Dike giuridica

Cambio del nome e del cognome*

Cambio del nome e del cognome: segno legale distintivo, funzione pubblicistica, procedure per il cambio, competenza del Prefetto, attribuzione cognome materno, attribuzione del doppio cognome

Gli articoli 89 e seguenti del d.P.R. n. 396/2000 disciplinano il delicato equilibrio tra l’esigenza pubblicistica dell’attribuzione dello status e il diritto all’identità personale, di più recente emersione. Il nome, infatti, composto da prenome (o nome tout court) e cognome, è il segno legale distintivo della persona, riconosciuto come diritto fondamentale costituzionalmente garantito (artt. 2 e 22 della Costituzione e art. 6 del codice civile). Nome e cognome consentono al soggetto, rispettivamente, di distinguersi all’interno della famiglia di appartenenza e nel più ampio ambito sociale, quale conseguenza del possesso di un status familiae.

Emerge, pertanto, con nettezza la funzione pubblicistica soprattutto del cognome, elemento che con stabilità nel tempo deve poter assolvere alla funzione di identificazione della persona.

A questa valenza sociale del cognome si oppone una sempre più avvertita esigenza di tutela dell’identità personale. In questo senso la giurisprudenza costituzionale avverte che oggi il cognome, accanto alla tradizionale funzione di segno identificativo della discendenza familiare, “gode di una distinta tutela nella sua funzione di strumento identificativo della persona, e che, in quanto tale, costituisce parte essenziale ed irrinunciabile della personalità”. Sempre la stessa giurisprudenza costituzionale precisa che l’identità personale costituisce un bene in sé, come diritto di ciascuno a “essere se stesso, inteso come rispetto dell’immagine di partecipe alla vita associata, con le acquisizioni di idee ed esperienze, con le convinzioni ideologiche, religiose, morali e sociali che differenziano, ed al tempo stesso qualificano, l’individuo”.

A reggere questo delicato equilibrio si inseriscono, come anticipato, gli artt. 89 e seguenti del d.P.R. n. 396/2000, che disciplinano le procedure per il cambio del nome e del cognome.

Chiunque voglia cambiare il cognome o aggiungerne un altro al proprio deve farne richiesta al Prefetto esponendo le ragioni della domanda.

Qualora la richiesta appaia meritevole di essere presa in considerazione, il richiedente è autorizzato a fare affiggere all’albo pretorio del Comune di nascita e del Comune di residenza un apposito avviso. L’affissione deve avere la durata di trenta giorni consecutivi per consentire a chi ne abbia interesse di fare, in detto termine, opposizione alla domanda. Una volta accertata la regolarità delle affissioni e vagliate le eventuali opposizioni, il Prefetto provvede sulla domanda con decreto.

La giurisprudenza amministrativa più recente precisa che le ragioni, di carattere personale o familiare, poste a sostegno dell’istanza debbano essere “meritevoli di tutela e tali da contemperare la libertà dei singoli con l’interesse pubblico alla certezza nell’identificazione della persona e con eventuali interessi privati di segno opposto” con la conseguenza che “il provvedimento ministeriale negativo debba essere specificamente e congruamente motivato”. Infatti, sempre il giudice amministrativo sottolinea come l’ordinamento dello stato civile preveda un “ampio riconoscimento della facoltà di cambiare il proprio cognome, a fronte del quale la sfera di discrezionalità riservata alla Pubblica Amministrazione deve intendersi circoscritta alla individuazione di puntuali ragioni di pubblico interesse che giustifichino il sacrificio dell’interesse provato del soggetto al cambiamento del proprio cognome, ritenuto anch’esso meritevole di tutela dall’ordinamento”. Sul punto si contrappongono due tesi in merito alla natura della discrezionalità esercitata con il provvedimento che conclude l’iter procedimentale avviato con l’istanza di cambio cognome.

