Dike giuridica, Istituti e sentenze commentate

Il DASPO e l’obbligo di comparizione in concomitanza di manifestazioni sportive*

Il DASPO urbano ha ripreso in buona misura il modello del DASPO sportivo, sul quale è quindi utile soffermarci. Con riferimento alla difesa dell’ordine pubblico in occasione di eventi sportivi, l’art. 6, L. 401/1989 (così come modificato dal D.L. 22 agosto 2016, n. 119 e dal D.L. 4 ottobre 2018, n. 113) disciplina la più volte citata misura del divieto di accesso ai luoghi dove si svolgono manifestazioni sportive nonché a quelli interessati alla sosta, al transito, al trasporto di coloro che partecipano o assistono alle manifestazioni medesime (cd. D.A.S.P.O.). Si tratta di una misura destinata ad incidere sulla libertà di circolazione del destinatario (art. 16 Cost.): la competenza, dunque, è attribuita al Questore, che può autonomamente adottarla:

–   in presenza di una denuncia per aver preso parte attiva a episodi di violenza su persone o cose in occasione o a causa di manifestazioni sportive, o che nelle medesime circostanze abbiano incitato, inneggiato o indotto alla violenza;

–   sulla base di elementi di fatto da cui risulti che in occasione o a causa di manifestazioni sportive il soggetto abbia tenuto, anche all’estero, una condotta singola o di gruppo evidentemente finalizzata alla partecipazione attiva ad episodi di violenza, minaccia o intimidazione tali da porre in pericolo la sicurezza pubblica o creare turbative per l’ordine pubblico;

–   in presenza di una denuncia o di una condanna anche non definitiva nel corso degli ultimi cinque anni per diversi reati (cfr. art. 6, comma 1, lett. c), L. 401/1989);

–   nei casi di cui all’art. 4, comma 1, lett. d), D.Lgs. 159/2011.

Il DASPO può essere disposto anche nei confronti di soggetti minorenni, purché abbiano compiuto il quattordicesimo anno d’età (art. 6, comma 1bis, L. 401/1989). In questo caso, il provvedimento deve essere notificato a coloro che esercitano la potestà genitoriale.

Unitamente al D.A.S.P.O. il Questore può disporre l’obbligo di comparizione presso un comando di polizia in giorni ed orari prestabiliti (art. 6, comma 2, L. 401/1989: sulla legittimità costituzionale dell’istituto dell’obbligo di comparizione cfr. Corte cost. 20 novembre 2002, n. 512). Si tratta di una misura accessoria finalizzata a rendere possibile la verifica del rispetto del divieto di accesso alle manifestazioni sportive.

Tuttavia, in forza della sua attitudine ad incidere sulla libertà personale del soggetto (art. 13 Cost.), il provvedimento del Questore deve essere convalidato entro quarantotto ore dal Giudice per le indagini preliminari (art. 6, commi 2bis e 3, L. 401/1989). Avverso l’ordinanza di convalida è possibile proporre ricorso per Cassazione (art. 6, comma 4, L. 401/1989).

Tanto il D.A.S.P.O. quanto la misura dell’obbligo di comparizione non possono avere durata inferiore ad un anno (tre anni in caso di condotta di gruppo, per i soggetti che ne hanno assunto la direzione) e superiore a cinque. In caso di recidiva, poi, è sempre disposto l’obbligo di comparizione, e la durata del nuovo divieto non può essere inferiore a cinque anni e superiore a dieci (art. 6, comma 5, L. 401/1989).

Infine, qualora vengano meno o si modifichino le condizioni poste alla base dell’emissione (anche per effetto di provvedimenti dell’autorità giudiziaria), le misure del DASPO e dell’obbligo di comparizione devono essere revocate o modificate (art. 6, comma 5, L. 401/1989).

Per quanto qui interessa, in materia di D.A.S.P.O. sportivo, proprio sulla scorta dei principi di ragionevolezza e proporzionalità, si è chiarito come il controllo di legittimità riguardi contemporaneamente tre aspetti fondamentali della misura e cioè la necessarietà del mezzo prescelto (sulla base di una valutazione ragionevole della sussistenza dei presupposti per l’adozione di un certa tipologia di misura), l’idoneità e l’adeguatezza al fine perseguito (in termini di proporzionalità della misura rispetto alla gravità dei fatti contestati e all’intento perseguito). In tal modo, il sindacato di legittimità viene a investire solamente la manifesta irragionevolezza dell’adozione della misura e/o il carattere manifestamente inidoneo o abnorme del provvedimento adottato in relazione allo scopo che l’amministrazione intende perseguire.

Da ciò segue che, esso non può spingersi fino al punto di sostituire l’apprezzamento dell’organo competente con quello del giudice, valutando direttamente l’opportunità del provvedimento adottato ovvero individuando direttamente la misura ritenuta idonea.

