Il diritto amministrativo e il contrasto alla corruzione
Il diritto amministrativo è, destinato, assai più di altre branche del diritto, ad adeguarsi all’evoluzione sociale ed economica della collettività cui si rivolge, fornendo risposte alle nuove istanze che provengono dalla mutata sensibilità sociale dei consociati.
È quanto è accaduto, in tempi recentissimi, con riferimento alla normativa anticorruzione: la crescente sensibilità verso la repressione di fenomeni corruttivi e dei costi che questa comporta sul sistema economico e politico, hanno richiesto prese di posizione ordinamentali sempre più strutturali e integrate, che, travalicando la materia del contrasto penale a singoli episodi criminosi, costituissero la risposta normativa a fenomeni, pur non penalmente rilevanti, di cattiva gestione della res publica.
Il principale intervento normativo sul tema, recato dalla L. 190/2012 (nota come Legge Severino), è stato affiancato dal D.Lgs. 33/2013, in materia di trasparenza amministrativa, dal D.Lgs. 39/2013, recante la disciplina sulla incompatibilità e inconferibilità degli incarichi, nonché dal D.P.R. 62/2013 (il c.d. Codice di comportamento dei dipendenti pubblici), i quali concorrono a costituire il sistema normativo anticorruzione, ovvero l’impianto disciplinatorio complessivo che l’ordinamento ha apprestato come risposta alla c.d. mala admistration.
Si tratta di un insieme eterogeneo e coerente di norme che guarda al sistema amministrativo-burocratico nel suo complesso, imponendo modalità organizzative dell’apparato pubblico, di instaurazione, gestione e cessazione dei rapporti con gli Enti pubblici, tali da prevenire la corruzione attraverso la promozione dell’etica pubblica, della trasparenza completa dell’attività amministrativa e della formazione delle risorse umane che operano nella Pubblica Amministrazione. L’idea sottesa a questo nuovo approccio è che la lotta alla corruzione debba avvenire attraverso strumenti in grado di agire sulle condizioni ambientali che incidono negativamente sull’azione della P.A. e non solo attraverso strumenti repressivi e successivi all’evento corruttivo.
Il contrasto amministrativo alla corruzione: I principali strumenti previsti dalla vigente normativa in materia di prevenzione della corruzione, sono:
– l’adozione del Piano Nazionale Anticorruzione e dei Piani Triennali per la Prevenzione della Corruzione (§4.1 e 4.2 della Sez. I del presente Capitolo);
– gli adempimenti di trasparenza (Sez. III del presente Capitolo);
– i Codici di comportamento (§5 della Sez. II del presente Capitolo);
– l’obbligo di astensione in caso di conflitto di interesse (§4 della Sez. II del presente Capitolo);
– una disciplina specifica in materia di svolgimento di incarichi d’ufficio, attività e incarichi extra-istituzionali (§2 della Sez. II del presente Capitolo);
– una disciplina specifica in materia di conferimento di incarichi dirigenziali in caso di particolari attività o incarichi precedenti (c.d. pantouflage: §6 della Sez. II del presente Capitolo);
– una disciplina specifica in materia di inconferibilità e incompatibilità (§3 della Sez. II del presente Capitolo);
– una disciplina specifica in materia di tutela del dipendente che effettua segnalazioni di illecito (c.d. whistleblower: §4.1 della presente Sezione);
– formazione dei dipendenti in materia di etica, integrità e altre tematiche attinenti alla prevenzione della corruzione.
Il contrasto amministrativo alla corruzione: Gli strumenti di lotta alla corruzione previsti dalla Legge Severino 190/2012: i piani di prevenzione della corruzione
1. Inquadramento normativo: la Legge Severino
La normativa anticorruzione costituisce attuazione della Convenzione dell’ONU contro la corruzione, adottata a Merida il 31 ottobre 2003 e ratificata dal Parlamento con L. 116/2009, nonché della Convenzione penale sulla corruzione, stipulata a Strasburgo il 27 gennaio 1999 e ratificata con L. 110/2012.
Le citate fonti convenzionali obbligano gli Stati membri a elaborare e perseguire politiche di prevenzione della corruzione efficaci e coordinate, che favoriscano la partecipazione della società e rispettino i principi di Stato di diritto, di buona gestione degli affari pubblici e dei beni pubblici, di integrità, di trasparenza e responsabilità. A tal fine, oltre a promuovere tali pratiche, gli Stati membri devono prevedere meccanismi di valutazione periodica dell’efficacia degli strumenti individuati, collaborando con gli altri Stati e con le organizzazioni internazionali nella promozione di tali sistemi.
Le citate finalità vengono perseguite mediante la costituzione di un apparato a tanto specificatamente deputato, costituito da uno più organi incaricati di prevenire la corruzione, nonché mediante l’impegno all’accrescimento e alla diffusione delle conoscenze concernenti la prevenzione della corruzione.
Le indicazioni provenienti dalle organizzazioni sovranazionali evidenziano dunque l’esigenza di perseguire tre obiettivi principali nell’ambito delle strategie di prevenzione:
– ridurre le opportunità che si manifestino casi di corruzione;
– aumentare la capacità di scoprire casi di corruzione;
– creare un contesto complessivamente sfavorevole alla corruzione.
Su tale impianto normativo sovranazionale, si innesta la Legge Severino del 6 novembre 2012, n. 190, recante “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione”, ed entrata in vigore il 28 novembre 2012 con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.
Sulla scorta delle indicazioni fornite dalle Convenzioni internazionali, il testo normativo individua strategie di contrasto che prevengano la commissione delle condotte corruttive, anticipando la soglia di tutela mediante strumenti amministrativi e lasciando al diritto penale la repressione delle condotte più gravi, integranti fattispecie di reato.
L’orientamento complessivo, dunque, va nel senso di rafforzare le prassi a presidio dell’integrità del pubblico funzionario e dell’agire amministrativo, secondo un approccio che attribuisce rilievo non solo alle conseguenze delle fattispecie penalistiche, ma anche all’adozione di misure dirette a evitare il manifestarsi di comportamenti corruttivi.
L’impianto normativo della L. 190/2012, invero, si fonda su un concetto di corruzione assai più ampio di quello di matrice penalistica, rivolgendosi a tutte le ipotesi di “mala-amministrazione”, ovvero a tutti quei fenomeni che vanno “dai ritardi nell’espletamento delle pratiche, alla scarsa attenzione delle domande dei cittadini, al mancato rispetto degli orari di lavoro, fino alle stesse modalità di trattare le persone senza il dovuto rispetto e la necessaria gentilezza” (A. Barbieri, G. Nardi).
Essi dunque ricomprendono, come anticipato, anche le situazioni in cui – a prescindere dalla rilevanza penale – venga in evidenza un malfunzionamento dell’Amministrazione a causa dell’uso a fini privati delle funzioni attribuite ovvero dell’inquinamento dell’azione amministrativa ab externo, sia che tale azione abbia successo, sia nel caso in cui rimanga a livello di tentativo.
L’ampliamento della nozione di “corruzione” comporta l’individuazione di nuovi strumenti di emersione, contenimento e prevenzione del fenomeno: accanto all’approccio penalistico, connesso alla repressione dei fenomeni corruttivi, si è pertanto afferma un approccio amministrativo volto alla prevenzione della corruzione attraverso la promozione dell’etica pubblica, della trasparenza completa dell’attività amministrativa e della formazione delle risorse umane che operano nell’Amministrazione pubblica. Si è fatta largo l’idea, in definitiva, che la lotta alla corruzione debba avvenire attraverso strumenti in grado di incidere sulle condizioni ambientali che favoriscono fenomeni di mala-administration.