Minoritaria è la posizione di chi ritiene che la Pubblica Amministrazione abbia non una discrezionalità amministrativa piena, ma semplicemente valutativa, con la possibilità di considerare solo la serietà e la fondatezza dei motivi dedotti dall’interessato, escluso ogni giudizio di rispondenza di tali motivi all’interesse pubblico generale. Secondo il Consiglio di Stato, il diniego ministeriale di autorizzazione al mutamento del cognome costituisce provvedimento eminentemente discrezionale da cui discende, come logico corollario “che il sindacato giurisdizionale dello stesso può essere condotto, quanto al vizio intrinseco dello sviamento, sotto il limitato profilo della manifesta irragionevolezza delle argomentazioni amministrative o del difetto di motivazione”.

Riservati alla competenza del Prefetto sono anche i cambi di nome e il procedimento è del tutto analogo a quello sopra illustrato per il cambio del cognome.

La competenza esclusiva del Prefetto in materia di cambio del cognome, con il compito di indirizzo nella materia in capo agli uffici centrali del Ministero, è il frutto di una recente modifica normativa, nell’ottica della semplificazione amministrativa e della maggiore prossimità dei servizi resi ai cittadini. Il sistema precedente prevedeva la presentazione dell’istanza al Prefetto, il quale formulato un parere a seguito dell’istruttoria, trasmetteva la richiesta del cambio del cognome al Ministero dell’Interno per il seguito di competenza.

Con riferimento al cognome è di particolare attualità, il tema dell’attribuzione del cognome materno ai figli non per effetto di un’aggiunta successiva disposta dal Prefetto[1], ma bensì fin dal momento della nascita o dell’adozione.

Come noto, nel nostro ordinamento, per lungo tempo la norma (desumibile da vari elementi ricavabili dall’insieme dagli articoli 237, 262 e 299 del codice civile e da altre disposizioni, anche di natura regolamentare, relative all’Ordinamento dello Stato civile) è stata quella di attribuire al figlio il cognome paterno. Richiamo alla tradizione, garanzia dell’unità familiare di chiara evocazione costituzionale (art. 29), nonché esigenza di ricondurre a schemi certi l’appartenenza delle persone a una determinata famiglia, sembrano oggi motivazioni recessive sotto la spinta di diritti come quello alla parità tra i sessi, anche nella scelta del cognome, e di tutela dell’identità di ciascun genitore.

Anche la Corte Costituzionale, pur avendo per lungo tempo giudicato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale della norma che prevedeva che al momento della nascita il figlio acquisisse automaticamente il cognome del padre, anche quando vi fosse una diversa volontà dei coniugi legittimamente manifestata, già nel 2006 ha però inteso evidenziare che “l’attuale sistema di attribuzione del cognome è retaggio di una concezione patriarcale della famiglia, la quale affonda le proprie radici nel diritto di famiglia romanistica e di una tramontata potestà maritale non più coerente con i principi dell’ordinamento e con il valore costituzionale dell’uguaglianza tra uomo e donna” (ordinanza 21/2006).

In questa prospettiva, nel 2016 è stata realizzata un’importante apertura all’attribuzione del doppio cognome (paterno e materno) con l’accordo dei due genitori, così scalfendo per la prima volta il portato della norma che per lungo tempo ha dato la possibilità, al momento della nascita, di attribuire esclusivamente il cognome paterno.

Con la sentenza 286/2016, infatti, la Corte costituzionale, ha dichiarato per la prima volta l’illegittimità di tale norma giuridica, nella parte in cui non consente ai coniugi, di comune accordo, di trasmettere ai figli, al momento della nascita, anche il cognome materno, unitamente a quello paterno.

In via consequenziale, è stata altresì dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 262, comma 1 cod. civ. (cognome del figlio nato fuori dal matrimonio) e dell’art. 299, comma 3 cod. civ. (cognome dell’adottato) nelle parti in cui non consentono ai genitori, di comune accordo, di trasmettere al figlio – al momento della nascita o dell’adozione – anche il cognome materno.

Successivamente a tale importante pronuncia, il Ministero dell’Interno – Dipartimento per gli Affari interni e territoriali ha diramato la circolare n. 1/2017, con cui è stato chiarito che dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale 286/2016 è da considerarsi definitivamente rimossa dall’ordinamento la preclusione della possibilità per i genitori di attribuire al figlio, di comune accordo, anche il cognome materno.

