Dike giuridica, Istituti e sentenze commentate

Ripetizione di indebito*

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La buona fede oggettiva come limite alle azioni di ripetizione di indebito “sproporzionate”*

 

Corte costituzionale, 27 gennaio 2023, n. 8

Vanno dichiarate inammissibili e, comunque, non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2033 c.c., nella parte in cui non prevede la non ripetizione di indebito previdenziale non pensionistico (indennità di disoccupazione, nel caso di specie) laddove le somme siano state percepite in buona fede e la condotta dell’ente erogatore abbia ingenerato un legittimo affidamento del percettore circa la spettanza della somma percepita.

 

  1. a) Il caso

La decisione in commento origina da tre casi.

Nel primo (affrontato dal Tribunale di Lecce), un lavoratore disoccupato aveva percepito l’indennità di disoccupazione prevista dalla legge ed erogata dall’INPS. Quest’ultimo, tuttavia, dopo lungo tempo dalla cessazione dell’erogazione, aveva chiesto la restituzione di parte dell’importo erogato, in quanto non spettante. In particolare, l’Istituto – sulla scorta della consolidata giurisprudenza di legittimità in materia – aveva dedotto l’irrilevanza della buona fede soggettiva dell’accipiens rispetto alla pretesa restitutoria.

Nel secondo caso (giunto sino alla Suprema Corte), una dirigente comunale aveva ricevuto, da parte del Comune datore di lavoro, sulla base delle medesime motivazioni, la richiesta di restituzione di parte della retribuzione percepita.

Nell’ultimo, nuovamente discusso avanti al Tribunale di Lecce, sezione lavoro, un dipendente dell’Agenzia delle entrate aveva ricevuto analoga richiesta di restituzione di somme godute a titolo di permessi ex l. n. 104/1992.

Secondo entrambi i giudici, che hanno rimesso gli atti alla Consulta, tale orientamento – da qualificarsi diritto vivente – risulterebbe in contrasto con l’art. 1 del protocollo addizionale della CEDU, nonché con gli artt. 11 e 117 Cost. Infatti, nel caso di specie, sussisterebbero tutti gli indici con cui la giurisprudenza convenzionale (v. spec. Corte EDU, 11 febbraio 2021, Casarin c. Italia, ricorso n. 4893/13) concretizza la lesione di un affidamento legittimo, con conseguente diritto dell’accipiens di trattenere le somme erogate in eccesso: il reiterarsi delle erogazioni indebite; la richiesta di restituzione dopo un periodo di tempo prolungato (nel caso di specie, erano trascorsi più di otto anni); la buona fede soggettiva dell’accipiens al momento della percezione delle somme non dovute; l’insussistenza di un mero errore materiale o di calcolo; la mancata previsione di una riserva di ripetizione all’atto del pagamento da parte dell’ente. In particolare, la Corte di cassazione ha censurato l’art. 2033 c.c., nella parte in cui, in caso di indebito retributivo erogato da un ente pubblico e di legittimo affidamento del dipendente pubblico percipiente nella definitività dell’attribuzione, consente un’ingerenza non proporzionata nel diritto dell’individuo al rispetto dei suoi beni.

 

