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Il ricorso nel processo tributario*

Il processo tributario si introduce con il ricorso alla Corte di giustizia tributaria di primo grado.

Il ricorso deve contenere l’indicazione:

a)  della Corte di giustizia tributaria di primo e secondo grado cui è destinato;

b)  del ricorrente e del suo legale rappresentante, della relativa residenza o sede legale o del domicilio eventualmente eletto nel territorio dello Stato, nonché del codice fiscale e dell’indirizzo di posta elettronica certificata;

c)  dell’ufficio nei cui confronti il ricorso è proposto;

d)  dell’atto impugnato e dell’oggetto della domanda;

e)  dei motivi.

Il ricorso deve essere sottoscritto dal difensore e contenere l’indicazione:

–   della categoria di cui all’art. 12 alla quale appartiene il difensore;

–   dell’incarico a norma dell’art. 12, comma 7, salvo che il ricorso non sia sottoscritto personalmente;

–   dell’indirizzo di posta elettronica certificata del difensore.

Il ricorso è inammissibile se manca o è assolutamente incerta una delle indicazioni di cui alle lett. a), b), c), d), e), ad eccezione di quella relativa al codice fiscale e all’indirizzo di posta elettronica certificata, o non è sottoscritto dal difensore o dalla parte personalmente.

Esaminiamo la casistica giurisprudenziale.

Il ricorso nel processo tributario:      le parti

Secondo quanto affermato dalla Corte di Cassazione – con riguardo al ricorso per cassazione, ma affermando un principio applicabile anche all’impugnazione nel processo tributario – ai fini della sussistenza del requisito della indicazione delle parti prescritto, a pena di inammissibilità, non è richiesta alcuna forma speciale, essendo sufficiente che le parti medesime, pur non indicate, o erroneamente indicate, nell’epigrafe del ricorso, siano con certezza identificabili dal contesto del ricorso stesso, dalla sentenza impugnata, ovvero da atti delle pregresse fasi del giudizio, sicché l’inammissibilità del ricorso è determinata soltanto dall’incertezza assoluta che residui in esito all’esame di tali atti (Cass., sez. 5, 57/2005; conf. sez. 2, 1989/2016; cfr. sez. 1, 7551/2005; sez. 2, 3737/2006).

Non è, infatti, a tal fine necessario che le relative indicazioni siano premesse all’esposizione dei motivi di impugnazione o siano altrove esplicitamente formulate, essendo sufficiente, analogamente a quanto previsto dall’art. 164 c.p.c., che esse risultino in modo chiaro e inequivoco (e non, dunque, ingannevole), anche se implicitamente, dal contesto del ricorso nonché dal riferimento ad atti dei precedenti gradi di giudizio, da cui sia agevole identificare con certezza la parte intimata (Cass., sez. 2, 19286/2009; conf. sez. 6-2, 22046/2013; cfr. sez. 3, 18512/2007 e ord. 19156/2010; cfr. sez. 5, 11475/2009, con riguardo, in tema di contenzioso tributario, all’indicazione prevista a pena di inammissibilità dal D.Lgs. 546/1992, art. 18).

Il ricorso nel processo tributario:      l’oggetto

Con riguardo ai motivi, il ricorso è inammissibile allorché sussista incertezza assoluta sull’oggetto della controversia (cfr. Cass. ord. 6 febbraio 2020, n. 2843), ai sensi dell’art. 18, punto 1, lett. d), D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546.

Costituisce, infatti, principio generale che l’onere di specificazione, pur sottolineando il carattere non formalistico di tale disposizione, deve quantomeno consentire al giudice di rendersi conto di quanto sia sottoposto al suo giudizio, onde poter valutare ogni questione (cfr. Cass. ord. 6 febbraio 2020, n. 2843; sent. 23719/2013).

Si deve precisare che, in situazione di incertezza, è demandato al giudicante in primo luogo il compito di individuare il petitum attraverso un esame complessivo dell’atto, esteso anche alla parte espositiva (cfr. Cass. 17991/2018) e che, inoltre, l’art. 18, comma 4, del D.Lgs. 546/1992 deve essere interpretato restrittivamente, al fine di salvaguardare la funzione di garanzia propria del processo, e di limitare al massimo l’operatività di irragionevoli sanzioni in danno delle parti, in armonia con un sistema processuale che deve garantire la tutela delle parti in posizione di parità, evitando irragionevoli sanzioni di inammissibilità che si risolvano a danno del soggetto che si intende tutelare (cfr. Cass. 189/2000; 520/2002: 20617/2019; ord. 4565/2020; ord. 12134/2019).

Pertanto, quando il contribuente non abbia dedotto specifici motivi a sostegno delle ragioni di rimborso vantate, il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado si presenta carente del requisito previsto dal D.Lgs. 546/1992, art. 18, comma 1, lett. e), per difetto di specificità dei motivi di doglianza e, quindi, è inammissibile.

Il vizio di inammissibilità è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, ai sensi del D.Lgs. 546/1992, art. 22.

Al riguardo, la Suprema Corte (Cass., sez. trib., 31 luglio 2019, n. 20617) ha ritenuto carente sul piano della specificità e, quindi, inammissibile il motivo con il quale, a fronte delle numerose modifiche apportate negli anni all’art. 25 del D.P.R. 602/1973, il contribuente eccepiva la decadenza senza indicare, come invece avrebbe dovuto, per ciascuna delle molteplici cartelle impugnate sia la data di notifica che quella di consegna del ruolo per consentire l’individuazione del regime normativo applicabile in base al noto principio “tempus regit actum”, onde verificare il rispetto dei termini di decadenza temporalmente applicabili.

