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Le spese processuali nel processo tributario*

La proposizione di un giudizio tributario implica due tipologie di costi che costituiscono le spese processuali: le spese vive (come ad esempio, il contributo unificato e le spese di notifica del ricorso) e le spese inerenti alla difesa tecnica (coincidenti con l’onorario da corrispondere al proprio difensore e ad eventuali ausiliari, come ad esempio, consulenti tecnici di parte).

Il giudice tributario deve pronunciarsi anche sulle spese processuali, decidendo a quale parte porle a carico in tutto o in parte ovvero se, eventualmente, compensarle per intero.

L’art. 15, D.Lgs. 546/1992 recepisce la regola generale della soccombenza, secondo cui la parte soccombente è condannata a rimborsare le spese del giudizio che sono liquidate con la sentenza.

La ratio della norma in esame risiede nel principio cardine di ogni forma di giustizia sostanziale secondo cui la necessità di ricorrere al giudice non deve tornare a danno di chi ha ragione, con la conseguenza logica che le spese del giudizio sostenute dalla parte vittoriosa vengano poste a carico della parte le cui ragioni vengano disconosciute e rigettate in tale sede.

Al riguardo occorre precisare che nel processo tributario, come in qualunque altro processo, opera il principio della c.d. soccombenza virtuale, secondo cui, in caso di definizione in rito del giudizio con una pronuncia di estinzione per cessazione della materia del contendere sopravvenuta in corso di causa, la ripartizione delle spese processuali verrà decisa dal giudice tributario tenendo conto dell’esito che avrebbe contraddistinto il ricorso se fosse stata possibile (e quindi se si fosse giunti ad) una decisione di merito.

L’art. 12, D.Lgs. 546/1992 prevede al comma 2 la possibilità di una compensazione totale o parziale soltanto in caso di soccombenza reciproca o qualora sussistano gravi ed eccezionali ragioni da espressamente indicare in motivazione.

Il testo appare conforme ai principi di diritto enunciati dalla Corte costituzionale nella sent. 19 aprile 2018, n. 77 con la quale è stata dichiarata l’illegittimità dell’art. 92 c.p.c. nella parte in cui non prevedeva che il giudice possa compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero, anche qualora sussistano altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni, oltre a quelle espressamente indicate e limitate alle sole ipotesi della soccombenza reciproca ovvero dell’assoluta novità della questione trattata o del mutamento della giurisprudenza rispetto a questioni dirimenti.

La compensazione totale implica che ognuna delle parti sopporta le spese anticipate e sostenute.

La compensazione parziale, invece, esonera la parte soccombente dalla rifusione delle spese processuali sostenute dalla controparte vittoriosa soltanto nella misura determinata dal giudice in una frazione o in una percentuale, mediante la formula “compensa per ¼ o per il 25% le spese processuali, ponendo la residua parte a carico di […], liquidandola nella misura di € […]”.

Da ricordare che secondo la giurisprudenza della Suprema Corte nel regime normativo posteriore alle modifiche introdotte all’art. 91 c.p.c. dalla L. 69/2009, in caso di accoglimento parziale della domanda il giudice può, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., compensare in tutto o in parte le spese sostenute dalla parte vittoriosa, ma questa non può essere condannata neppure parzialmente a rifondere le spese della controparte, nonostante l’esistenza di una soccombenza reciproca per la parte di domanda rigettata o per le altre domande respinte (Cass. 26918/2018).

Inoltre, (secondo Cass. 22381/2009) nel caso di unica domanda articolata in più capi dei quali alcuni vengano rigettati o di domanda unica accolta in misura inferiore al petitum, l’art. 92 c.p.c. consente al giudice di compensare le spese anche in caso di accoglimento parziale dell’unica domanda proposta, ravvisando in tale posizione la soccombenza parziale di cui all’art. 92 c.p.c., comma 2.

Peraltro, la possibilità che il giudice sussuma nei “giusti motivi” giustificativi della compensazione delle spese il caso dell’accoglimento parziale della domanda pur senza ricorrere alla nozione di soccombenza reciproca è stata considerata da Cass. 2653/1994, e più di recente da Cass. 22381/2009, secondo cui è possibile configurare la compensazione disposta dal giudice di merito in caso di accoglimento parziale come espressione del potere di compensazione per giusti motivi, senza che la Corte di Cassazione possa valutare la legittimità del ricorso alla compensazione delle spese, essa unicamente vigilando sull’impossibilità di procedere alla condanna alle spese nei confronti del soggetto totalmente vincitore della lite (ex plurimis, Cass. 17291/2021).