Come precisato ormai da tempo, la giurisprudenza più accreditata (T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. III, 2625/2021; T.A.R. Catania, sez. I, 3373/2021; T.A.R. Genova, sez. I, 241/2018) in tema di D.A.S.P.O. sportivo ha ritenuto che il divieto di accesso a determinati luoghi (lo stadio) non incide sulla inviolabile libertà personale, ma riguarda la sola libertà di circolazione, passibile di limitazione, da parte dell’amministrazione, per motivi di sicurezza ex art. 16 Cost. che può essere limitata dall’amministrazione per motivi di sicurezza, in base all’art. 16 Cost.: “La cognizione del giudice amministrativo è limitata alla sola impugnazione di quella parte dei provvedimenti concernenti il divieto imposto dal Questore di accesso negli stadi e nei luoghi limitrofi, non sussistendo la giurisdizione del giudice amministrativo in relazione alla impugnazione degli ulteriori obblighi di presentazione presso gli organi di Polizia, trattandosi in parte qua di atti restrittivi della libertà personale, che, mediante la convalida, assumono forza e valore di un provvedimento giurisdizionale, avverso i quali – stante la riserva di giurisdizione sancita per tali provvedimenti dall’art. 13, comma 2, Cost. – è previsto espressamente, quale specifico rimedio, il ricorso per Cassazione”. Rientra, invece, nella giurisdizione del giudice penale la prescrizione di obblighi di recarsi presso le Forze dell’Ordine in occasione delle partite di calcio per le quali è stato disposto il divieto di accesso allo stadio, stante la previsione della necessaria convalida del provvedimento del Questore da parte del GIP.

La finalità anticipatoria sottesa alla misura del DASPO non fa venir meno una pregnante attenzione sull’indagine causale, da condursi, tuttavia, alla stregua della regola del “più probabile che non”. In particolare, per accertare la situazione di pericolo non si richiede il canone della ragionevole certezza, essendo sufficiente un ragionamento causale di tipo probabilistico, basato su elementi di fatto gravi, precisi e concordanti nonché di elevata attendibilità. Quanto alla identificazione dei responsabili, ci si accontenta dei rilievi e dei riscontri effettuati dalla autorità di pubblica sicurezza, a prescindere da accertamenti più approfonditi, compiuti anche in altra sede (Cons. Stato, sez. III, 8379/2022).

In chiave convenzionale, la Corte EDU nel noto caso Tomislav Serazin c. Croazia del 2018 ha ritenuto che il provvedimento che vieta al tifoso di assistere a competizioni sportive previsto dalla legislazione croata – del tutto simile, come gli stessi giudici di Strasburgo rilevano, al DASPO italiano – non costituisca una sanzione penale ai sensi della Convenzione, stante la sua eminente funzione preventiva (Corte Edu, sez. I, 9 ottobre 2018). Sicché, la misura in questione può essere disposta anche in relazione ai medesimi fatti di reato che hanno comportato l’inflizione di una (vera e propria) pena da parte del giudice, senza che ciò dia luogo a un bis in idem.

Sul versante nazionale, il Consiglio di Stato ha aderito a un’interpretazione estensiva secondo cui “è legittimo il provvedimento di DASPO inflitto per minacce all’arbitro durante un allenamento calcistico, potendo l’allenamento rientrare nella “manifestazione sportiva. In questa prospettiva, le condotte legittimanti l’adozione del provvedimento inibitorio, qualsiasi esso sia, non sono esclusivamente quelle commesse “in occasione di una manifestazione sportiva” (e quindi, fondamentalmente, durante la partita), ma anche quelle verificatesi “a causa” della stessa manifestazione e quindi, riconducibili a un frangente temporale antecedente o successivo, purché, siano avvinte da un rapporto di diretta causalità con la manifestazione, nei termini anzidetti (Cons. Stato, sez. III, 4123/2021).

Si segnala la recente pronuncia della Corte di Cassazione, la quale è tornata a fare il punto sulla misura di prevenzione atipica di divieto di accesso a manifestazioni sportive applicata ad un soggetto, a seguito di una sentenza di proscioglimento irrevocabile, che lo ha assolto con formula piena dal reato che aveva determinato l’applicazione della misura (Cass. pen., sez. VI, 9006/2020). Al riguardo, la Suprema Corte afferma come il proscioglimento dai fatti che hanno determinato l’applicazione del divieto di accesso ai luoghi di svolgimento di manifestazioni sportive (DASPO) non determina l’automatica decadenza del provvedimento, in quanto lo stesso non è basato sull’accertamento giudiziale dei fatti presupposti, potendo essere revocato o modificato ai sensi dell’art. 6, comma 5, L. 401/1989, ossia con il venir meno o con il mutamento delle condizioni che ne hanno giustificato l’emissione. Sulla richiesta di revoca della misura del D.A.S.P.O. è competente il G.i.p. già investito della convalida del provvedimento: è quanto affermato dalla Suprema Corte, la quale superando un precedente indirizzo giurisprudenziale, ha statuito come, per quanto l’art. 6, comma 1, L. 401/1989 non specifichi l’autorità competente a provvedere in tema di revoca o modifica, la stessa deve essere individuata nell’autorità giudiziaria, laddove il provvedimento del Questore – oltre al divieto di accesso – abbia ad oggetto l’obbligo di presentazione (Cass. pen., sez. III, 24819/2016). Del resto, il divieto di cui all’art. 6, comma 1 (avente ad oggetto l’accesso ai luoghi in cui si svolgono manifestazioni sportive nonché altri luoghi “sensibili”) e l’ulteriore prescrizione di cui al comma 2 (obbligo di comparire personalmente nell’ufficio di polizia competente) disposti nei confronti delle persone denunciate o condannate ai sensi del comma 1, non possono avere durata inferiore a un anno e superiore a cinque anni e se revocati o modificati significa che sono venute meno o sono mutate le condizioni che ne hanno giustificato l’emissione.

*Contributo estratto dal Manuale Ragionato di diritto amministrativo Parte Speciale di Francesco Caringella e Olga Toriello- Dike Giuridica 2023