La L. 190/2012 consta di due soli articoli. L’art. 1, composto da ben 83 commi, è dedicata a disciplinare i profili preventivi della corruzione, mediante la previsione e l’implementazione delle misure di prevenzione obbligatorie e facoltative, generali e specifiche; la seconda parte della medesima norma completa poi la disciplina amministrativa con l’irrobustimento della risposta ordinamentale a fattispecie corruttive penalmente rilevanti, mediante la modifica di talune fattispecie di reato e/o della relativa risposta sanzionatoria dello Stato.
Va peraltro soggiunto che la portata incisiva dell’impianto normativo in esame viene parzialmente depotenziato dalla c.d. “clausola di invarianza finanziaria” di cui all’art. 2 della medesima L. 190/2012, a mente del quale dalla attuazione delle nuove misure non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica: lo svolgimento delle nuove attività anticorruttive deve essere garantita dalle Amministrazioni pubbliche con le sole risorse umane, strumentali e finanziari disponibili a legislazione vigente.
Alla L. 190/2012 è seguita la Circ. 1/2013 del Dipartimento della Funzione pubblica e l’Intesa tra Governo, Regioni ed Enti Locali del 2013 (Conferenza unificata 79/2013), che hanno individuato specifiche modalità applicative e di dettaglio del nuovo impianto normativo.
Come anticipato, inoltre, la L. 190/2012 ha conferito al Governo delega per il riordino di alcune discipline in materia di pubblicità e trasparenza, di determinazione di illeciti e dei termini dei procedimenti, di codice di comportamento dei dipendenti della P.A. e della individuazione dei divieti di autorizzazione e incarichi esterni.
La delega è stata esercitata mediante l’adozione dei seguenti decreti attuativi:
– “Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi, a norma dell’art. 1, comma 63, della L. 6 novembre 2012, n. 190”, approvato con il D.Lgs. 31 dicembre 2012, n. 235;
– “Riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni, approvato dal Governo il 15 febbraio 2013, in attuazione di commi 35 e 36 dell’art. 1 della L. 190/2012”, recato dal D.Lgs. 14 marzo 2013, n. 33;
– “Disposizioni in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico, a norma dell’art. 1, commi 49 e 50, della L. 6 novembre 2012, n. 190”, di cui al D.Lgs. 8 aprile 2013, n. 39.
Infine, con D.P.R. 16 aprile 2013, n. 62, in attuazione dell’art. 54 del D.Lgs. 165/2001, a sua volta significativamente inciso dalla L. 190/2012, è stato adottato il “Codice di comportamento per i dipendenti delle Pubbliche Amministrazioni”.
Il contrasto amministrativo alla corruzione: La nozione di corruzione
Dall’impianto normativo sopra richiamato emerge, come anticipato, una nuova e più estesa nozione di corruzione, che travalica i confini di un “fenomeno burocratico/pulviscolare, a fenomeno politico-amministrativo sistemico” (Corte dei Conti, inaugurazione dell’anno giudiziario 2013), per assumere consistenza “articolata e sistemica”.
La nozione di corruzione, in definitiva, secondo la definizione che ne fornisce il Dipartimento di Funzione Pubblica, consiste “nell’abuso da parte di un soggetto del potere allo stesso affidato al fine di ottenere vantaggi privati”, atto a ricomprendere anche le situazioni in cui, a prescindere dalla rilevanza penale, venga in evidenza un malfunzionamento dell’Amministrazione a causa dell’uso a fini privati delle funzioni attribuite.
La corruzione, dunque, non consiste più esclusivamente in comportamenti soggettivi impropri di un pubblico funzionario, che, al fine di curare un interesse proprio o un interesse particolare di terzi, assuma o concorra ad assumere una decisione pubblica, deviando, in cambio di un vantaggio economico o meno, dai propri doveri d’ufficio di cura imparziale dell’interesse pubblico affidatogli (F. Dall’Acqua): questa definizione, invero, tipica del contrasto penalistico ai fenomeni corruttivi, delimita il fenomeno corruttivo in senso proprio. La normativa anticorruzione, viceversa, prende in considerazione una vasta serie di comportamenti devianti, quali il compimento di reati contro la P.A. diversi da quelli corruttivi in senso stretto (Libro II, Titolo II, Capo I, del c.p.), il compimento di altri reati di rilevante allarme sociale, l’adozione di comportamenti contrari a quelli proprio di un funzionario pubblico previsti da norme amministrativo-disciplinari, fino all’assunzione di decisioni “di cattiva amministrazione”, contrarie all’imparzialità, buon andamento ed economicità dell’agere publicum.
La risposta normativa a tali fenomeni non può che essere sistemica, mediante l’individuazione di un insieme organico e strutturato di misure che incidano su condotte, situazioni, condizioni (organizzative e/o individuali) riconducibili a situazioni che potrebbero essere prodromiche – o comunque costituire un ambiente favorevole – alla commissione di fatti di corruttivi in senso proprio.
Il contrasto amministrativo alla corruzione: I soggetti pubblici coinvolti nel contrasto alla corruzione
L’attuazione di quanto previsto dalla disciplina anticorruzione ha richiesto, in ossequio alle prescrizioni rinvenienti dalle Convenzioni internazionali, la costituzione ad hoc di taluni organi a tanto deputati.
La scelta del Legislatore italiano è stata più vasta e “di sistema”: oltre a costituire la nuova Autorità Nazionale Anticorruzione, la normativa anticorruzione prevede un coinvolgimento diffuso di tutti gli operatori pubblici, assegnando specifiche funzioni e adempimenti, al fine di attuare concretamente la partecipazione diffusa dell’intera Amministrazione pubblica e la diffusione di un nuovo modello giuridico-culturale di anticorruzione e legalità.
Il contrasto amministrativo alla corruzione: L’Autorità Nazionale Anticorruzione (A.N.A.C.)
Originariamente denominata “Commissione Italiana per la valutazione della Trasparenza e dell’Integrità” (breviter C.I.V.I.T.), l’Autorità Nazionale Anticorruzione e per la valutazione e la trasparenza delle Amministrazioni pubbliche (A.N.A.C. a partire dalla L. 125/2013), costituisce l’Autorità Indipendente di riferimento in materia, deputata a svolgere una specifica attività di controllo, di prevenzione e di contrasto della corruzione e dell’illegalità nella Pubblica Amministrazione.
In dettaglio, all’A.N.A.C. è attribuita la funzione di prevenzione della corruzione nell’ambito delle Amministrazioni pubbliche e nelle società partecipate e controllate, anche mediante l’attuazione della trasparenza in tutti gli aspetti gestionali (vieppiù potenziata dal D.Lgs. 97/2016), nonché mediante l’attività di vigilanza nell’ambito dei contratti pubblici (specie a seguito della soppressione dell’A.V.C.P. a opera del D.L. 90/2014), degli incarichi e comunque in ogni settore della P.A. che potenzialmente possa sviluppare fenomeni corruttivi, evitando nel contempo di aggravare i procedimenti con ricadute negative sui cittadini e sulle imprese, orientando i comportamenti e le attività degli impiegati pubblici, con interventi in sede consultiva e di regolazione.