  1. b) Questioni giuridiche

La questione giuridica comune ai tre casi ruota attorno all’interpretazione dell’art. 1 del protocollo addizionale CEDU, invocato dalle ordinanze di rimessione quale parametro interposto, vòlto a specificare la violazione dell’art. 117, co. 1, Cost. Secondo la citata disposizione convenzionale, “ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni” e la Corte EDU, valorizzando proprio la nozione di bene, ha ascritto a tale paradigma la tutela dell’affidamento legittimo (legitimate expectation), situazione soggettiva dai contorni più netti di una semplice speranza o aspettativa di mero fatto (hope). In particolare, la Corte EDU ha specificato i presupposti che consentono di identificare un affidamento legittimo in capo al percettore della prestazione, che sia persona fisica, e ha individuato le condizioni che tramutano la condictio indebiti in un’interferenza sproporzionata nei confronti di tale affidamento: l’erogazione di una prestazione a seguito di una domanda presentata dal beneficiario che agisca in buona fede o su spontanea iniziativa delle autorità; la provenienza dell’attribuzione da parte di un ente pubblico, sulla base di una decisione adottata all’esito di un procedimento, fondato su una disposizione di legge, regolamentare o contrattuale, la cui applicazione sia percepita dal beneficiario come fonte della prestazione, individuabile anche nel suo importo; la mancanza di una attribuzione manifestamente priva di titolo o basata su semplici errori materiali; un’erogazione effettuata in relazione a una attività lavorativa ordinaria e non a una prestazione isolata o occasionale, per un periodo sufficientemente lungo da far nascere la ragionevole convinzione circa il carattere stabile e definitivo della medesima; la mancata previsione di una clausola di riserva di ripetizione.

Alla luce di tali principi, pertanto, la Consulta è stata chiamata a valutare la legittimità costituzionale dell’art. 2033 c.c., norma sulla base della quale gli enti coinvolti nei procedimenti interessati avevano intrapreso l’azione di ripetizione delle erogazioni in tesi indebite.

 

  1. c) Soluzione

La Consulta chiarisce in primo luogo che, per ingenerare un legittimo affidamento in una prestazione indebita, non basta l’apparenza di un titolo posto a fondamento dell’attribuzione – titolo che deve comunque radicarsi in una disposizione di legge o di regolamento o in un contratto – ma conta in primis il tipo di relazione fra solvens e accipiens. Ed è palese che un soggetto pubblico facilmente ingenera, nell’accipiens-persona fisica, una fiducia circa la spettanza dell’erogazione effettuata, non solo in ragione della sua competenza professionale, ma anche per il suo perseguire interessi generali. In ogni caso, neppure quanto detto sopra è sufficiente a delineare un affidamento, poiché ex fide bona rilevano sempre le circostanze concrete. Similmente la giurisprudenza della Corte EDU valorizza: il tipo di prestazioni erogate (retributive o previdenziali), il carattere ordinario dell’attribuzione nonché il suo perdurare nel tempo, sì da ingenerare la ragionevole convinzione sul suo essere dovuta. Al contempo, l’affidamento legittimo presuppone sempre anche la buona fede soggettiva dell’accipiens, che, a sua volta, non può che evincersi da indici oggettivi. In questa stessa prospettiva, la Corte EDU dà rilievo: alla spontaneità dell’attribuzione o alla richiesta della stessa effettuata in buona fede, alla mancanza di un pagamento manifestamente privo di titolo o fondato su un mero errore di calcolo o su un errore materiale, nonché alla omessa previsione di una clausola di riserva di ripetizione.

In definitiva, la Corte costituzionale ritiene che la consonanza fra gli elementi evidenziati dalla giurisprudenza della Corte EDU e la tipologia di criteri cui può dare rilevanza la buona fede oggettiva a fondamento di un affidamento legittimo, ove riferito al contesto della spettanza di una prestazione indebita, confermi che l’interesse protetto dalla CEDU, come ricostruito dalla Corte EDU, può trovare riconoscimento, nel nostro ordinamento, dentro la cornice generale della buona fede oggettiva.

Sulla scorta di tali premesse, la Consulta evidenzia che il canone della buona fede oggettiva consente di vagliare, secondo un approccio concreto caso per caso, la legittimità della pretesa restitutoria, senza che – a tale fine – sia necessario provvedere alla dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 2033. Infatti, la clausola della buona fede oggettiva consente, sul presupposto dell’affidamento ingenerato nell’accipiens, di adeguare, innanzitutto, tramite la rateizzazione, il quomodo dell’adempimento della prestazione restitutoria, tenendo conto delle condizioni economiche e patrimoniali dell’obbligato. Inoltre, in presenza di particolari condizioni personali dell’accipiens e dell’eventuale coinvolgimento di diritti inviolabili, la buona fede oggettiva può condurre, a seconda della gravità delle ipotesi, a ravvisare una inesigibilità temporanea o finanche parziale.

