La revoca della patente di guida: diniego; revoca; le pronunce della Corte Costituzionale; natura; competenza; “tolleranza zero” per guida in stato di ebbrezza.
L’art. 120 C.d.S. prevede, al primo comma, il diniego di conseguire la patente di guida per carenza dei requisiti morali per i seguenti soggetti: a) delinquenti abituali, professionali o per tendenza (artt. 102, 105 e 108 c.p.); b) coloro che sono o sono stati sottoposti a misure di sicurezza personali o alle misure di prevenzione previste dalla legge 27 dicembre 1956, n. 1423, ad eccezione di quella di cui all’art. 2, e dalla legge 31 maggio 1965, n. 575; c) persone condannate per i reati di cui agli articoli 73 e 74 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (T.U. in materia di stupefacenti) ed i soggetti destinatari dei divieti di cui agli artt. 75, comma 1, lett. a), e 75 bis comma 1, lett. f), dello stesso d.P.R..
Il successivo comma disciplina, invece, la revoca della patente di guida in senso stretto che viene disposta qualora la perdita dei requisiti morali da parte dei soggetti di cui al primo comma interviene successivamente al rilascio della stessa.
Il terzo comma, infine, stabilisce il diniego di conseguire una nuova patente di guida per quei soggetti già destinatari di un provvedimento di revoca prima che siano trascorsi tre anni dalla notifica.
Tra i soggetti che non possono conseguire una nuova patente di guida devono essere inclusi, come indicato nell’ultimo periodo del succitato primo comma, le persone cui, con sentenza di condanna per omicidio colposo, sia stata applicata la revoca della patente per la seconda volta.
Sulla portata precettiva della norma hanno inciso importanti pronunce del Giudice delle Leggi. In particolare, la sentenza n. 354 del 1998 ne ha dichiarato l’illegittimità costituzionale nella parte in cui prevedeva la revoca della patente per coloro i quali sono stati sottoposti a misure di sicurezza personali indipendentemente da ogni valutazione della loro attuale pericolosità sociale. Questo per l’evidente disparità di trattamento rispetto ai condannati a pena detentiva, dei quali si valuta la possibile agevolazione di ulteriori attività illecite. Oltre che con l’art. 3 Cost., la normativa si è ritenuta contrastante con gli artt. 4 e 35 Cost. in quanto le difficoltà lavorative conseguenti al provvedimento sarebbero eccessive poiché non bilanciate dalla tutela di beni di rilievo costituzionale. Le successive pronunce n. 427 del 2000, n. 251 del 2001 e n. 239 del 2003 hanno rispettivamente dichiarato la illegittimità costituzionale della normativa nella parte in cui prevedeva, quali destinatari di provvedimenti di revoca, coloro che sono sottoposti alla misura di prevenzione del rimpatrio con foglio di via obbligatorio, coloro che sono stati sottoposti a misure di prevenzione e coloro che sono stati condannati a pena detentiva non inferiore a tre anni, quando l’utilizzazione del documento di guida possa agevolare la commissione di reati della stessa natura.
Contrariamente all’avviso del Giudice delle Leggi sulla necessità, per la legittimità del provvedimento di revoca, che le misure di sicurezza e di prevenzione fossero in corso di applicazione, l’attuale normativa include tra i soggetti destinatari del provvedimento prefettizio anche coloro che siano stati sottoposti a tali misure, a meno che non siano ormai trascorsi tre anni dalla data di applicazione della stessa o meglio, conformemente alla linea interpretativa ministeriale, con decorrenza dal momento di cessazione della misura.
La Corte Costituzionale ha infine ritenuto, con le sentenze n. 48 del 2008 e n. 401 del 2006, che la normativa non possa più essere oggetto del proprio sindacato, avendo la stessa assunto natura regolamentare a seguito del d.P.R. 19 aprile 1994, n. 575.
La revoca della patente di cui all’art. 120 del C.d.S. è un atto prefettizio dovuto, vincolato alla sussistenza dei presupposti previsti dalla norma. Non sono richiesti apprezzamenti da parte del Prefetto in merito a tali presupposti, ritenendosi sufficiente la presunzione del Legislatore che il possesso della patente di guida incentivi condotte socialmente pericolose da parte dei soggetti già destinatari del provvedimento. Inoltre, essendo l’atto vincolato nell’an e nel quid, non sussiste obbligo di motivazione e, per le stesse ragioni, non sussiste obbligo di comunicazione di avvio del procedimento, trovando nella fattispecie applicazione la previsione contenuta nell’art. 21- octies della legge 7 agosto 1990, n. 241, così come modificata dalla legge 11 febbraio 2005 n. 15, ai sensi del quale “non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello adottato”.
Essa non rientra nelle ipotesi di sanzione accessoria che trovano il loro presupposto in una violazione amministrativa o in ipotesi di reato connesse a violazioni al C.d.S.. Non a caso, avverso i provvedimenti emessi ai sensi dell’art. 120 è dato ricorso gerarchico al Ministro dell’Interno (su cui vedi infra) e/o giurisdizionale dinanzi al giudice amministrativo, mentre le sanzioni accessorie sono impugnabili dinanzi al giudice ordinario.
Il provvedimento di revoca quale sanzione accessoria è emesso dal Prefetto del luogo della commessa violazione, a seguito di comunicazione dell’organo accertatore e previo accertamento delle condizioni previste dalla legge per la sua emissione. Con la stessa ordinanza il Prefetto dispone l’immediata consegna della patente alla Prefettura. Una volta notificata l’ordinanza di revoca della patente, la mancata consegna della stessa configura il reato di inosservanza ad un ordine legalmente dato dall’autorità amministrativa, ai sensi dell’art. 650 c.p.
La competenza ad ordinare la revoca della patente appartiene ordinariamente al Prefetto, ad esclusione dei casi di cui all’art. 130, comma 1, del C.d.S. per i quali il provvedimento è emesso dal competente ufficio del Dipartimento per i trasporti terrestri.
Alla filosofia della “tolleranza zero” verso chi guida in stato di ebbrezza alcolica, ovvero sotto l’effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope, è ispirata la previsione che prescrive a carico di tali soggetti un periodo di interdizione alla guida di ben tre anni, decorrenti dalla data di accertamento del reato. Una disciplina di particolare rigore è prevista qualora il trasgressore appartenga a coloro che professionalmente esercitano l’attività di trasporto di persone o cose, poiché per tali soggetti, nel caso in cui il provvedimento di revoca segua alla violazione degli art. 186, 186 bis e 187 del C.d.S. (guida in stato di ebbrezza alcolica o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti e psicotrope), è valutabile quale giusta causa di licenziamento ai sensi dell’art. 2119 c.c.
*Contributo estratto dal volume Ordinamento e attività istituzionali del Ministero dell’Interno, a cura di Maria Teresa Sempreviva– Dike Giuridica