Fondamentale funzione dell’A.N.A.C. è quella di elaborare e approvare il Piano Nazionale Anticorruzione (P.N.A.), di durata triennale e soggetto ad aggiornamento annuale, che costituisce fondamentale atto di indirizzo per le PP.AA. ai fini dell’adozione di misure di prevenzione attuative e integrative a mezzo dei propri Piani Anticorruzione.
Inoltre, l’A.N.A.C.:
– collabora con Organismi paritetici internazionali;
– analizza cause e fattori della corruzione e individua interventi di contrasto e prevenzione;
– predispone linee guida in materia di anticorruzione;
– fornisce pareri facoltativi sul conferimento di incarichi extraistituzionali;
– vigila e controlla l’applicazione e l’efficacia delle misure adottate dalle P.A.;
– esercita la vigilanza e il controllo sui contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture;
– riceve notizie e segnalazioni di illeciti anche nelle forme ex art. 54 del D.Lgs. 165/2001 (whistleblowing);
– riferisce al Parlamento indicando le criticità del quadro normativo e amministrativo in materia e affidamento dei lavori pubblici;
– applica sanzioni amministrative in caso di mancata adozione dei Piani Triennali di Prevenzione della Corruzione, dei Programmi Triennali di Trasparenza o dei Codici di Comportamento (art. 19, D.L. 90/2014).
Per l’esercizio delle proprie funzioni, l’Autorità esercita poteri ispettivi mediante richiesta di notizie, informazioni, atti e documenti alle P.A., e ordina l’adozione di atti o provvedimenti richiesti dai Piani e dalle regole sulla trasparenza dell’attività amministrativa, ovvero la rimozione di comportamenti o atti con le stesse contrastanti.
Il contrasto amministrativo alla corruzione: Il Responsabile per la Prevenzione della Corruzione e della Trasparenza (R.P.C.T.)
La Legge Severino attribuisce il coordinamento delle strategie di prevenzione della corruzione a un Responsabile (breviter, R.P.C.T.) che deve essere individuato in ciascun ente pubblico dall’organo di indirizzo politico e che ha il compito di dirigere la definizione della strategia anticorruzione all’interno dell’ente stesso.
Il Responsabile, come confermato dal P.N.A. del 2019, non può essere individuato in un funzionario posto in posizione di diretta collaborazione dell’organo indirizzo politico; egli inoltre, non deve coincidere con il responsabile dell’Ufficio per i procedimenti disciplinari, né svolgere attività di gestione e amministrazione attiva; non deve essere componente degli organi di valutazione e non può essere soggetto esterno all’amministrazione. Negli enti locali, di norma, tale ruolo viene svolto dal Segretario Comunale.
L’A.N.A.C. ha fornito puntuali indicazioni di dettaglio sulla nomina del R.P.T.C., prevedendo all’uopo che sia necessario:
a) mantenere l’incarico di R.P.C.T., per quanto possibile, in capo a dirigenti di prima fascia, o equiparati, i quali, stante il ruolo rivestito nell’Amministrazione, hanno poteri di interlocuzione reali con gli organi di indirizzo e con l’intera struttura amministrativa;
b) selezionare un soggetto che abbia adeguata conoscenza dell’organizzazione e del funzionamento dell’Amministrazione e che sia dotato di competenze qualificate per svolgere con effettività il proprio ruolo;
c) scegliere un dipendente dell’Amministrazione che assicuri stabilità nello svolgimento dei compiti, in coerenza con il dettato normativo che dispone che l’incarico di R.P.C.T. sia attribuito, di norma, a un dirigente di ruolo in servizio;
d) considerare come assoluta eccezione la nomina di un dirigente esterno: tale scelta necessita di una motivazione particolarmente stringente, puntuale e congrua, anche in ordine all’assenza di soggetti aventi i requisiti previsti dalla legge;
e) evitare di nominare un soggetto che si trovi in posizione di comando che, pur prestando servizio presso e nell’interesse dell’Amministrazione, non è incardinato nei ruoli della stessa, in quanto tale soluzione non soddisfarebbe i requisiti di adeguata conoscenza dell’Amministrazione, stabilità e durata connessi all’incarico di R.P.C.T.;
f) evitare la nomina di un dirigente che provenga direttamente da uffici di diretta collaborazione con l’organo di indirizzo laddove esista un vincolo fiduciario, al fine di garantire l’imparzialità di giudizio e l’autonomia al R.P.C.T., nonché il ruolo di garanzia sull’effettività del sistema di prevenzione della corruzione;
g) individuare come R.P.C.T. un dipendente con posizione organizzativa o comunque un soggetto con profilo non dirigenziale solo ed esclusivamente in caso di carenza di posizioni dirigenziali, ovvero ove questi siano in numero così limitato da dover essere assegnati esclusivamente allo svolgimento di compiti gestionali nelle aree a rischio corruttivo;
h) escludere la nomina di dirigenti assegnati a uffici che svolgono attività di gestione e di amministrazione attiva, nonché quelli assegnati a settori che sono considerati più esposti al rischio della corruzione (a titolo meramente esemplificativo, possono considerarsi tali l’Ufficio contratti, l’Ufficio gestione del patrimonio, l’Ufficio contabilità e bilancio, l’Ufficio personale): tale commistione potrebbe compromettere l’imparzialità del R.P.C.T., generando il rischio di conflitti di interesse;
i) individuare una figura in grado di garantire l’immagine e il decoro dell’Amministrazione, facendo ricadere la scelta su un soggetto che abbia dato nel tempo dimostrazione di un comportamento integerrimo. Tale requisito deve essere valutato caso per caso, avendo riguardo a eventuali procedimenti penali e di rinvio a giudizio, a condanne in primo grado del giudice civile e del lavoro, a condanne erariali, a pronunce di natura disciplinare;
l) considerare l’opportunità di introdurre modifiche organizzative finalizzate a consentire, nell’individuazione del R.P.C.T., il pieno rispetto dei criteri indicati nella normativa e negli orientamenti dell’A.N.A.C.
Il provvedimento di nomina, sempre necessario, deve indicare il soggetto cui è conferito l’incarico di Responsabile e, laddove vi siano situazioni organizzative peculiari che non consentano di nominare un R.P.C.T. in base ai principi generali forniti da A.N.A.C., le motivazioni che hanno indotto l’amministrazione a soluzioni diverse (A.N.A.C., 2 febbraio, 2022, Orientamenti per la pianificazione anticorruzione e trasparenza 2022).
Il R.P.C.T. deve tenere una condotta integerrima e non deve essere stato attinto da provvedimenti giudiziali di condanna e da procedimenti disciplinari, al fine di garantire la buona immagine, il decoro e prestigio dell’Amministrazione.
Ogni condanna che attinga il Responsabile Anticorruzione deve essere comunicata all’Amministrazione di appartenenza. Provvedimenti penali di condanna o anche solo rinvii a giudizio, comportano, di regola, la decadenza dalla funzione; in caso di condanna erariale, la condotta integerrima manca solo in caso di dolo. Quanto alle condanne, anche di primo grado, del giudice civile o del lavoro, ovvero di sanzioni disciplinari, l’eventuale revoca viene valutata dall’Ente case by case.
Il contrasto amministrativo alla corruzione: Le funzioni attribuite al Responsabile della Prevenzione della Corruzione sono di particolare delicatezza e rilievo.
Il R.P.C.T., invero, predispone il Piano Triennale di Prevenzione della Corruzione e della Trasparenza, sottoponendolo all’approvazione dell’organo di governo dell’Ente; allo stesso, inoltre, sono demandati specifici compiti di verifica e monitoraggio sull’efficacia e l’idoneità dello stesso, potendo eventualmente proporre modifiche e/o aggiornamenti al Piano; presiede all’applicazione delle misure obbligatorie (in specie la rotazione del personale e la formazione dello stesso sull’anticorruzione); predispone la relazione annuale sul monitoraggio dell’applicazione del Piano da inviare all’A.N.A.C.