 

 

La sentenza

 

(omissis)

1.- Con ordinanza del 21 gennaio 2022, iscritta al n. 9 del reg. ord. 2022, il Tribunale ordinario di Lecce, sezione lavoro, ha sollevato, in riferimento agli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 1 Prot. addiz. CEDU, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2033 cod. civ., «nella parte in cui non prevede l’irripetibilità dell’indebito previdenziale non pensionistico (indennità di disoccupazione, nel caso di specie) laddove le somme siano state percepite in buona fede e la condotta dell’ente erogatore abbia ingenerato [un] legittimo affidamento del percettore circa la spettanza della somma percepita».

 

Il rimettente riferisce che P. D.R. ha convenuto in giudizio l’INPS per sentir accertare l’irripetibilità della prestazione ricevuta a titolo di indennità di disoccupazione, in ragione del legittimo affidamento ingenerato dall’ente pubblico circa la spettanza della somma, che, oltretutto, sarebbe stata destinata al soddisfacimento di esigenze alimentari.

 

(omissis)

 

2.- Con ordinanza del 14 dicembre 2021, iscritta al n. 21 del reg. ord. 2022, la Corte di cassazione, sezione lavoro, ha sollevato, in riferimento agli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 1 Prot. addiz. CEDU, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2033 cod. civ., «nella parte in cui, in caso di indebito retributivo erogato da un ente pubblico e di legittimo affidamento del dipendente pubblico percipiente nella definitività dell’attribuzione, consente un’ingerenza non proporzionata nel diritto dell’individuo al rispetto dei suoi beni».

 

2.1.- La Corte rimettente riferisce che L. P. ha agito in giudizio dinanzi al Tribunale di Firenze per sentir dichiarare irripetibile la somma di euro 49.203,03, che le era stata corrisposta a titolo di retribuzione di posizione.

 

La Corte di cassazione ritiene che la pretesa restitutoria contrasti con quanto statuito dalla sentenza della Corte EDU Casarin proprio con riferimento all’indebito retributivo. Di conseguenza, il giudice a quo ravvisa una violazione dell’art. 1 Prot. addiz. CEDU, come interpretato dalla Corte EDU, e di riflesso un vulnus agli artt. 11 e 117, primo comma, Cost.

 

(omissis)

 

3.- Con ordinanza del 25 febbraio 2022, iscritta al n. 29 del reg. ord. 2022, il Tribunale di Lecce, sezione lavoro, ha sollevato, in riferimento agli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 1 Prot. addiz. CEDU, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2033 cod. civ., «nella parte in cui non prevede, per i dipendenti pubblici, l’irripetibilità degli indebiti retributivi laddove le somme siano state percepite in buona fede e la condotta dell’Amministrazione datrice di lavoro abbia ingenerato [un] legittimo affidamento del percettore circa la spettanza della somma percepita».

 

3.1.- Il rimettente riferisce che M. O. ha convenuto in giudizio l’Agenzia delle entrate, nella qualità di datrice di lavoro, nonché il Ministero dell’economia e delle finanze, per sentir accertare la non spettanza della somma di euro 17.492,17, che l’Agenzia aveva richiesto a titolo di indebita fruizione di permessi concessi ai sensi della legge n. 104 del 1992.

 

Il giudice a quo, dopo aver qualificato tali prestazioni come retribuzioni sine titulo erogate da un soggetto pubblico, ritiene che, in presenza di un legittimo affidamento riposto da una persona fisica nella loro spettanza, la pretesa restitutoria vìoli gli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., ponendosi in contrasto con quanto prescritto dall’art. 1 Prot. addiz. CEDU, come interpretato dalla Corte EDU.

 

Per tali ragioni, il Tribunale di Lecce sollecita l’adozione di una sentenza additiva, che dichiari l’illegittimità costituzionale dell’art. 2033 cod. civ. nei termini sopra richiamati.

