L’associazione che non dimostra di rappresentare una classe omogenea di utenti non è legittimata ad agire (Consiglio di Stato, sez. V, 22 maggio 2023, n. 5031 – sentenza in tema di Class action).
Preliminarmente, secondo i principi generali, la legittimazione ad agire si identifica nella titolarità dell’azione, nel senso che legittimato ad agire è quel soggetto che l’ordinamento giuridico considera essere idoneo a presentare l’azione dinanzi al giudice, sicché la legittimazione deve essere direttamente correlata alla situazione giuridica sostanziale che si assume lesa dal medesimo provvedimento.
Nel processo amministrativo, la legittimazione ad agire in giudizio coincide con la titolarità di una posizione giuridica qualificata riconducibile ad un interesse legittimo o ad un diritto soggettivo che con il ricorso si intende tutelare.
Pertanto, la valutazione in concreto di tale legittimazione impone la verifica, a fronte di specifica eccezione di difetto della condizione dell’azione, dell’esistenza in concreto, con la conseguenza che le associazioni sono legittimate a proporre il ricorso solo quando dimostrano di rappresentare adeguatamente tale interesse, così che da diffuso si soggettivizza in capo all’associazione, trasformandosi in interesse collettivo.
I giudici di Palazzo Spada ribadiscono che deve ritenersi preclusa la legittimazione a proporre l’azione per l’efficienza di cui al D.Lgs. 198/2009 da parte di una associazione che non dimostri di rappresentare una classe determinata ed omogenea di utenti e consumatori.
Più nel dettaglio, nel caso in esame l’associazione era tenuta a dimostrare la sua legittimazione ad agire, ossia di essere titolare di un interesse giuridicamente rilevante, differenziato in capo ad una collettività di utenti, quindi la propria rappresentatività.
Class action – precedenti giurisprudenziali conformi: Cons. Stato, sez. V, 26 agosto 2022, n. 7493; Cons. Stato, sez. IV, 9 dicembre 2010, n. 8686.