Normalmente, il R.P.C.T. svolge altresì le funzioni di Responsabile della Trasparenza e esamina le richieste di accesso civico semplice (v. Sez. III del presente Capitolo) e le richieste di riesame del diritto di accesso.
La particolare delicatezza delle funzioni assegnate al R.P.C.T. richiede che lo stesso sia dotato di poteri di interlocuzione con gli organi di indirizzo e con l’intera struttura burocratico-amministrativa.
Sul punto l’A.N.A.C. ha chiarito che: “Al fine di garantire che il ruolo di impulso e di coordinamento del R.P.C.T. sia efficace, si raccomanda poi che l’attività di gestione del rischio coinvolga tutti coloro che operano nell’amministrazione […]. A tal riguardo, nel P.T.P.C.T. sono delineate le modalità di interlocuzione, per la predisposizione delle misure di prevenzione, tra il R.P.C.T. e gli uffici/organi interni all’amministrazione (organo di indirizzo, i dirigenti, OIV o Organismi analoghi, organi di controllo interno e dipendenti), ivi inclusi i referenti ove presenti” (A.N.A.C., 2 febbraio 2022, Orientamenti per la pianificazione anticorruzione e trasparenza 2022).
Il Responsabile, inoltre, è assistito da specifici poteri istruttori, potendo verificare e chiedere delucidazioni ai singoli dipendenti su comportamenti potenzialmente idonei a intaccare corruzione e illegalità, chiedendo la motivazione dei provvedimenti assunti.
Non compete invece al R.P.C.T. l’accertamento di responsabilità che resta rimesso ai competenti organi, evitando sovrapposizioni e commistioni tra l’attività di monitoraggio e vigilanza anticorruzione – da svolgersi in posizione di terzietà e autonomia rispetto al complesso dell’attività amministrativa – e quella gestionale, sanzionatoria o disciplinare. Ne deriva che, verificato un fumus di fondatezza di eventuali segnalazioni su irregolarità, il R.P.C.T. deve verificare se sussistono misure adeguate a farvi fronte nel P.T.P.C.T. e chiedere informazioni alla struttura competente. Deve quindi attivare le necessarie segnalazioni agli organi competenti – interni o esterni all’Ente – per l’avvio di tutti i procedimenti (penali, disciplinari e/o sanzionatori) che saranno ritenuti opportuni o necessari.
La Legge Severino ascrive al Responsabile Anticorruzione specifiche forme di responsabilità in caso di violazione delle funzioni e degli obblighi dalle stesse derivanti. La previsione di dette responsabilità si concreta in tre diverse fattispecie, tutte configurabili in caso di inadempimento alle prescrizioni.
Una prima ipotesi di responsabilità si configura in capo al R.P.C.T. in caso di omessa presentazione della proposta di approvazione del Piano ovvero in ipotesi di violazione dell’obbligo di procedere alla selezione e alla formazione del personale dipendente, con conseguente responsabilità dirigenziale ex art. 21 T.U.P.I. (da cui potrà derivare il mancato rinnovo dell’incarico alla scadenza, la revoca dell’incarico e nei casi più gravi, il licenziamento) e disciplinare. In presenza delle condizioni di legge, inoltre, possono configurarsi anche responsabilità per danno erariale e per danno all’immagine della P.A.
Una seconda forma di responsabilità è quella che rende il R.P.C.T. “responsabile” per la condotta altrui. La Legge prevede, invero, che, in caso di commissione all’interno dell’Amministrazione, di un reato di corruzione accertato con sentenza passata in giudicato, il Responsabile risponde ai sensi del citato art. 21 T.U.P.I., nonché sul piano disciplinare, oltre che per il danno erariale e all’immagine della Pubblica Amministrazione.
Si tratta, secondo la dottrina (A. Barbieri, G. Nardi), di forme di responsabilità oggettive attraverso le quali si ascrive la commissione di un reato da parte di un dipendente al Responsabile sulla base del solo nesso di causalità.
Tale forma di responsabilità oggettiva, peraltro, viene stemperata dalla previsione di specifiche esimenti: il R.P.C.T. che ha regolarmente predisposto il Piano Anticorruzione può andare esente da responsabilità se dimostra di avere individuato aree a rischio e relative misure, previsto obblighi di informazione nei confronti del responsabile chiamato a vigilare funzionamento e osservanza del piano, definito le modalità di monitoraggio del rispetto dei termini di conclusione del procedimento e definito modalità di monitoraggio dei rapporti tra la P.A. e i soggetti che entrano in contatto con essa (contratti, autorizzazioni, contributi, ecc., verificato l’attuazione efficace del piano, proposto eventuali modifiche, verificato d’intesa con il dirigente, la rotazione degli incarichi, individuato il personale da formare e vigliato sul funzionamento e osservanza del piano).
Infine, il R.P.C.T. è responsabile in caso di ripetute violazioni delle misure previste nel piano e nelle ipotesi di “omesso controllo”. Tale forma di responsabilità è direttamente connessa all’attività di monitoraggio e verifica dell’attuazione del Piano: si profila pertanto una responsabilità in vigilando da parte del Responsabile che non provi di aver comunicato agli uffici le misure da adottare e le relative modalità, nonché di aver vigilato sull’osservanza del piano.
La Legge, infine, predispone specifiche garanzie a tutela della posizione del R.P.C.T. (art. 1, commi 7 e 82, e art. 15, comma 3, D.Lgs. 33/2013): eventuali misure discriminatorie dirette o indirette per motivi collegati direttamente o indirettamente allo svolgimento delle sue funzioni devono essere segnalate all’A.N.A.C. che può chiedere informazioni all’organo di indirizzo e intervenire.
Il contrasto amministrativo alla corruzione: Gli altri soggetti coinvolti nell’attività anticorruzione
Come anticipato, la Legge Severino impone il coinvolgimento di tutti gli operatori pubblici nell’attività anticorruzione, attribuendone il relativo coordinamento al Responsabile Anticorruzione.
In dettaglio, l’organo di indirizzo politico-amministrativo – abbia esso natura politica o meno – assume un ruolo proattivo, definendo gli obiettivi strategici della gestione del rischio corruttivo. La mancanza di tali obiettivi può comportare l’applicazione delle sanzioni pecuniarie di cui all’art. 19 del D.L. 90/2014.
A tal fine, il P.N.A. 2016 raccomanda di seguire apposite procedure per garantire la più ampia e consapevole conoscenza e condivisione delle misure da parte degli organi di indirizzo, nella fase della loro individuazione, anche in assenza di una specifica normativa che disponga sulla partecipazione degli organi di indirizzo.
L’organo di indirizzo, inoltre, adotta il Piano Triennale per la Prevenzione della Corruzione, su proposta del Responsabile Anticorruzione entro il 31 gennaio di ogni anno e ne cura la trasmissione all’Autorità Nazionale Anticorruzione.
Inoltre, compete al medesimo organo:
– valorizzare lo sviluppo e la realizzazione di un efficace processo di gestione del rischio di corruzione;
– tenere conto, in sede di nomina del R.P.C.T., delle competenze necessarie al corretto svolgimento delle funzioni allo stesso assegnate e ad adoperarsi affinché le stesse siano sviluppate nel tempo;
– assicurare al R.P.C.T. un supporto concreto, garantendo la disponibilità di risorse umane e digitali adeguate, al fine di favorire il corretto svolgimento delle sue funzioni;
– contribuire alla creazione di un contesto istituzionale organizzativo favorevole che sia di reale supporto al R.P.C.T.