 

(omissis)

 

7.- Nel merito, le questioni non sono fondate.

 

8.- In via preliminare, occorre ripercorrere la giurisprudenza della Corte EDU che, nell’ambito della ripetizione di indebiti retributivi e previdenziali erogati da soggetti pubblici, ha dato corpo all’interpretazione dell’art. 1 Prot. addiz. CEDU, invocato dalle ordinanze in esame quale parametro interposto, vòlto a specificare la violazione dell’art. 117, primo comma, Cost.

 

Secondo la citata disposizione convenzionale, «[o]gni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni» e la Corte EDU, valorizzando proprio la nozione di bene, ha ascritto a tale paradigma la tutela dell’affidamento legittimo («legitimate expectation»), situazione soggettiva dai contorni più netti di una semplice speranza o aspettativa di mero fatto («hope»).

 

In particolare, in una pluralità di casi – tra cui le già citate sentenze Casarin, Romeva, Cakarevic e Moskal – concernenti indebiti retributivi e previdenziali erogati da soggetti pubblici, la Corte EDU ha specificato i presupposti che consentono di identificare un affidamento legittimo in capo al percettore della prestazione, che sia persona fisica, e ha individuato le condizioni che tramutano la condictio indebiti in un’interferenza sproporzionata nei confronti di tale affidamento.

 

La Corte EDU ha individuato quali elementi costitutivi dell’affidamento legittimo: l’erogazione di una prestazione a seguito di una domanda presentata dal beneficiario che agisca in buona fede o su spontanea iniziativa delle autorità; la provenienza dell’attribuzione da parte di un ente pubblico, sulla base di una decisione adottata all’esito di un procedimento, fondato su una disposizione di legge, regolamentare o contrattuale, la cui applicazione sia percepita dal beneficiario come fonte della prestazione, individuabile anche nel suo importo; la mancanza di una attribuzione manifestamente priva di titolo o basata su semplici errori materiali; un’erogazione effettuata in relazione a una attività lavorativa ordinaria e non a una prestazione isolata o occasionale, per un periodo sufficientemente lungo da far nascere la ragionevole convinzione circa il carattere stabile e definitivo della medesima; la mancata previsione di una clausola di riserva di ripetizione.

 

L’identificazione di una situazione di legitimate expectation non importa, nondimeno, per ciò solo l’intangibilità della prestazione percepita dal privato.

 

La Corte EDU riconosce l’interesse generale sotteso all’azione di ripetizione dell’indebito e, in genere, riscontra la legalità dell’intervento, che solo raramente si è dimostrata carente (sentenza 12 ottobre 2020, Anželika Šimaitiene contro Lituania, paragrafo 115).

 

Le censure della Corte EDU si appuntano, invece, sulla proporzionalità dell’interferenza, in quanto sede del bilanciamento di interessi fra le esigenze sottese al recupero delle prestazioni indebitamente erogate e la tutela dell’affidamento incolpevole.

 

Nel compiere tale valutazione, la Corte EDU riconosce agli Stati contraenti un margine di apprezzamento ristretto, onde evitare che gravi sulla persona fisica un onere eccessivo e individuale, avuto riguardo al particolare contesto in cui si inquadra la vicenda (così Grande camera, sentenza 5 settembre 2017, Fábián contro Ungheria, paragrafo 65, e seconda sezione, sentenza 10 febbraio 2015, Bélàné Nagy contro Ungheria, paragrafo 166). In particolare, fra le circostanze che influiscono sul carattere sproporzionato dell’interferenza si rinvengono le specifiche modalità di restituzione imposte al titolare dell’affidamento (ad esempio, nella sentenza Cakarevic, l’addebito di interessi legali in capo all’accipiens, a dispetto dell’errore compiuto dall’amministrazione, paragrafi 86 e 87; o, nella sentenza Casarin, la rateizzazione non rapportata alle condizioni di vita dell’obbligato, paragrafo 72); più in generale, rilevano l’omessa o l’inadeguata considerazione della fragilità economico-sociale o di salute dell’obbligato nell’esercizio della pretesa restitutoria (così nelle sentenze Casarin, paragrafi 72 e 73; Romeva, paragrafo 75; Cakarevic, paragrafi da 87 a 89, e Moskal, paragrafi 74 e 75); e, infine, ha una sicura incidenza la mancata previsione di una responsabilità in capo all’ente cui sia addebitabile l’errore (sentenze Casarin, paragrafo 71, e Cakarevic, paragrafo 80).

