L’art. 17 D.Lgs. 36/2023 sostituisce la determinazione a contrarre con la decisione di contrarre. La scelta lessicale, invero, disvela la volontà del legislatore di introdurre dei cambiamenti sostanziali, utili anche a dissipare dei dubbi esegetici generati dalla previgente disciplina normativa.
Il Codice dei contratti pubblici del 2023 solo apparentemente ripropone il contenuto degli artt. 32 e 33 D.Lgs. 50/2016. L’art. 17, infatti, pur ribadendo che la decisione di contrarre costituisce al pari del suo “antecedente storico” l’atto prodromico alla successiva fase di aggiudicazione, implica una ridefinizione del ruolo del RUP e novità in tema di affidamento diretto.
Prima di procedere all’analisi dei profili innovativi soprarichiamati, è opportuno evidenziare che con l’atto in esame la stazione appaltante stabilisce gli elementi essenziali del contratto e i criteri di selezione degli operatori economici e delle offerte. L’utilizzo del verbo decidere appare, dunque, esprimere una maggiore responsabilizzazione del dirigente che avvia la procedura di affidamento dei contratti pubblici, che non si limita ad esternalizzare quanto stabilito in fase di programmazione, ma fissa le regole della conseguente aggiudicazione.
Ebbene, nonostante la decisione di contrarre mutui il contenuto della determinazione ex D.Lgs. 50/2016, si assiste a una ridefinizione della funzione Responsabile del Progetto; quest’ultimo, infatti, ai sensi dell’art. 6, comma 2 lett. c), dell’allegato I.2 decide i sistemi di affidamento dei lavori, servizi e forniture, la tipologia di contratto da stipulare, il criterio di aggiudicazione, quindi, dismettendo il ruolo meramente propositivo assegnatogli (rectius assegnato al Responsabile Unico del Procedimento) nel Codice del 2016 dalle linee guida ANAC n. 3.
Tale novella legislativa pone, invero, problemi applicativi laddove il RUP non coincida con il dirigente titolare del potere di spesa, che ai sensi dell’art. 192 TUEL ha la competenza per l’adozione della decisione di contrarre. La responsabilità gravante sulla predetta figura dirigenziale induce ad escludere che il suddetto debba o possa semplicemente accettare quanto stabilito dal RUP.
Appare, pertanto, ragionevole sostenere che la decisione di contrarre dovrà essere l’esito del confronto tra i soggetti sopra richiamati, il che, però, profila rilevanti interrogativi in caso di disaccordo. Non è, infatti, improbabile che il dirigente responsabile del servizio non condivida le conclusioni a cui è pervenuto il RUP, ad esempio con riferimento al tipo di procedura da utilizzare. In tale ipotesi è del tutto ragionevole che il dirigente, chiamato a sottoscrivere la decisione a contrarre, solleciti una nuova valutazione da parte del Responsabile Unico del Progetto o pretenda che questi motivi adeguatamente le proprie scelte.
Qualora il “contrasto” non sia sanabile, devono ritenersi prevalenti le determinazioni del dirigente titolare del potere di spesa, giacché, come sopra evidenziato, soggetto designato per la firma dell’atto in esame; coerentemente con quanto stabilito dall’art. 6, lett. e), L. 241/1990 in materia di responsabile del procedimento, l’organo dirigenziale deve, però, enucleare le ragioni di fatto e/o di diritto che inducono a discostarsi da quanto stabilito dal RUP.
È evidente, però, che l’attuale sistema normativo generi il rischio di “dequotare” la figura del Responsabile Unico del Progetto, rendendolo mero esecutore delle statuizioni dirigenziali; non è da escludere, pertanto, che la “distonia decisionale” possa nei casi più gravi giustificare la sostituzione del RUP.
Per quanto concerne, poi, l’affidamento diretto, è significativa l’elisione del verbo potere; mentre l’art. 32, comma 2, D.Lgs. 50/2016 recitava “[…] la stazione appaltante può procedere ad affidamento diretto tramite determina a contrarre […]”, l’art. 17 stabilisce che in caso di affidamento diretto la decisione a contrarre individua l’oggetto, l’importo, il contraente, unitamente alle ragioni della scelta.
È possibile, dunque, affermare che l’art. 17, comma 2, del nuovo Codice implica non un mero atto, bensì un provvedimento amministrativo; esso, infatti, non si limita a manifestare gli elementi contrattuali essenziali e i criteri di selezione delle offerte, ma sostanzia l’affidamento. Trattasi, dunque, di atto provvedimentale idoneo, da un lato, ad attribuire il bene vita anelato dall’affidatario, dall’altro, a ledere l’interesse legittimo degli altri operatori economici, il che comporta, naturalmente, la sua impugnabilità.
Significativa in tal senso è la relazione tecnica al Codice, in cui si osserva: “[…] L’esistenza di una norma specifica per l’affidamento diretto, contrapposta a quella di cui al comma 1 che riguarda le procedura, evidenzia che il primo non costituisce procedura”. Nella ipotesi in commento, dunque, si assiste a una assenza di procedura o, meglio, a un iter procedurale differente da quello tradizionale; le peculiarità dell’affidamento diretto, infatti, impongono di “elidere” l’ordinario iato temporale e sostanziale tra procedimento e provvedimento amministrativo.
Giova, infine, segnalare che l’art. 83, comma 3, D.Lgs. 36/2023, nel disciplinare le deroghe ai bandi tipo e la relativa motivazione, utilizza l’espressione “delibera a contrarre”, anziché decisione di contrarre, il che, però, delinea una differenza meramente lessicale e non sostanziale.