Nell’attività anticorruzione viene richiesta ampia partecipazione anche ai dirigenti, che svolgono attività informativa anche nei confronti del Responsabile della Prevenzione della Corruzione, collaborano con il medesimo per l’individuazione delle misure di prevenzione del rischio e nel monitoraggio sull’attività svolta in tema di anticorruzione. I dirigenti assicurano altresì l’osservanza del Codice di comportamento e l’attuazione delle misure di prevenzione programmate nel P.T.P.C.T. anche in tema di formazione.
Il comma 8bis dell’art. 1 della Legge Severino pone specifici obblighi in materia di prevenzione della corruzione anche in capo all’Organismo di Valutazione dell’Ente.
Lo stesso, invero, deve verificare la coerenza dei Piani Triennali per la Prevenzione della Corruzione con gli obiettivi stabiliti nei documenti di programmazione strategico-gestionale dell’Ente, anche ai fini della validazione della Relazione sulla performance. Inoltre, l’Organo di Valutazione deve verificare i contenuti della Relazione annuale dal R.P.C.T., anche mediante verifica di informazioni e documenti necessari e audizioni dei dipendenti. L’Organismo, infine, riferisce all’A.N.A.C. sullo stato di attuazione delle misure di prevenzione della corruzione e della trasparenza.
Inoltre, Organismi Indipendenti di Valutazione devono:
– offrire un supporto metodologico al R.P.C.T. e agli altri attori, con riferimento alla corretta attuazione del processo di gestione del rischio corruttivo;
– fornire, qualora disponibili, dati e informazioni utili all’analisi;
– favorire l’integrazione metodologica tra il ciclo di gestione della performance e il ciclo di gestione del rischio corruttivo;
– verificare le segnalazioni ricevute su eventuali disfunzioni inerenti all’attuazione delle misure;
– verificare i contenuti della Relazione annuale del R.P.C.T. e la coerenza degli stessi in rapporto agli obiettivi strategici di prevenzione della corruzione e trasparenza definiti nel Piano;
– suggerire rimedi e aggiustamenti da implementare per eliminare le criticità ravvisate, in termini di effettività e efficacia della strategia di prevenzione.
Il P.N.A. 2022 ha ulteriormente valorizzato la collaborazione tra R.P.C.T. e O.I.V., evidenziando la necessità di un puntuale confronto dell’Organo di Valutazione sia con il R.P.C.T. – al quale ha la possibilità di chiedere informazioni e documenti che ritiene necessari – che con i dipendenti della struttura di cui sopra, anche attraverso lo svolgimento di audizioni.
L’impostazione complessiva della normativa Anticorruzione, ispirata alla partecipazione capillare dell’intera Amministrazione pubblica e alla diffusione di un nuovo modello giuridico-culturale di anticorruzione e legalità, richiede che tutti i dipendenti partecipino attivamente al processo di gestione del rischio corruttivo e, in particolare, alla attuazione delle misure di prevenzione programmate nel P.T.P.C.T. Infine, il P.N.A. 2016 raccomanda alle Amministrazioni di curare, ai fini della predisposizione del Piano, la partecipazione di stakeholders e cittadini, anche attraverso comunicati e/o questionari mirati, nella logica della sensibilizzazione alla cultura della legalità.
Il contrasto amministrativo alla corruzione: Gli strumenti di contrasto alla corruzione
Il sistema di prevenzione della corruzione introdotto nel nostro ordinamento dalla L. 190/2012 si concretizza in un’azione coordinata tra un livello nazionale e uno decentrato.
La strategia, a livello nazionale, si realizza mediante l’adozione del Piano Nazionale Anticorruzione da parte dell’A.N.A.C., che costituisce atto di indirizzo per le PP.AA., ai fini dell’adozione dei propri Piani Triennali per la Prevenzione della Corruzione.
Il contrasto amministrativo alla corruzione: Il Piano Nazionale Anticorruzione (P.N.A.)
La funzione principale del P.N.A. è quella di assicurare l’attuazione coordinata delle strategie di prevenzione della corruzione nella Pubblica Amministrazione, elaborate a livello nazionale e internazionale.
Il Piano, di durata triennale e soggetto ad aggiornamento annuale, contiene indicazioni strategiche e operative che impegnano le Amministrazioni nella redazione dei propri Piani Triennali, condizionandoli nello svolgimento dell’analisi delle specifiche realtà amministrative e organizzative e nell’adozione delle relative misure di prevenzione.
Secondo quanto precisato dall’A.N.A.C. nel P.N.A. 2016, si tratta di un modello che deve contemperare “l’esigenza di uniformità nel perseguimento di effettive misure di prevenzione della corruzione con l’autonomia organizzativa delle Amministrazioni nel definire i caratteri delle proprie strutture e, all’interno di esse, le misure gestionali necessarie a prevenire i rischi di corruzione rilevati”.
L’aggiornamento annuale del Piano Nazionale avviene previa valutazione dei P.T.P.C.T. adottati dai singoli Enti e sulla base delle osservazioni e richieste dagli stessi pervenute, secondo una modalità di redazione e aggiornamento di tipo circolare.
Il P.N.A. è suddiviso in:
– una parte generale, volta ad affrontare temi e problematiche per la predisposizione di misure anticorruzione che interessano tutte le Pubbliche Amministrazioni e gli altri soggetti tenuti all’adozione del P.T.P.C.T. (quali, per esempio, gli enti di diritto privato in controllo pubblico);
– una parte speciale dedicata a una serie di approfondimenti specifici.
Il Piano, inoltre, distingue tra misure organizzative generali e specifiche, chiarendo le loro caratteristiche.
Una parte specifica del Piano, inoltre è dedicata alle delicatissime misure della rotazione del personale e della tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti.
La rotazione del personale deve essere considerata quale misura organizzativa preventiva generale, finalizzata a limitare il consolidarsi di relazioni che possono alimentare dinamiche improprie nella gestione amministrativa, conseguenti alla prolungata permanenza nel medesimo ruolo. Essa si applica a tutti i dipendenti, salve specifiche eccezioni; la misura, al fine di garantire la continuità dell’attività amministrativa, implica una certa gradualità, con il previo avvio di percorsi formativi e periodi di affiancamento. Sono previste due ipotesi di rotazione: una obbligatoria, da effettuarsi al verificarsi di determinate fattispecie corruttive, e una facoltativa, la cui adozione viene rimessa al prudente apprezzamento dell’Ente.
Al generale obbligo di rotazione fanno eccezione le ipotesi di compatibilità con eventuali diritti individuali dei dipendenti e le fattispecie in cui le prestazioni e capacità professionali siano infungibili, al fine di garantire qualità delle competenze professionali, soprattutto per quelle a elevato contenuto tecnico. Ove la rotazione non sia praticabile (si pensi agli enti più piccoli, con un numero esiguo di dipendenti, ciascuno dotato di professionalità diverse), il P.N.A. consente di evitarla ricorrendo a misure organizzative alternative alla rotazione, che conducano al medesimo scopo (quali, per esempio, la condivisione di fasi procedimentali).