 

In definitiva, la giurisprudenza della Corte EDU offre una ricostruzione dell’art. 1 Prot. addiz. CEDU vòlta a stigmatizzare interferenze sproporzionate rispetto all’affidamento legittimo ingenerato dall’erogazione indebita da parte di soggetti pubblici di prestazioni di natura previdenziale, pensionistica e non, nonché retributiva.

 

9.- A fronte dell’interpretazione prospettata dalla Corte EDU in merito all’art. 1 Prot. addiz. CEDU, l’ordinamento nazionale delinea un quadro di tutele che, se adeguatamente valorizzato, supera ogni dubbio di possibile contrasto fra l’art. 2033 cod. civ. e l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione al citato parametro convenzionale interposto.

 

In particolare, rispetto alle tipologie di prestazioni indebite contemplate dalla giurisprudenza convenzionale, l’ordinamento italiano appronta un complesso apparato di rimedi, che opera a differenti livelli.

 

(omissis)

 

Sia l’ordinanza di rimessione iscritta al n. 9 del reg. ord. 2022 sia quella iscritta al n. 21 reg. ord. del medesimo anno ravvisano, infatti, il già evocato vulnus all’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 1 Prot. addiz. CEDU, come interpretato dalla giurisprudenza convenzionale, nell’applicazione della disposizione generale sull’indebito oggettivo a prestazioni previdenziali non pensionistiche e a prestazioni retributive, chiaramente non ascrivibili all’art. 2126 cod. civ.

 

Sennonché, a fronte dell’obbligo restitutorio, da un lato, lo stesso art. 2033 cod. civ. – come già emerge dalla sua formulazione testuale – prevede che, in ipotesi di buona fede soggettiva dell’accipiens, i frutti e gli interessi vanno corrisposti solo a partire dalla domanda di restituzione, il che allontana una delle possibili ragioni di sproporzione dell’interferenza ravvisate dalla giurisprudenza della Corte EDU (in particolare, nella sentenza Cakarevic, paragrafo 86).

 

Da un altro lato, e soprattutto, si rinviene nell’ordinamento italiano una clausola generale, suscettibile di valorizzare la specificità degli elementi posti in risalto dalla giurisprudenza della Corte EDU a fondamento dell’affidamento legittimo, così come si ravvisa un apparato di tutele sufficiente a superare ogni dubbio di possibile contrasto con l’art. 117, primo comma, Cost.

 

12.- Il perno della disciplina risiede, in particolare, nella clausola di buona fede oggettiva o correttezza, che, per un verso, plasma, attraverso l’art. 1175 cod. civ., l’attuazione del rapporto obbligatorio e, dunque, condiziona – dando rilievo agli interessi in gioco e alle circostanze concrete – l’esecuzione dell’obbligazione restitutoria, che ha fonte nell’art. 2033 cod. civ. Per un altro verso, e ab imis, la buona fede oggettiva dà fondamento, tramite l’art. 1337 cod. civ., alla stessa possibilità di identificare un affidamento legittimo, suscettibile di rinvenire una tutela, sia quale interesse che, ex fide bona, in base al citato art. 1175 cod. civ., condiziona l’attuazione del rapporto obbligatorio, sia quale situazione soggettiva potenzialmente meritevole di protezione risarcitoria, proprio attraverso la disciplina dell’illecito precontrattuale.

