L’art. 416 ter c.p. punisce il delitto di scambio elettorale politico-mafioso e dispone che “Chiunque accetta, direttamente o a mezzo di intermediari, la promessa di procurare voti da parte di soggetti appartenenti alle associazioni di cui all’art. 416 bis o mediante le modalità di cui al terzo comma dell’art. 416 bis in cambio dell’erogazione o della promessa di erogazione di denaro o di qualunque altra utilità o in cambio della disponibilità a soddisfare gli interessi o le esigenze dell’associazione mafiosa è punito con la pena stabilita nel primo comma dell’art. 416 bis.
La stessa pena si applica a chi promette, direttamente o a mezzo di intermediari, di procurare voti nei casi di cui al primo comma.
Se colui che ha accettato la promessa di voti, a seguito dell’accordo di cui al primo comma, è risultato eletto nella relativa consultazione elettorale, si applica la pena prevista dal primo comma dell’art. 416bis aumentata della metà.
In caso di condanna per i reati di cui al presente articolo, consegue sempre l’interdizione perpetua dai pubblici uffici”.
L’art. 416 ter c.p. (Scambio elettorale politico-mafioso) è stato introdotto dal D.L. 8 giugno 1996, n. 306, convertito, con modificazioni, con L. 7 agosto 1992, n. 356, allo scopo di reprimere gli intrecci fra la mafia e la politica che si manifestano sotto forma di promesse di sostegno elettorale, con metodo mafioso, in cambio di utilità da parte dei candidati stessi.
Il testo originario della norma puniva coloro che ottenevano “la promessa di voti prevista dal terzo comma del medesimo art. 416 bis in cambio della erogazione di denaro”, limitandosi dunque a punire i candidati che avessero promesso l’erogazione di denaro alle organizzazioni mafiose in cambio dei voti per essere eletti, così escludendo dall’area della rilevanza penale le più tipiche e diffuse condotte di scambio legate alla promessa di concedere, se eletti, favori diversi dal denaro quali future aggiudicazioni di appalti, rilascio di licenze e autorizzazioni, posti di lavoro, incarichi e simili.
Il legislatore è dunque intervenuto con L. 17 aprile 2014, n. 62 per colmare dette lacune, ampliando la gamma delle condotte penalmente rilevanti, attraverso il riferimento a “qualunque altra utilità”, e introducendo nel contempo la punibilità di chi promette di procurare voti con modalità di tipo mafioso, riducendo tuttavia la cornice edittale del reato.
La novella del 2014 non ha tuttavia preso in considerazione le ipotesi in cui l’accordo criminoso si concludesse a mezzo di intermediari e richiedeva, nel contempo, che il promittente agisse con le specifiche modalità del c.d. metodo mafioso; infine non era contemplata l’ipotesi in cui il politico offrisse come controprestazione la propria disponibilità in favore del clan mafioso per soddisfarne gli interessi o le esigenze futuri.
Un secondo intervento normativo è stato pertanto attuato con L. 21 maggio 2019, n. 43, che ha inasprito, da un lato, il trattamento sanzionatorio, nuovamente equiparato a quello previsto dall’art. 416bis c.p., e ha ampliato l’ambito operativo del reato, dall’altro, introducendo altresì un’aggravante speciale nel caso in cui l’accordo con la consorteria mafiosa consenta al politico di essere eletto; è stata inoltre prevista la pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici (v. MRDP, Parte IV, Sez. I, Cap. 2, §9).
Il bene giuridico tutelato dalla fattispecie delittuosa in esame viene individuato, anche a seguito delle descritte integrazioni normative, non soltanto nell’ordine pubblico ma anche nel sistema democratico, con riferimento alla sua espressione fondamentale: il libero esercizio del diritto di voto.
Il soggetto attivo della fattispecie in esame può essere distinto a seconda che si tratti del soggetto che accetta la promessa di voti, rispetto al quale non è richiesta una qualifica soggettiva particolare, configurandosi un reato comune che può essere integrato da “chiunque”, purché non si tratti di un soggetto appartenente alla controparte mafiosa dell’accordo punito dall’art. 416ter c.p., in quanto ne verrebbe meno il carattere sinallagmatico; deve al riguardo precisarsi infatti che, pur risultando la fattispecie in esame incentrata sul fenomeno elettorale, che presuppone dunque quantomeno l’intenzione di candidarsi da parte di chi accetti la promessa di voti, la qualifica formale di candidato non è contemplata dall’art. 416 ter c.p. mentre in caso di effettiva elezione, come anticipato, è prevista un’aggravante speciale.