Particolare attenzione, poi, è dedicata all’istituto del whistleblowing, ovvero alla tutela del dipendente pubblico che segnala condotte illecite di cui sia venuto a conoscenza in ragione del rapporto di lavoro.
Sul punto, l’art. 54bis del D.Lgs. 165/2001, anch’esso introdotto dalla Legge Severino, stabilisce che il pubblico dipendente che, nell’interesse dell’integrità della P.A., segnala al R.P.C.T. ovvero all’A.N.A.C., o denuncia all’autorità giudiziaria ordinaria o a quella contabile, condotte illecite di cui è venuto a conoscenza in ragione del proprio rapporto di lavoro, non può essere sanzionato, demansionato, licenziato, trasferito, o sottoposto ad altra misura organizzativa avente effetti negativi, diretti o indiretti, sulle condizioni di lavoro determinata dalla segnalazione. L’adozione di misure ritenute ritorsive nei confronti del segnalante è comunicata in ogni caso all’A.N.A.C. dall’interessato o dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative nell’Amministrazione nella quale le stesse sono state poste in essere e sono oggetto di specifica disciplina sanzionatoria.
La norma, inoltre, garantisce l’anonimato del segnalante; per tali ragioni, la segnalazione è sottratta all’accesso di cui alla L. 241/1990.
La disciplina in esame è stata da ultimo novellata dal D.Lgs. 10 marzo 2023, n. 24, il quale, in attuazione della direttiva comunitaria 2019/1937, ha introdotto le c.d. “segnalazioni esterne”. In dettaglio, il nuovo Decreto, in vigore dal 15 luglio 2023, prevede, oltre alla ordinaria facoltà, in capo ai segnalanti, di rivolgere segnalazioni attraverso canali interni all’organizzazione, anche la possibilità di rivolgere all’A.N.A.C. segnalazioni esterne. Si tratta di un canale di comunicazione indipendente e autonomo rispetto all’Ente di appartenenza, a ulteriore garanzia dell’efficacia della disciplina e di tutela del segnalante. L’Autorità Nazionale Anticorruzione è l’unico soggetto competente a valutare tali segnalazioni esterne e a decidere l’eventuale applicazione delle sanzioni amministrative.
Il P.N.A. viene affiancato da apposite Linee Guida, con le quali l’A.N.A.C. opera una generale ricognizione dell’ambito soggettivo e oggettivo degli obblighi di trasparenza delle Pubbliche Amministrazioni, integrando, parallelamente a quanto accade per i singoli P.T.P.C.T., le misure anticorruttive con specifiche indicazioni in materia di accessibilità dell’agere publicum.
L’ultimo Piano Nazionale Anticorruzione adottato dall’A.N.A.C. è stato approvato il 16 novembre 2022, al dichiarato fine di fornire alle Amministrazioni tenute all’adozione del P.T.P.C.T. indicazioni che tengano conto dell’adeguamento agli obiettivi della riforma sul P.I.A.O., un nuovo strumento di programmazione destinato ad annettere diversi atti di programmazione e ad assorbire, inter alia, anche il Piano Anticorruzione (v., infra, §5). Il P.N.A. 2022, inoltre, tiene conto della necessità di rafforzamento dell’integrità pubblica e della programmazione di efficaci presidi di prevenzione della corruzione per evitare che i risultati attesi con l’attuazione del P.N.R.R. siano vanificati da eventi corruttivi, con ciò senza incidere sullo sforzo volto alla semplificazione e alla velocizzazione delle procedure amministrative.
Il nuovo Piano è articolato in due parti.
Una parte generale, è volta supportare i Responsabili Anticorruzione e le Amministrazioni nella pianificazione delle misure di prevenzione della corruzione e della trasparenza; una parte speciale è invece incentrata sulla disciplina derogatoria in materia di contratti pubblici a cui si è fatto frequente ricorso per far fronte all’emergenza pandemica. Detta parte, pur se delineata nel quadro del previgente Codice dei contratti pubblici, è prevalentemente ancorata ai principi generali di derivazione comunitaria contenuti nelle direttive.
Il contrasto amministrativo alla corruzione: Il Piano Triennale di Prevenzione della Corruzione e della Trasparenza (P.T.P.C.T.)
Il Piano Triennale di Prevenzione della Corruzione e della Trasparenza è un documento che deve essere approvato entro il 31 gennaio di ogni anno dall’organo politico, su proposta del Responsabile della Prevenzione della Corruzione e della Trasparenza. Il R.P.C.T. propone ogni anno un nuovo Piano Triennale, in cui vengono riportati i risultati raggiunti fino a quel momento nonché le possibili correzioni ai Piani precedenti, anche all’esito del monitoraggio dell’attività dell’Ente.
Sul piano soggettivo, il Piano deve essere adottato da tutte le Pubbliche Amministrazioni o soggetti equiparati: ne deriva che l’obbligo dell’adizione del P.T.P.C.T. grava anche sulle società e dagli enti di diritto privato in controllo pubblico.
Tradizionalmente era esclusa la possibilità di una mera conferma del Piano, dovendo ciascun Ente garantire annualmente l’attività anticorruzione di monitoraggio e aggiornamento del P.T.P.C.T.. Da ultimo, tuttavia, il P.N.A. 2022 ha previsto, in una logica di semplificazione per i piccoli Enti che adottano il P.I.A.O. in modalità semplificata (v., infra, §5), la possibilità che l’Amministrazione confermi il Piano nel triennio con apposito atto dell’organo di indirizzo, sempre se, nel corso dell’anno precedente alla conferma:
– non siano emersi fatti corruttivi o ipotesi di disfunzioni amministrative significative;
– non siano state introdotte modifiche organizzative rilevanti;
– non siano stati modificati gli obiettivi strategici;
– non siano state modificate le altre sezioni del P.I.A.O. in modo significativo tale da incidere sui contenuti della sezione anticorruzione e trasparenza.
Il Piano assume un valore programmatico incisivo, dovendo necessariamente prevedere gli obiettivi strategici per il contrasto alla corruzione fissati dall’organo di indirizzo e si inserisce a pieno titolo nell’attività di programmazione strategico-gestionale dell’Ente.
Il P.T.P.C.T. individua il grado di esposizione delle Amministrazioni al rischio di corruzione e definisce le misure volte a prevenirlo. Il Piano è dunque finalizzato ad adempiere agli impegni internazionali, promuovendo a livello locale l’adozione di standard consolidati a livello internazionale, creando un clima sfavorevole alla corruzione, riducendo le opportunità che si determinino fattispecie corruttive e potenziando la capacità dell’ente di scoprire i casi di corruzione.
La realizzazione di dette finalità strategiche passa attraverso la valutazione e la gestione del rischio corruttivo, secondo una metodologia che comprende l’analisi del contesto – interno ed esterno – dell’Ente, cogliendone e valorizzandone le specificità, la mappatura dei processi interni all’Ente stesse, la valutazione dei relativi rischi e il loro trattamento, mediante l’individuazione delle misure di prevenzione.
Una specifica Sezione del P.T.P.C.T. è dedicata alla definizione delle misure organizzative per l’attuazione degli obblighi di trasparenza, originariamente recato dal “Programma Triennale per la Trasparenza e l’Integrità”. Nella logica di una semplificazione e armonizzazione degli atti programmatici, detto Piano non è più oggetto di un separato atto, ma costituisce parte integrante del Piano Triennale Anticorruzione, organizzato in una apposita Sezione. Quest’ultima deve contenere, dunque, le soluzioni organizzative idonee ad assicurare l’adempimento degli obblighi di pubblicazione di dati e informazioni previsti dalla normativa vigente. Deve altresì identificare chiaramente i Responsabili della trasmissione e della pubblicazione dei dati, dei documenti e delle informazioni.