 

12.1.- Rispetto a tali coordinate generali, è doveroso, in primo luogo, indagare le condizioni che consentono di dare rilevanza, nelle fattispecie in esame, a un affidamento legittimo.

 

Il diritto vivente ha da tempo estrapolato dall’art. 1337 cod. civ., riferito alla tutela dell’affidamento rispetto alla conclusione di un contratto o rispetto al perfezionamento di un contratto non invalido né affetto da un vizio cosiddetto incompleto, un possibile modello generale di tutela dell’affidamento legittimo. Nondimeno questo – a seconda delle tipologie di conflitti – opera sulla base di processi di specificazione e di concretizzazione giurisprudenziale. Dalla citata norma, che valorizza tanto la relazione fra i soggetti implicati quanto le circostanze concrete, la giurisprudenza ha, di volta in volta, ricavato, nell’ambito di particolari contesti, i presupposti che consentono di ravvisare affidamenti meritevoli di tutela: ad esempio, quello alla legittimità e alla correttezza di un provvedimento emanato da una pubblica amministrazione (ex multis, Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenze 15 gennaio 2021, n. 615 e 13 maggio 2019, n. 12635), così come l’affidamento riferito alla esattezza e alla correttezza di informazioni fornite da soggetti che spendono una particolare professionalità (ex multis, Corte di cassazione, sezione prima civile, sentenza 9 dicembre 2019, n. 32026 e sezione terza civile, sentenza 28 febbraio 2012, n. 3003).

 

Ebbene, i casi esaminati dalla giurisprudenza della Corte EDU danno, a ben vedere, risalto a un’ulteriore tipologia di affidamento legittimo, che riguarda la spettanza di una prestazione indebita: un tipo di affidamento per ravvisare il quale le sentenze della Corte EDU valorizzano per l’appunto sia la relazione fra i soggetti implicati sia le circostanze concrete che caratterizzano l’attribuzione indebita.

 

Deve allora ritenersi che proprio l’attitudine della buona fede oggettiva a recepire processi di concretizzazione giurisprudenziale consenta di ravvisare nell’art. 1337 cod. civ. la cornice giuridica capace di valorizzare, a livello nazionale, presupposti che, in effetti, corrispondono a quelli individuati dalla Corte EDU per fondare il riconoscimento di un affidamento legittimo circa la spettanza di una prestazione indebita erogata.

 

In sostanza, gli elementi che possono rilevare ex fide bona ai fini dell’individuazione di un affidamento legittimo riposto in una prestazione indebita erogata da un soggetto pubblico trovano, a ben vedere, riscontro in quelli di cui si avvale la Corte EDU per individuare una legitimate expectation.

 

Infatti, l’opera di specificazione effettuata dalla Corte EDU dà rilievo, innanzitutto, alla relazione fra le parti, e questo è tipico anche dell’art. 1337 cod. civ. In particolare, non vi è dubbio che, per ingenerare un legittimo affidamento in una prestazione indebita, non basti l’apparenza di un titolo posto a fondamento dell’attribuzione – titolo che deve comunque radicarsi in una disposizione di legge o di regolamento o in un contratto -, ma conta in primis il tipo di relazione fra solvens e accipiens. Ed è palese che un soggetto pubblico facilmente ingenera, nell’accipiens-persona fisica, una fiducia circa la spettanza dell’erogazione effettuata, non solo in ragione della sua competenza professionale, ma anche per il suo perseguire interessi generali. In ogni caso, neppure quanto detto sopra è sufficiente a delineare un affidamento, poiché ex fide bona rilevano sempre le circostanze concrete. Similmente la giurisprudenza della Corte EDU valorizza: il tipo di prestazioni erogate (retributive o previdenziali), il carattere ordinario dell’attribuzione nonché il suo perdurare nel tempo, sì da ingenerare la ragionevole convinzione sul suo essere dovuta. Al contempo, l’affidamento legittimo presuppone sempre anche la buona fede soggettiva dell’accipiens, che, a sua volta, non può che evincersi da indici oggettivi. In questa stessa prospettiva, la Corte EDU dà rilievo: alla spontaneità dell’attribuzione o alla richiesta della stessa effettuata in buona fede, alla mancanza di un pagamento manifestamente privo di titolo o fondato su un mero errore di calcolo o su un errore materiale, nonché alla omessa previsione di una clausola di riserva di ripetizione.