Anche nel processo tributario è, poi, applicabile la peculiare disciplina di cui all’art. 96, commi 1 e 3, c.p.c., secondo cui, rispettivamente:

a)  se risulta che la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, il giudice, su istanza dell’altra parte, la condanna, oltre che alle spese, al risarcimento dei danni, che liquida, anche di ufficio, nella sentenza;

b)  in ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’art. 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata.

La rifusione delle spese processuali deve essere distinta in due voci:

a)  quella delle spese vive, in cui vi rientra il rimborso del contributo unificato e le spese di notifica (in caso di vittoria del ricorrente tenuto ad anticiparle);

b)  quella degli onorari del difensore e degli eventuali ausiliari di parte incaricati.

Al riguardo occorre distinguere secondo che le spese siano liquidate in favore della parte ricorrente o della parte resistente.

8.1  Le spese processuali della parte ricorrente

Con riguardo alla parte ricorrente:

a)  le spese vive comprendono il rimborso del contributo unificato versato e le spese di notifica (anche se oggi la notifica del ricorso in via telematica ha eliminato i costi connessi a questa voce di spesa);

b)  gli onorari del difensore e degli eventuali ausiliari di parte incaricati.

Con riguardo agli onorari, l’art. 15, comma 2quinquies, D.Lgs. 546/1992 chiarisce che i compensi spettanti agli incaricati dell’assistenza tecnica sono liquidati sulla base dei parametri previsti per le singole categorie professionali. Agli iscritti negli elenchi di cui all’art. 12, comma 4, si applicano i parametri previsti per i dottori commercialisti e gli esperti contabili.

Per gli avvocati occorre applicare le regole ed i parametri di cui al D.M. 55/2014, aggiornati dal D.M. 37/2018 e dal D.M. 147/2022, tenendo conto dell’attività espletata e del valore della causa.

Sono previsti, infatti, degli scaglioni per valore della controversia ai quali corrispondono delle somme indicanti i valori medi (da poter aumentare o abbassare in una certa misura percentuale) per ciascuna delle fasi processuali ed ossia: a) fase di studio della controversia; b) fase introduttiva del giudizio; c) fase di trattazione e/o istruttoria; d) fase decisionale; e) fase cautelare.

Sulla somma finale potranno praticarsi le eventuali riduzioni dovute per le compensazioni in modo da poter considerare la risultante cifra quale base di calcolo per gli accessori, ed ossia: 1) il rimborso forfettario dovuto nella misura del 15,00% salvo diversa determinazione del giudice da indicare in sentenza; 2) la Cassa di Previdenza Avvocati, dovuta nella misura del 4%; 3) l’I.V.A. dovuta nella misura del 22%.

Si allega lo schema relativo ai giudizi dinanzi alle Corti di giustizia tributaria di primo grado:

Valoreda € 0,01 a € 1.100,00da € 1.100,01 a € 5.200,00da € 5.200,01 a € 26.000,00da € 26.000,01 a € 52.000,00da € 52.000,01 a € 260.000,00da € 260.000,01 a € 520.000,00
1. Fase di studio della controversia179,00567,00992,001.769,002.552,00  3.686,00  
2. Fase introduttiva del giudizio105,00357,00567,00851,001.202,00  1.559,00  
3. Fase istruttoria e/o di trattazione89,00284,00494,00992,00  1.418,00  2.053,00  
4. Fase
decisionale
179,00919,001.418,002.195,004.169,00  4.321,00  
5. Fase
cautelare
142,00425,00709,001.344,001.911,00  2.762,00  

Sul totale dei compensi dovuti occorrerà calcolare prima il rimborso forfettario, poi la C.P.A. per aggiungersi al predetto totale e sulla risultante calcolare l’I.V.A. dovuta secondo il seguente schema che si allega a titolo di esempio:

Compensi professionali
Fase di studio della controversia (rid. 50%) € 977,50
Fase introduttiva del giudizio (rid. 50%) € 675,00
Fase di istruttoria e/o di trattazione € –
Fase decisionale € 1.652,50
Fase cautelare € –
Totale compenso per fasi € 3.305,00
Rimborso forfettario 15,00% € 495,75
C.P.A. 4% € 152,03
base imponibile € 3.952,78
I.V.A. 22% € 869,61
Somma finale € 4.822,39

Quando il patrocinio sia affidato ad un commercialista si applicano, invece, i parametri previsti per i compensi dovuti a costoro in ragione della loro attività professionale, dovendosi tenere conto degli oneri accessori dovuti.

