ss.

[3] Seguono tale impostazione, tra gli altri, Mantovani, op. cit., 132 e ss., nonché Antolisei, op. cit., 220 e ss., e Caraccioli, Manuale di Diritto Penale, Milano, 2005, 231 e ss.

*Contributo estratto dal “Manuale di diritto penale” di Francesco Caringella, Francesca Della Valle, Alessandro Trinci – XIII edizione – Dike giuridica editrice – Marzo 2025