 

In definitiva, si deve ritenere che la consonanza fra gli elementi evidenziati dalla giurisprudenza della Corte EDU e la tipologia di criteri cui può dare rilevanza la buona fede oggettiva a fondamento di un affidamento legittimo, ove riferito al contesto della spettanza di una prestazione indebita, confermi che l’interesse protetto dalla CEDU, come ricostruito dalla Corte EDU, può trovare riconoscimento, nel nostro ordinamento, dentro la cornice generale della buona fede oggettiva.

 

12.2.- Così individuati i presupposti costitutivi di un affidamento legittimo nella spettanza di una prestazione indebita, si tratta ora di chiarire quale apparato rimediale appronti l’ordinamento nazionale a sua difesa e se sia idoneo a evitare il contrasto con l’art. 1 Prot. addiz. CEDU e, di riflesso, una violazione dell’art. 117, primo comma, Cost.

 

12.2.1.- Un primo fondamentale ruolo spetta alla categoria della inesigibilità, che si radica nella clausola generale di cui all’art. 1175 cod. civ., la quale – come già anticipato (punto 12) – impone ad ambo le parti del rapporto obbligatorio di comportarsi secondo correttezza o buona fede oggettiva. Tale canone di comportamento, inter alia, vincola il creditore a esercitare la sua pretesa in maniera da tenere in debita considerazione, in rapporto alle circostanze concrete, la sfera di interessi che fa riferimento al debitore.

 

Di qui, la rilevanza che possono assumere, nell’attuazione del rapporto obbligatorio avente a oggetto la ripetizione dell’indebito, tanto lo stesso affidamento legittimo ingenerato nel percipiente, quanto le condizioni in cui versa quest’ultimo.

 

Il primo accorgimento, imposto ex fide bona dalla sussistenza in capo all’accipiens di un affidamento legittimo circa la spettanza dell’attribuzione ricevuta, risiede nel dovere da parte del creditore di rateizzare la somma richiesta in restituzione, tenendo conto delle condizioni economico-patrimoniali in cui versa l’obbligato, che, ex abrupto, si trova a dover restituire ciò che riteneva di aver legittimamente ricevuto. La pretesa si dimostra dunque inesigibile fintantoché non sia richiesta con modalità che il giudice reputi conformi a buona fede oggettiva (ex multis, Consiglio di Stato, sezione seconda, sentenza 10 dicembre 2020, n. 7889; parere 31 dicembre 2018, n. 3010; adunanza plenaria, sentenza 26 ottobre 1993, n. 11).

 

Il rilievo che possono assumere le circostanze concrete e, in particolare, la considerazione delle condizioni personali del debitore hanno poi indotto gli interpreti a valorizzare anche forme ulteriori di inesigibilità, sia temporanea sia parziale, della prestazione. L’inesigibilità, in tal modo, attenua la rigidità dell’obbligazione restitutoria che, in quanto obbligazione pecuniaria, non vede operare – per comune insegnamento – la causa estintiva costituita dall’impossibilità della prestazione. In particolare, l’inesigibilità non colpisce la fonte dell’obbligazione, ma funge da causa esimente del debitore, quando l’esercizio della pretesa creditoria, entrando in conflitto con un interesse di valore preminente, si traduce in un abuso del diritto.

 

Le conseguenze dell’inesigibilità possono essere, dunque, varie.

 

Particolari situazioni personali del debitore possono immediatamente palesare un impatto lesivo della prestazione restitutoria sulle condizioni di vita dello stesso, sì da giustificare una inesigibilità temporanea. Più in particolare, il bilanciamento degli interessi implicati potrebbe far risultare giustificata la temporanea inesigibilità della prestazione, con la conseguenza che il ritardo nell’adempimento non potrebbe legittimare una pretesa risarcitoria da parte del creditore.