Anche agli iscritti negli elenchi di cui all’art. 12, comma 4, si applicano i parametri previsti per i dottori commercialisti e gli esperti contabili.

Le spese processuali sono liquidate in favore della parte difesa dal professionista incaricato.

Tuttavia, l’avvocato può chiederne e ottenerne la distrazione direttamente in proprio favore qualora si qualifichi e dichiari quale procuratore antistatario.

Infatti, l’istituto della distrazione delle spese, disciplinato dall’art. 93 c.p.c., si applica anche al processo tributario, consentendo al difensore con procura di chiedere che il giudice, nella sentenza di condanna alle spese, distragga in favore suo gli onorari non riscossi e le spese anticipate.

L’istanza di distrazione, ammessa anche oralmente in udienza, non richiede particolari formalità e può essere proposta in qualsiasi fase e grado del processo.

In tal caso, qualora il giudice erroneamente non si avveda della richiesta e disponga la liquidazione dei compensi in favore della parte ricorrente rappresentata e difesa dall’avvocato antistatario, quest’ultimo potrà chiedere ed ottenere la correzione della sentenza, per errore materiale, limitatamente al capo dedicato alle spese processuali.

Una volta accolta la distrazione, l’avvocato diviene per il relativo importo creditore diretto della parte soccombente condannata al pagamento e può, dunque, agire nei confronti di quest’ultima in via esecutiva per la riscossione di quanto dovuto.

Processo tributario: Le spese processuali della parte ricorrente ammessa al patrocinio a spese dello Stato

Qualora il ricorrente vittorioso sia ammesso al patrocinio a spese dello Stato, l’applicazione del principio della soccombenza implica la liquidazione delle spese processuali non in favore del medesimo ricorrente (ossia della parte), ma in favore dell’Erario a carico del quale gravano tanto le spese anticipate quanto le spese prenotate a debito.

Soltanto una volta statuita la condanna in favore dello Stato, il giudice potrà liquidare a carico dell’erario gli onorari richiesti dal difensore del ricorrente vittorioso.

Qualora, invece, la parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato sia soccombente, l’eventuale statuizione di condanna alla rifusione delle spese sostenute dalla controparte vittoriosa deve essere pronunciata in sentenza a carico direttamente della parte soccombente, poiché l’Erario garantisce ai cittadini non abbienti l’esercizio del loro diritto costituzionale di difesa e non anche la copertura da ogni rischio connesso alla proposizione di un’azione giudiziale. Pertanto, le spese sostenute, ad esempio, dal Concessionario del servizio di riscossione vittorioso potranno essere poste a carico del contribuente ammesso al beneficio del patrocinio a spese dello Stato ma non a carico dell’Erario.

Processo tributario: Le spese processuali della parte resistente

L’art. 15, comma 2sexies, D.Lgs. 546/1992 prevede che nella liquidazione delle spese a favore dell’ente impositore, dell’agente della riscossione e dei soggetti iscritti nell’albo di cui all’art. 53 del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, se assistiti da propri funzionari, si applicano le disposizioni per la liquidazione del compenso spettante agli avvocati, con la riduzione del venti per cento dell’importo complessivo ivi previsto. La riscossione avviene mediante iscrizione a ruolo a titolo definitivo dopo il passaggio in giudicato della sentenza.

Al compenso spettante all’Ente impositore difeso da un proprio funzionario deve aggiungersi il rimborso forfettario nella misura del 15,00% in assenza di diversa indicazione del giudice tributario.

Qualora l’Agenzia delle Entrate fosse, invece, difesa dall’Avvocatura dello Stato la liquidazione dei compensi non sconterebbe la decurtazione del 20% e, comunque, dovrebbe aggiungersi soltanto il rimborso forfettario al 15,00%, non dovendosi liquidare, invece, né la C.P.A. né l’I.V.A.

Analoghe considerazioni valgono per la difesa degli enti locali affidata ad un avvocato non del libero foro ma incardinato nell’ufficio legale dell’ente medesimo.

Diversamente, sia la C.P.A. sia l’I.V.A. dovranno computarsi allorché la difesa sia affidata ad un avvocato del libero foro.

*Contributo estratto dal Manuale del processo tributario diMaurizio A. P. Francola – Dike Giuridica, Dicembre 2023