Il ricorso nel processo tributario:      la sottoscrizione del ricorso

Secondo un orientamento consolidato della Suprema Corte, il difetto di sottoscrizione è causa di inesistenza dell’atto solo quando non sia desumibile da altri elementi, quali la sottoscrizione per autentica della firma della procura in calce o a margine dello stesso (ex multis, Cass. 31 luglio 2019, n. 20617).

Invero, il requisito della sottoscrizione è previsto anche dalla disciplina di cui all’art. 125 c.p.c. che, in riferimento agli atti di parte, prescrive che l’originale e le copie degli atti ivi indicati debbano essere sottoscritti dalla parte che sta in giudizio personalmente oppure dal procuratore.

Secondo un orientamento consolidato della Corte di Cassazione, la sottoscrizione è elemento indispensabile per la formazione dell’atto ed il suo difetto è causa di inesistenza soltanto quando non sia desumibile da altri elementi, quali la sottoscrizione per autentica della firma della procura in calce o a margine dello stesso (Cass. 1275/2011 in riferimento all’atto di appello; Cass. 8046/2006 in tema di domanda di ingiunzione; Cass. 5971/2014 e Cass. 2070/2008 in caso di ricorso tributario sottoscritto solo dalla parte; Cass. 9490/2007 in tema di ricorso per opposizione agli atti esecutivi).

Anche in riferimento al giudizio di legittimità si è precisato che la firma apposta dal difensore in calce o a margine del ricorso per cassazione ai fini dell’autenticazione della procura speciale vale anche quale sottoscrizione del ricorso, in quanto consente di attribuire al difensore che ha autenticato la sottoscrizione della procura speciale anche la paternità del ricorso stesso (Cass. 7443/2017 e 18491/2013).

Si tratta di pronunce ispirate dalla comune considerazione che se il totale difetto di sottoscrizione comporta l’inesistenza dell’atto, d’altra parte il precetto posto dal citato art. 125 c.p.c. può ritenersi osservato quando la provenienza dell’atto da un difensore munito di valido mandato sia desumibile da altri elementi indicati nell’atto stesso, come il conferimento della procura.

Si è, quindi, ritenuto (Cass. sez. lav., 11 agosto 1977, n. 3729; Cass., sez. 5, 22 novembre 2004, n. 2025; Cass. 6225/2005) che, nei casi in questione, l’inesistenza dell’atto introduttivo non sussiste poiché la sottoscrizione apposta dal difensore per certificare l’autenticità della firma di rilascio della procura alle liti, redatta in calce o a margine dell’atto stesso, assolve il duplice scopo di certificazione dell’autografia del mandato e di assunzione della paternità dell’atto.

In tema di processo tributario opera, poi, un altro fondamentale principio formulato dal giudice delle leggi (Corte cost. 13 giugno 2000, n. 189), in base al quale le disposizioni tributarie devono essere lette in armonia con i valori della tutela delle parti in posizione di parità, evitando irragionevoli sanzioni d’inammissibilità. È necessario, infatti, dare alle norme processuali in genere, ed a quelle sul processo tributario in particolare, una lettura che, nell’interesse generale, faccia bensì salva la funzione di garanzia che è istituzionalmente propria del processo e, però, consenta, per quanto possibile, di limitare al massimo l’operatività di irragionevoli sanzioni d’inammissibilità in danno delle parti che di quella garanzia dovrebbero giovarsi (vedi Cass. 18088/2004 e 23752/2015).

Si è così affermato (Cass., sez. 6, 30 marzo 2017, n. 8213) che in tema di processo tributario la mancata sottoscrizione della copia del ricorso consegnata o spedita per posta all’Amministrazione finanziaria ne comporta la mera irregolarità (e non l’inammissibilità) se l’originale, depositato nella segreteria della commissione tributaria, risulta sottoscritto.

Infatti, l’ipotesi di cui al D.Lgs. 546/1992, art. 18, comma 4, e art. 22, comma 2, non ricorre qualora un esemplare dell’atto rechi la firma autografa dell’autore, poiché il resistente è comunque in grado di verificare la sussistenza della sottoscrizione sull’originale prima della propria costituzione, il cui termine scade successivamente a quello stabilito per la costituzione del ricorrente (Cass., sez. 6-5, 17 novembre 2014, n. 24461).

Invero, le norme processuali che prevedono forme di inammissibilità devono essere interpretate restrittivamente, al fine di salvaguardare la funzione di garanzia propria del processo e limitare al massimo l’operatività di irragionevoli sanzioni in danno delle parti (Sez. 5, ord. 1° febbraio 2019, n. 3089 e 23752/2015).

Ed ancora, in tema di contenzioso tributario l’illeggibilità della sottoscrizione, da parte del ricorrente o del suo difensore, della copia del ricorso depositata presso la segreteria della commissione tributaria non ne determina l’inammissibilità, ma costituisce una mera irregolarità, atteso che il principio di effettività della tutela giurisdizionale impone d’interpretare in senso restrittivo le previsioni di inammissibilità (Cass., sez. 5, 9 agosto 2016, n. 16758).

La Corte di Cassazione (sez. 6, 30 marzo 2017, n. 8213) ha, del pari, ribadito il medesimo principio in tema di copie notificate non sottoscritte.

Interpretato restrittivamente il D.Lgs. 546/1992, art. 18, comma 4, va ribadito che anche per il ricorso alla Corte di giustizia tributaria la previsione d’inammissibilità deve conseguire solo laddove e nei limiti in cui la mancanza della sottoscrizione sia materiale e totale, e non quando tale elemento formale, la cui funzione è quella di costituire un nesso tra il testo ed il suo apparente autore, sia desumibile da altri elementi indicati nell’atto stesso.

[…]

*Contributo estratto dal Manuale del processo tributario di Maurizio Antonio Pasquale Francola – Dike Giuridica – Dicembre 2023