 

Talora poi le condizioni personali del debitore, ove correlate a diritti inviolabili, potrebbero far ritenere al giudice definitivamente giustificato anche un adempimento parziale, che solo in casi limite potrebbe approssimarsi alla totalità dell’importo dovuto. In tale prospettiva è doveroso richiamare alcune pronunce del Consiglio di Stato, le quali richiedono espressamente «di evitare […] che le modalità di ripetizione siano tali da compromettere le esigenze primarie dell’esistenza» (Consiglio di Stato, sezione terza, sentenza 30 gennaio 1990, n. 57; danno applicazione a quanto sopra richiamato sezione sesta, sentenze 27 ottobre 2014, n. 5315; 12 dicembre 2002, n. 6787 e 28 maggio 2001, n. 2899).

 

In definitiva, la clausola della buona fede oggettiva consente, sul presupposto dell’affidamento ingenerato nell’accipiens, di adeguare, innanzitutto, tramite la rateizzazione, il quomodo dell’adempimento della prestazione restitutoria, tenendo conto delle condizioni economiche e patrimoniali dell’obbligato. Inoltre, in presenza di particolari condizioni personali dell’accipiens e dell’eventuale coinvolgimento di diritti inviolabili, la buona fede oggettiva può condurre, a seconda della gravità delle ipotesi, a ravvisare una inesigibilità temporanea o finanche parziale.

 

La circostanza per cui l’inesigibilità non determina l’estinzione dell’obbligazione non deve, d’altro canto, indurre a ritenere che il rimedio non consenta di superare il vaglio della non sproporzione dell’interferenza, secondo quanto evidenziato dalla giurisprudenza della Corte EDU.

 

Infatti, le richiamate sentenze di quest’ultima ravvisano violazioni dell’art. 1 Prot. addiz. CEDU in presenza di pretese restitutorie che disattendono una doverosa considerazione dell’affidamento legittimo dell’obbligato e delle sue condizioni economiche, patrimoniali e personali, ma non per questo impongono di generalizzare un diritto alla irripetibilità della prestazione.

 

12.2.2.- Da ultimo, allontana definitivamente il dubbio fatto proprio dai giudici rimettenti che l’apparato rimediale nazionale sia inidoneo a impedire il carattere sproporzionato dell’interferenza nell’affidamento legittimo, la constatazione che, nell’ordinamento italiano, una volta individuati i tratti di tale affidamento, è dato riconoscere, nell’ipotesi di una sua lesione, una possibile tutela risarcitoria proprio dentro le coordinate della responsabilità precontrattuale, sempre che ricorrano gli ulteriori presupposti applicativi del medesimo illecito.

 

Questa ulteriore prospettiva rimediale supera, dunque, un’altra delle ragioni che vengono addotte per contestare la sproporzione dell’interferenza dalla giurisprudenza della Corte EDU, la quale – nelle già citate sentenze Casarin, paragrafo 71, e Cakarevic, paragrafo 86; come pure nella sentenza 20 maggio 2010, Lelas contro Croazia, paragrafo 77 – lamenta, per l’appunto, la mancata previsione di una responsabilità in capo allo Stato o all’ente pubblico, cui si deve la commissione dell’errore nell’erogazione della prestazione.

 

13.- Alla luce del descritto quadro di rimedi offerto dall’ordinamento nazionale, la norma che costituisce la fonte generale dell’indebito oggettivo, vale a dire l’art. 2033 cod. civ., non presenta i prospettati profili di illegittimità costituzionale, in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost., rispetto al parametro interposto di cui all’art. 1 Prot. addiz. CEDU, come interpretato dalla giurisprudenza della Corte EDU.

(omissis).

*Commento a cura di Matteo De Pamphilis  – Estratto da Dike giuridica editrice – Rivista “Obiettivo Magistrato” – Marzo 2023