Dal lato del procacciatore di voti, occorre distinguere a seconda delle due ipotesi prese in considerazione dal comma 1 dell’articolo in esame, che fa riferimento alla promessa da parte di “soggetti appartenenti alle associazioni di cui all’art. 416 bis” ovvero posta in essere “mediante le modalità [mafiose] di cui al terzo comma dell’art. 416 bis”. Originariamente la norma prevedeva che il procacciamento di voti avvenisse attraverso il metodo mafioso ma la succitata riforma del 2019 ha affiancato l’ipotesi in cui la promessa provenga da soggetti appartenenti ad associazioni mafiose, onde evitare che la rilevanza penale della condotta di scambio venga meno nei casi di c.d. mafie silenti, per le quali il ricorso al metodo dell’intimidazione e dell’assoggettamento risulta meno evidente e meno sistematico e quindi difficile da dimostrare in giudizio. Stante dunque la formulazione della norma e la ratio ad essa sottesa, deve ritenersi che si tratti anche in questo caso di un reato comune in quanto il delitto può essere commesso non esclusivamente dagli associati bensì da chiunque operi attraverso metodi mafiosi, anche se estraneo ad un’organizzazione criminale di stampo mafioso (si pensi ad un criminale noto in un piccolo centro abitato per la propria pericolosità sociale, che ponga in essere la condotta attraverso i metodi di cui al comma 3 dell’art. 416 bis c.p. ma operando da solo).
La condotta criminosa consiste nell’accordo intervenuto, direttamente o tramite interposta persona, tra il candidato alle elezioni e i soggetti, membri o meno dell’organizzazione mafiosa, in forza del quale questi ultimi si impegnano a procurare al candidato dei voti, ottenendo come controprestazione l’erogazione o la promessa di erogare danaro o altra utilità, ovvero la disponibilità “a soddisfare gli interessi o le esigenze dell’associazione mafiosa”.
È sufficiente la “promessa di procurare voti”, non occorrendo l’effettivo procacciamento degli stessi, così come non occorre un’erogazione di danaro, risultando sufficiente una promessa in tal senso: si tratta dunque di un reato di pericolo, rispetto al quale le vicende successive al pactum sceleris sono irrilevanti ai fini del perfezionamento del reato, potendo al più aggravarne la pena.
Nella nozione di altra utilità rientrano tutti i vantaggi, economicamente rilevanti o meno, diversi dal denaro, quali posti di lavoro, contratti di appalto o di altro tipo, provvedimenti amministrativi, e simili.
Il soggetto passivo del reato va individuato nello Stato, in primo luogo, nonché, secondo una parte della dottrina, nell’ente territoriale in relazione al quale siano indette le elezioni oggetto dell’accordo, in quanto diretto destinatario degli effetti distorsivi del fenomeno delittuoso. Si tratta in entrambi i casi di soggetti esponenziali di un bene collettivo, super-personale.
L’elemento soggettivo del delitto è il dolo generico, che si sovrappone e si intreccia con la volontà negoziale espressa dalle parti dell’accordo delittuoso, sì da potersi escludere la punibilità del fatto a titolo di dolo eventuale.
Si tratta di un reato istantaneo, unisussistente, il cui perfezionamento coincide con la consumazione, e va individuato nel momento dell’accettazione della promessa, con riferimento al politico e con la formulazione della promessa da parte del procacciatore di voti, indipendentemente dalla loro realizzazione (Cass. 21 agosto 2012, n. 32820).
La natura di reato di pericolo impone di escludere la configurabilità del tentativo.
Il comma 3 dell’art. 416 ter c.p. prevede una circostanza aggravante ad effetto speciale, con aumento della pena della metà, se colui che ha accettato la promessa di voti, a seguito dell’accordo con la consorteria mafiosa, viene eletto nella relativa consultazione elettorale. Si tratta di una circostanza difficile tuttavia da provare e rispetto alla quale non è dato rinvenire precisi parametri per stabilire quando il contributo mafioso abbia avuto un effettivo impatto in relazione al risultato elettorale conseguito, specie a fronte della pena prevista della reclusione fino a ventidue anni e sei mesi.
*In tema di Scambio elettorale politico-mafioso, contributo estratto dal Manuale Ragionato di Penale parte speciale, Dike Giuridica 2023 a cura di Francesco Caringella, Alessandro Trinci e Angelo Salerno (Capitolo 4, paragrafo 5: Lo scambio elettorale politico-mafioso).