Il Piano Triennale della Prevenzione della corruzione e della Trasparenza è stato da ultimo assorbito da un nuovo strumento di programmazione, il Piano Integrato di Attività e Organizzazione (breviter P.I.A.O.), destinato, in una logica di semplificazione dell’attività pianificatoria di tutte le P.A. di cui all’art. 1, comma 2, T.U.P.I., ad annettere diversi atti di programmazione.
Il nuovo istituto, introdotto dal D.L. 9 giugno 2021 n. 801, conv. in L. 6 agosto 2021, n. 113, come si dirà (v. infra, §6.2), è entrato in vigore solo il 15 luglio 2022, data di efficacia del Decreto Ministeriale 24 giugno 2022, di attuazione della normativa primaria, pubblicato in G.U. s.g. 30 giugno 2022, n. 151.
A ogni buon conto, per quanto di interesse in questa sede, la struttura e i contenuti del Piano di Prevenzione della Corruzione e della Trasparenza, come individuati dalla L. 190/2012, non perdono la loro rilevanza normativa e sistematica, in quanto il Piano anticorruzione sembra essere destinato a costituire una specifica sezione del P.I.A.O., senza tuttavia smarrire le proprie specificità contenutistiche e identitarie.
A valle della redazione del Piano, poi, è prevista una completa attività di monitoraggio sull’applicazione delle misure previste al piano e sulla relativa efficacia, affidata al R.P.C.T. insieme a tutti i dirigenti/responsabili dell’Ente, che culmina nella redazione di una Relazione anticorruzione, redatta annualmente entro il 15 dicembre, trasmessa all’A.N.A.C. e pubblicata sul sito istituzionale dell’Ente, la quale costituisce a sua volta, secondo un procedimento virtuoso, elemento in grado di individuare eventuali criticità nel sistema e adottare azioni correttive e interventi mirati maggiormente incisivi ed efficaci.
Il contrasto amministrativo alla corruzione: Il ciclo della gestione del rischio
La gestione del rischio corruttivo, concretizzata nel P.T.P.C.T., è articolata in fasi specificatamente predeterminate dalla Legge.
a) L’analisi del contesto esterno e interno.
La valutazione dei rischi corruttivi di uno specifico Ente passa necessariamente attraverso la preliminare fase di analisi del contesto – interno ed esterno – in cui si rilevano gli elementi utili a individuare l’ambito nel quale opera l’organizzazione, la sua strutturazione, le attività di competenza, i processi gestiti e il livello di controllo rispetto a essi e quindi a rilevare la tipologia di rischi a cui è soggetta.
In dettaglio, l’analisi del contesto esterno evidenzia “le caratteristiche strutturali e congiunturali dell’ambiente nel quale l’amministrazione si trova a operare possano favorire il verificarsi di fenomeni corruttivi e, al tempo stesso, condizionare la valutazione del rischio corruttivo e il monitoraggio dell’idoneità delle misure di prevenzione”. Esso si sostanzia, dunque, nella “disamina delle principali dinamiche territoriali o settoriali e influenze o pressioni di interessi esterni cui l’amministrazione può essere sottoposta, che costituisce un passaggio essenziale nel valutare se, e in che misura, il contesto, territoriale o settoriale, di riferimento incida sul rischio corruttivo e conseguentemente nell’elaborare una strategia di gestione del rischio adeguata e puntuale” (P.N.A. 2019).
L’analisi del contesto interno è invece finalizzata a conoscere gli aspetti legati all’organizzazione e alla gestione operativa che influenzano la sensibilità della struttura al rischio corruzione, evidenziando il sistema delle responsabilità e il livello di complessità dell’Amministrazione, mettendo in risalto elementi quali la struttura organizzativa, gli obiettivi e le strategie, la cultura organizzativa, i processi decisionali, il sistema di relazioni interne ed esterne.
b) La mappatura dei processi.
Detta fase consiste nell’individuazione e analisi dei processi organizzativi, che devono essere puntualmente descritti. La mappatura deve essere funzionale a comprendere dove, all’interno dei processi, si annidano i rischi di corruzione.
La mappatura, ai fini dell’anticorruzione, permette di legare due variabili (il processo e i rischi) con l’obiettivo di rendere più intellegibile “chi deve fare cosa” e di assegnare più agevolmente le misure di prevenzione all’interno dell’organizzazione.
Nella fase in esame, dunque, si procede a individuare le c.d. “aree di rischio”, intese come raggruppamenti omogenei di processi, comprendendone le modalità di svolgimento e identificandone per ciascuno degli eventi di natura corruttiva che possono potenzialmente verificarsi in relazione ai diversi processi.
Il P.N.A. individua espressamente talune aree di rischio, quali: le autorizzazioni e le concessioni; la scelta del contraente in caso di affidamenti di cui al Codice dei contratti; le concessioni ed erogazioni di sovvenzioni e contributi; i concorsi e le prove selettive per assunzioni e progressioni di carriera; la gestione delle entrate e delle spese e del patrimonio; incarichi e nomine, affari legali e contenzioso, ecc. Il catalogo delle aree di rischio potrà essere ulteriormente arricchito – ma non semplificato – a seconda delle specificità dell’Ente.
Il livello di analiticità della mappatura dei processi dipende dalle esigenze organizzative della struttura e dalle sue complessità e dimensioni.
Va infine segnalato che il P.N.A. 2022 richiede una specifica mappatura dei processi relativi ai procedimenti coinvolti dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (breviter, P.N.R.R.), adottato a livello comunitario e nazionale per il rilancio dell’economia europea nel periodo post-pandemico. Come evidenziato dal P.N.A. 2022, “l’ingente flusso di denaro a disposizione, da una parte, e le deroghe alla legislazione ordinaria introdotte per esigenze di celerità della realizzazione di molti interventi, dall’altra […], richiedono il rafforzamento dell’integrità pubblica e la programmazione di efficaci presidi di prevenzione della corruzione per evitare che i risultati attesi con l’attuazione del P.N.R.R. siano vanificati da eventi corruttivi, con ciò senza incidere sullo sforzo volto alla semplificazione e alla velocizzazione delle procedure amministrative”.
A tal fine, la parte speciale del P.N.A. è dedicata ai contratti pubblici, caratterizzati da numerosi interventi legislativi in materia, che, da un lato, hanno arricchito il novero di disposizioni ricadenti all’interno di tale ambito e, dall’altro lato, hanno prodotto una sorta di “stratificazione normativa, per via dell’introduzione di specifiche legislazioni di carattere speciale e derogatorio che, in sostanza, hanno reso più che mai composito e variegato l’attuale quadro legislativo di riferimento”.
Per tale ragione, vieppiù alla luce della recentissima entrata in vigore del nuovo codice dei contratti, è fondamentale mappare specificatamente i processi che coinvolgono la spendita di risorse pubbliche per il raggiungimento degli obiettivi del P.N.R.R. e dei fondi strutturali. “Quanto all’ambito oggettivo del monitoraggio sulle misure, in via preliminare, […] tutte le amministrazioni/enti che impiegano risorse pubbliche connesse agli interventi del P.N.R.R. e ai fondi strutturali svolgono un monitoraggio periodico – la cui cadenza temporale va indicata nello strumento di programmazione adottato – sui processi che coinvolgono la gestione di tali fondi […], così come anche indicato nel documento MEF sulla strategia generale antifrode per l’attuazione del P.N.R.R.”.
c) L’analisi del rischio.