La circolare in parola ha altresì chiarito che l’applicazione della nuova disciplina è immediata, per cui l’Ufficiale dello stato civile è tenuto ad accogliere le richieste presentate successivamente alla pubblicazione della sentenza dai genitori che, di comune accordo, intendano attribuire il doppio cognome, paterno e materno, al momento della nascita (anche fuori dal matrimonio) o al momento dell’adozione.

Alla luce di quanto stabilito dalla Corte costituzionale (la quale, è bene sottolinearlo, in quell’occasione si è pronunciata esclusivamente sulla possibilità di attribuire il doppio cognome), si deve rilevare che nel sistema originato all’indomani della richiamata pronuncia ha assunto un ruolo centrale il presupposto dell’accordo dei genitori. In mancanza, infatti, era chiarito che “residua la generale previsione dell’attribuzione del cognome paterno, in attesa di un indifferibile intervento legislativo, destinato a disciplinare organicamente la materia, secondo criteri finalmente consoni al principio di parità” (Corte cost., sentenza 286/2016).

Nelle more dell’intervento auspicato dalla Corte[2], nel mese di aprile 2022 i giudici della Consulta sono tornati ad occuparsi della norma che per lungo tempo ha dato la possibilità, al momento della nascita, di attribuire esclusivamente il cognome paterno, con una pronuncia di carattere fondamentale che questa volta si è occupata della parte in cui tale norma non consente ai genitori, di comune accordo, di attribuire al figlio il solo cognome della madre, nonché della parte in forza della quale, in mancanza di accordo, si impone il solo cognome del padre, anziché quello di entrambi i genitori.

E’ stata così rilevata l’illegittimità costituzionale della disciplina descritta per contrasto con gli articoli 2, 3 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione agli articoli 8 e 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

La Corte, infatti, ha ritenuto discriminatoria e lesiva dell’identità del figlio la regola che attribuisce automaticamente il cognome del padre, rilevando che, nel solco del principio di eguaglianza e nell’interesse del figlio, entrambi i genitori devono poter condividere la scelta sul suo cognome, che costituisce elemento fondamentale dell’identità personale.

La Corte – nel dichiarare l’illegittimità costituzionale di tutte le norme che prevedono l’automatica attribuzione del cognome del padre, con riferimento ai figli nati nel matrimonio, fuori dal matrimonio e ai figli adottivi – ha quindi chiarito che il figlio deve assumere il cognome di entrambi i genitori nell’ordine dai medesimi concordato[3], salvo che essi decidano, di comune accordo, di attribuire soltanto il cognome di uno dei due.

Nella ricostruzione effettuata dai giudici della Consulta, dunque, l’attribuzione del doppio cognome diventa la ‘regola’ che opera in via generale, mentre l’attribuzione di un solo cognome (indifferentemente paterno o materno) necessita del comune accordo dei genitori. La Corte, infine, ha precisato che sarà compito del legislatore regolare tutti gli aspetti connessi a tale decisione.


[1] nota articolo “Cambio del nome e del cognome”: Il riconoscimento dell’interesse ad aggiungere il cognome materno a quello paterno appare eccezionale e comunque legato a circostanze e motivazioni tali da renderlo meritevole di tutela. Il giudizio di meritevolezza dell’Amministrazione si muove ovviamente con diversa cautela, distinguendo i casi di aggiunta del cognome materno e quelli di sostituzione al cognome paterno. La giurisprudenza, infatti, distingue tra aggiunta e sostituzione, rilevando come nella prima ipotesi si introduca un ulteriore elemento identificativo, mentre nella seconda si giunga all’eliminazione di un segno distintivo.

[2] nota articolo “Cambio del nome e del cognome”: Con la sentenza n. 131 depositata il 31 maggio 2022.

[3] nota articolo “Cambio del nome e del cognome”: In mancanza di accordo sull’ordine di attribuzione del cognome di entrambi i genitori, la Corte ha chiarito che resta salvo l’intervento del giudice in conformità con quanto dispone l’ordinamento giuridico.

*Contributo estratto dal volume Ordinamento e attività istituzionali del Ministero dell’Interno, a cura di Maria Teresa Sempreviva– Dike Giuridica