Tale fase consente una comprensione più approfondita degli eventi rischiosi identificati nella fase precedente e del livello di esposizione al rischio delle attività e dei relativi processi. Essa permette di comprendere le cause del verificarsi degli eventi corruttivi (i c.d. “fattori abilitanti”) e di individuare le modalità più efficaci per prevenirli.
Da un punto di vista metodologico, l’analisi del rischio, per essere efficace, deve considerare sia la probabilità di accadimento dell’evento corruttivo che l’impatto che produce, in una logica multidimensionale: tale analisi conduce all’elaborazione di un “indice di rischio”.
Ai fini della sua determinazione, il P.N.A. riporta alcuni indicatori comunemente accettati, ampliabili o modificabili a seconda delle specificità dell’Amministrazione, che possono essere utilizzati nel processo valutativo, quali il più o meno alto grado di discrezionalità nel processo decisionale; il livello di trasversalità, inteso come coinvolgimento di più uffici e/o Amministrazioni, il danno sociale e territoriale, verso l’utenza, la comunità o il territorio; il danno reputazionale e di immagine.
La valutazione del rischio deve essere ispirata a un principio di prudenza, al fine di evitare sottostime dei rischi corruttivi e la conseguente inefficacia delle misure previste.
d) Il trattamento del rischio.
Costituisce la fase di gestione del rischio tesa a individuare le misure correttive e le modalità più idonee a prevenire i rischi, sulla base della mappatura dei processi e delle priorità emerse in sede di valutazione degli eventi rischiosi.
Tali misure devono essere contestualizzate e opportunamente progettate a seconda delle priorità rilevate e delle risorse a disposizione.
Il P.T.P.C.T. deve distinguere fra misure generali e specifiche. Le prime si incidono sul sistema complessivo della prevenzione della corruzione, intervenendo in materia trasversale sull’intera Amministrazione.
Sono misure generali:
– la formazione;
– i codici di comportamento;
– le regole per assicurare imparzialità;
– l’inconferibilità e l’incompatibilità di incarichi;
– i patti per l’integrità (ovvero patti che specificano obblighi ulteriori di correttezza nello svolgimento delle procedure comparative pubbliche, che devono essere obbligatoriamente sottoscritti dai partecipanti alla gara, a pena di esclusione);
– la trasparenza amministrativa;
– il pantouflage e i divieti di post-employment (v. §6 della Sez. II del presente Capitolo);
– la rotazione;
Le misure specifiche, invece, intervengono su ben individuati e circoscritti problemi individuati tramite l’analisi del rischio. Ne consegue che le stesse sono da contestualizzare e dipendono da caso a caso.
Ne costituiscono esempi:
– l’incremento dei sistemi di controllo;
– la semplificazione dell’organizzazione e/o dei procedimenti;
– gli interventi di sensibilizzazione e partecipazione;
– l’ampliamento del numero di soggetti che svolgono una determinata attività.
L’individuazione delle misure di prevenzione non deve essere astratta e generica: l’indicazione della misura non basta, essendo invece necessaria la puntuale identificazione della misura, la tempistica e i responsabili della sua attuazione, gli indicatori di monitoraggio e i valori attesi.
e) Il monitoraggio e la riponderazione del rischio.
Il ciclo di gestione della corruzione si conclude con il monitoraggio e la conseguente riponderazione del rischio.
Si è detto che il processo di gestione del rischio si sviluppa secondo una logica sequenziale e ciclica che ne favorisce il continuo miglioramento: ne consegue che, in ogni sua ripartenza, il ciclo deve tener conto, in un’ottica migliorativa, delle risultanze del ciclo precedente, utilizzando l’esperienza accumulata e adattandosi agli eventuali cambiamenti del contesto interno ed esterno.
Negli Enti di dimensioni più grandi, il monitoraggio, la cui responsabilità è assegnata in ultima istanza al R.P.C.T. può articolarsi su più livelli, in capo alla struttura organizzativa che è chiamata ad adottare le misure e, successivamente, in capo al Responsabile Anticorruzione, il quale deve svolgere degli audit specifici per reperimento delle informazioni, evidenze e documenti necessari e potrà ricorrere a tecniche di campionamento ove opportuno.
Le risultanze del monitoraggio sulle misure di prevenzione della corruzione costituiscono il presupposto della definizione del successivo Piano Triennale.
A livello operativo, l’A.N.A.C. ha puntualizzato che il monitoraggio del P.T.P.C.T. va programmato per le misure adottate avendo cura di evidenziare:
– i processi e le attività oggetto del monitoraggio;
– la periodicità delle verifiche;
– le modalità di svolgimento della verifica.
Le risultanze del monitoraggio vanno utilizzate per la migliore programmazione delle misure del P.T.P.C.T, secondo una logica sequenziale e ciclica che favorisca il continuo miglioramento del processo di gestione del rischio.
Il P.N.A. 2022, consapevole del ruolo strategico del monitoraggio, ha scadenzato tale indispensabile attività di verifica in ragione delle dimensioni dell’Ente (determinate in base al numero di dipendenti), con una previsione minima di uno o due volte l’anno e con diversi sistemi di campionamento per l’individuazione dei processi e delle attività oggetto di verifiche.
Attività diversa, ma strettamente collegata al monitoraggio, è poi l’attività di riesame periodico, “volta a valutare il funzionamento del sistema di prevenzione della corruzione nel suo complesso, in una prospettiva più ampia. Ciò allo scopo anche di considerare eventuali ulteriori elementi che possano incidere sulla strategia di prevenzione della corruzione e a indurre a modificare il sistema di gestione del rischio per migliorare i presidi adottati. I risultati dell’attività di monitoraggio sono, in ogni caso, utilizzati per effettuare il riesame. Ogni Amministrazione definisce la frequenza con cui procedere al riesame periodico della funzionalità complessiva del sistema e gli organi da coinvolgere nel riesame. Il riesame è infatti un momento di confronto e dialogo tra i soggetti coinvolti nella programmazione dell’amministrazione, affinché vengano riesaminati i principali passaggi e risultati al fine di potenziare gli strumenti in atto ed eventualmente promuoverne di nuovi.
Il riesame deve riguardare tutte le fasi del processo di gestione del rischio al fine di poter individuare rischi emergenti, identificare processi organizzativi tralasciati nella fase di mappatura, prevedere nuovi e più efficaci criteri per analisi e ponderazione del rischio. Tale attività è coordinata dal R.P.C.T. ma dovrebbe essere realizzata con il contributo metodologico degli organismi deputati all’attività di valutazione delle performance (O.I.V. e organismi equivalenti) e/o delle strutture di vigilanza e audit interno. È opportuno che tale attività abbia una frequenza almeno annuale per supportare la programmazione triennale delle misure di prevenzione della corruzione […].
In sintesi, gli elementi essenziali che devono quindi essere contenuti nella parte dedicata al monitoraggio e al riesame sono i seguenti:
– il monitoraggio sull’attuazione delle misure;
– il monitoraggio sull’idoneità delle stesse al trattamento del rischio;
– il riesame periodico della funzionalità del sistema di gestione del rischio” (A.N.A.C., 2 febbraio 2022, “Orientamenti per la pianificazione anticorruzione e trasparenza 2022”).
*Contributo estratto dal Manuale Ragionato di Diritto Amministrativo parte speciale di Francesco Caringella e Olga Toriello – Dike Giuridica 2023